di Raffaella De Santis
Parla Mario Cannella, lessicologo del prestigioso Zingarelli: "Non sono monoliti ma entità vive. Ecco perché il significato si evolve"
Se passasse tra i ragazzi l’idea che i vocabolari sono libri che possono contenere scoperte, salveremmo non solo la lingua ma forse pure noi stessi. Perché senza consapevolezza linguistica non si va lontano. Se si capisse che le parole non sono monoliti ma entità vive, in movimento, che cambiano significato e a volte scompaiono per stanchezza, altre rinascono a nuova vita, ci si divertirebbe anche un po’ a sfogliarli. Parlare con Mario Cannella, lessicografo del prestigioso vocabolario Zingarelli, è appassionante, è una maniera di raccontare la nostra storia attraverso le parole. In occasione del lancio dell’edizione 2022 dello Zingarelli, la casa editrice Zanichelli ha pensato di portare nelle piazze 50 lemmi per mostrarne l’evoluzione dal 1922, anno della prima edizione, a oggi e coinvolgere il pubblico nel gioco delle definizioni.
Che ruolo può avere nel mondo iperconnesso un vocabolario?
«Sono
convinto che sia tutt’oggi uno strumento essenziale rispetto a quello episodico
del web. In Rete si può andare a verificare come si scrive una parola ma
l’approfondimento è un’altra cosa. Ci piacerebbe rilanciare il vocabolario come
libro a sé, con una sua identità linguistica e culturale».
Un tempo non mancava mai un dizionario sulla cattedra,
ma è ancora così?
«Ci sono
moltissimi insegnanti eccezionali nelle nostre classi, contiamo molto sull’input
che arriva da loro, soprattutto in coincidenza della riapertura delle scuole».
Come avete selezionato le cinquanta parole?
«Abbiamo
privilegiato parole in cui è evidente la differenza di significato negli anni,
come ad esempio "eutanasia". Nel 1922 la definizione è composta solo
dalla traduzione dell’etimologia greca: eu e thánatos, "morte bella,
tranquilla e naturale". Nel 1959 si specifica che è condannata dalla
Chiesa e nel 1970 si parla di una "rapida conclusione, con qualsiasi mezzo
atto a procurare la morte in modo non doloroso di un processo patologico a
prognosi infausta e accompagnato da sofferenze ritenute intollerabili".
Nel 1994 il
dizionario registra l’eutanasia attiva e passiva. E potrei continuare con gli
esempi: il termine "resistenza" è tra i più interessanti avendo
cambiato accezione dopo la lotta contro il nazismo. E "binario" oggi
rimanda alla "identità di genere di chi si riconosce in uno dei due sessi
biologici, il maschile e il femminile».
Recentemente è finita sotto attacco la definizione
"donna" del vocabolario dei sinonimi e contrari Treccani, tacciata di
sessismo.
«Come ha
ricordato proprio su Repubblica Valeria Della Valle, si trattava di un
dizionario diverso da quello dell’uso. L’ultimo compito di un dizionario è fare
il censore. Un esempio ulteriore: un secolo fa si parlava di "coppia"
in presenza di "due persone di sesso diverso unite tra loro da un rapporto
matrimoniale o amoroso", poi è sparito il riferimento alla differenza di
sesso e infine è comparsa la "coppia di fatto", unita in una
relazione affettiva stabile».
Difende la funzione descrittiva e non prescrittiva dei
dizionari?
«Con lo
stesso criterio allora dovremmo espungere dalla Divina Commedia moltissimi
termini offensivi nei confronti delle donne e del linguaggio stesso. Il
vocabolario contestualizza, specifica se un termine è disusato o spregiativo,
aggiunge note d’uso o perifrasi per spiegare il contesto. Certo bisogna avere
fiuto, captare i tempi. Negli ultimi anni lo Zingarelli è attentissimo a
registrare tutti i femminili delle professioni».
Eppure alcune professioni declinate al femminile
suonano ancora estranee. La direttora d’orchestra ad esempio. L’ultima polemica
si è avuta durante lo scorso festival di Sanremo.
«Ben vengano
le professioni al femminile. Se disturbano è solo per una questione d’orecchio,
di abitudine. Per noi lessicografi, uno strumento di orientamento fondamentale
è la stampa. I giornali hanno un ruolo importantissimo, mentre una volta il
punto di riferimento era la letteratura».
Non sono invece i social network a restituire una
fotografia più vivida del parlato?
«Qualcuno ci
suggerisce di inserire nei dizionari anche i neologismi presenti sui social. Il
fatto è che spesso si tratta di termini effimeri, destinati a non mettere
radici. Da lessicografo osservo le parole per qualche anno prima di
considerarne l’uso consolidato. Qualche eccezione c’è stata: il
"selfie" è entrato nel dizionario celermente nel 2013. Ma in genere i
tempi sono più lunghi».
Come arrivate a scegliere un neologismo?
«Nel nostro
lavoro ci avvaliamo di una rete di segnalatori, oltre ad essere noi stessi i
primi a dover essere vigili. A volte, quando mi imbatto in un termine nuovo, mi
mando da solo dei messaggi vocali per ricordarmi di tenerlo d’occhio. Il
lessicografo in cerca di parole (nuove) deve fare come un cane lagotto quando
fiuta un tartufo. Il fiuto conta moltissimo».
Cercando la schwa sullo Zingarelli non si fa
riferimento alla proposta di usarla al posto del maschile comprensivo, come
mai?
«Abbiamo
riportato il significato del termine e aggiungeremo un riferimento alla
polemica già nel 2023. Questo tipo di cambiamenti grafici hanno bisogno di
tempo. La nostra funzione non è educativa, possiamo solo testimoniare quello
che avviene nella società».
La
Repubblica, 15/9/21
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