di Corrado Augias
Mai più fascismi” diceva la frase d’apertura. Un plurale pieno di
significati. Perché fascismo è una parola che può voler dire molte cose; non
così diverse l’una dall’altra, però molte. Nella grande piazza San Giovanni, gremita
come quelle d’un tempo, questa cosa l’hanno capita benissimo, hanno applaudito,
cantato e ballato al ritmo di Bella ciao che ormai è entrata
nell’immaginario mondiale, compresi gli sceneggiati televisivi, una specie di
inno popolare alla libertà di tutti — perché la libertà o è di tutti o non è.
C’è il fascismo della storia, cominciato nel marzo 1919 a Milano, piazza
San Sepolcro, con la fondazione dei fasci di combattimento. Primo annuncio di
un movimento che cinque anni dopo sarebbe diventato un regime. Quel fascismo è
finito nell’aprile del 1945, con la morte del fondatore. Su quel ventennio il
giudizio della storia è consolidato. Nessuno può negare che durante quel
periodo si siano fatte anche “cose buone”. Ma, a distanza di un secolo, il
giudizio della storia dev’essere globale e in un bilancio complessivo gli
errori, i crimini, superano di gran lunga il merito d’aver completato la
bonifica delle paludi pontine e fatto arrivare i treni in orario. Non c’è
nessun intento caricaturale in queste righe, potrei citare anche altri
risultati, ricordare gli istituti previdenziali, i dopolavoro, un’urbanistica
spesso di qualità. Ma nessun risultato mette in paro la scellerata decisione
delle leggi razziali, dell’alleanza con la Germania nazista, dell’entrata in
una guerra che non potevamo combattere come gli stessi gerarchi avevano più
volte ripetuto al Duce ottenendone la terrificante risposta (se dobbiamo
credere a Galeazzo Ciano): “Che figura ci farei con Hitler?”.
Il fascismo è stato una tragedia, non c’è nessun posto per la caricatura. Ieri pomeriggio sono passato per piazzale di Ponte Milvio poche ore prima che cominciasse la partita della Lazio.
Centinaia di giovani, cori, slogan ritmati, saluti romani, uno sventurato — nemmeno trentenne — m’ha sfiorato con una maglietta azzurra sulla quale campeggiava in bianco “Adolf Hitler”, sembrava contento, ostentava il suo indumento chissà quanto consapevole degli orrori legati a quel nome.
Era fascismo il suo? Sarei portato a rispondere di no. Più probabilmente era qualcosa che ha incontrato e della quale s’è invaghito per ragioni che avrebbe qualche difficoltà a spiegare. C’erano nei gruppi vociferanti quelli con i capelli corti sulle tempie come i ragazzi della Hitler-Jugend degli anni Trenta, l’aria da spacconi pronti alla rissa. Anni fa Francesco Storace — uno dei pochi fascisti spiritosi — disse che tipi così erano quelli per i quali “il cazzotto sottolinea l’idea”.
Può valere come un’attenuante dell’aggressività, ammesso che un’idea davvero ci sia. Il ragazzo che esibiva una maglietta così impegnativa aveva invece l’aria tranquilla, una certa innocenza, una volta si sarebbe detto da figlio di buona famiglia. Era proprio questo il dato allarmante. Lungo la strada ha incontrato chissà come Hitler, né a casa né a scuola però ha mai incontrato qualcuno che gli spiegasse che cos’è stato il nazismo, perché in Italia e in Germania i fascismi andarono al potere, di quali crimini si macchiarono, perché sono indegni di nostalgia.
A meno di non voler andare ad un altro possibile significato della parola fascismo. Ha poco a che vedere con la politica e con la storia. Diciamo che riguarda piuttosto l’antropologia; inquadra il tipo umano che detesta le complicazioni, perché le questioni gli si presentano sempre in maniera semplice, che le donne stiano al loro posto, che gli invertiti sappiamo di non meritare rispetto né perdono per la loro malattia.
Al tempo in cui si chiedeva provocatoriamente a Massimo D’Alema di dire “qualcosa di sinistra”, un gruppo di cronisti chiese al solito Storace di dire “qualcosa di destra”. La risposta fu: “A froci!”. Battuta fulminante, quasi automatica, evidente la familiarità con quell’insulto. Poi ci sono i fascisti inconsapevoli, quelli che si ritengono persone a modo, incapaci di distinguere tra un conservatore di stampo liberale e il complice involontario di chi a un certo punto tira fuori il manganello. Sono facile preda per chi rimesta nel torbido, si dice contrario a ogni dittatura “passata, presente, futura”, ma la frase di ieri a San Giovanni “Mai più fascismi”, non riuscirà mai a pronunciarla.
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