di GIUSEPPE SAVAGNONE
Le attuali iniziative per legalizzare l’eutanasia…
Assorbiti dalle controversie sull’obbligatorietà o meno dei vaccini, la maggior parte degli italiani probabilmente non si è neppure resa conto dell’imminenza di una svolta legislativa che legalizzerà l’eutanasia. Una svolta che – per quanto paradossale possa apparire, in questo momento, in cui il problema fondamentale sembrerebbe quello di restare vivi – garantirà il diritto di morire.
A dirlo sono alcuni fatti di questi ultimi giorni, a cui non tutti, forse, hanno prestato attenzione. Da un lato, il clamoroso successo della raccolta di firme, promossa dall’associazione “Luca Coscioni”, per chiedere un referendum che abroghi l’art. 579 del nostro Codice penale, nella parte in cui prevede la condanna per chi uccide, col suo consenso, un maggiorenne sano di mente e il cui consenso non sia stato estorto con violenza o con inganno. La raccolta di firme, partita il 21 giugno, ha già superato, in brevissimo tempo, trionfalmente, la soglia minima di 500.000 adesioni e si avvia verso le 800.000.
Dall’altro lato, lo scorso 6 luglio è stato approvato dalle commissioni riunite Giustizia e Affari sociali della Camera il testo base della proposta di legge sull’eutanasia, che si adegua alla sentenza della Corte Costituzionale del 25 settembre del 2019, in cui si scagionava l’esponente dei Radicali Marco Cappato, accusato di istigazione e aiuto al suicidio dichiarando parzialmente incostituizonale l’art. 580 del Codice penale che regolava questa materia.
… E la loro diversità
Le due iniziative sono chiaramente diverse, sia per le modalità – la prima mira all’indizione di un referendum popolare, la seconda segue la via parlamentare –, sia per l’obiettivo immediato: la prima riguarda l’omicidio di una persona consenziente, la seconda esime da ogni responsabilità il medico che abbia dato assistenza e chiunque abbia aiutato a praticare l’eutanasia a una persona affetta da una malattia «a prognosi infausta e irreversibile».
L’obiettivo della richiesta di referendum è, come si è detto, la modifica del testo dell’art. 579 del Codice penale che, dopo l’eventuale abrogazione di alcune sue parti, diventerebbe: «Chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui, è punito con le disposizioni relative all’omicidio se il fatto è commesso: contro una persona minore degli anni diciotto; Contro una persona inferma di mente, o che si trova in condizioni di deficienza psichica, per un’altra infermità o per l’abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti; Contro una persona il cui consenso sia stato dal colpevole estorto con violenza, minaccia o suggestione, ovvero carpito con inganno».
Non sarebbe più reato, insomma, uccidere una persona col suo accordo, a meno che non ci siano motivi per sospettare che la sua volontà sia viziata dalla minore età, da infermità mentale, da droghe o da violenze.
L’obiettivo della proposta di legge è, invece, di sottrarre alle disposizioni che sanzionano l’istigazione o aiuto al suicidio (art 580 Codice penale) e l’omissione di soccorso (art. 593 Codice penale) il personale sanitario e amministrativo che dà il suo apporto alla procedura di morte volontaria medicalmente assistita, così come chiunque abbia agevolato il malato ad attivare la procedura, purché essa sia avvenuta nel rispetto delle disposizioni di legge, e cioè:
«Se la richiesta di morte volontaria medicalmente assistita è stata formulata da una persona maggiore d’età, capace di intendere e di volere, e la sua volontà è stata libera, consapevole e inequivocabilmente accertata;
Se la persona richiedente è stata affetta da una patologia irreversibile o prognosi infausta o da una condizione clinica irreversibile e sia tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale;
Se la persona richiedente sia stata affetta da una patologia che le provocava sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili».
Salta agli occhi la differenza: la richiesta di referendum, oltre a riguardare un atto di “eutanasia attiva”, dunque un vero e proprio omicidio (pur giustificato, secondo i promotori), e non solo l’assistenza a un suicidio, prevede, come la proposta di legge, le condizioni riguardanti l’integrità della volontà del consenziente (il primo punto), ma non le altre previste dal testo all’esame del Parlamento, e cioè patologia irreversibile e presenza di trattamenti di sostegno vitale (il secondo punto); sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili (terzo punto).
Si spiega, così, perché Marco Cappato, anima dell’Associazione «Luca Coscioni», si sia detto insoddisfatto dell’iniziativa parlamentare, lamentando sia il mancato riconoscimento dell’ “eutanasia attiva”, che consisterebbe nella somministrazione del farmaco necessario a morire da parte del medico, sia l’esclusione dei malati di tumore, spesso non sottoposti a trattamenti di sostegno vitale.
La sentenza della Corte costituzionale
Può essere significativo, per dare una valutazione di queste due diverse impostazioni, andare a vedere le motivazioni con cui la Corte costituzionale aveva, due anni fa, dichiarato la parziale incostituzionalità dell’art. 580 del Codice penale. Nella sua pronuncia, la Corte non aveva accolto l’impostazione radicale sostenuta dal giudice che aveva sollevato la questione (e che mirava a dichiararne in blocco l’incostituzionalità dell’articolo): secondo la sua valutazione, di per sé l’incriminazione dell’aiuto al suicidio, così come quella della istigazione, non è incompatibile con la Costituzione, ma è «funzionale alla tutela del diritto alla vita, soprattutto delle persone più deboli e vulnerabili, che l’ordinamento penale intende proteggere da una scelta estrema e irreparabile, come quella del suicidio»; in questa ottica, continua la sentenza della Corte costituzionale, la incriminazione prevista dall’art. 580 «assolve allo scopo, di perdurante attualità, di tutelare le persone che attraversano difficoltà e sofferenze, anche per scongiurare il pericolo che coloro che decidono di porre in atto il gesto estremo e irreversibile del suicidio subiscano interferenze di ogni genere».
La Corte, continua il testo della sentenza, riteneva tuttavia di aver individuato «una circoscritta area di non conformità costituzionale» dell’art.580, «corrispondente segnatamente ai casi in cui l’aspirante suicida si identifichi in una persona (a) affetta da una patologia irreversibile e (b) fonte di sofferenze fisiche o psicologiche, che trova assolutamente intollerabili, la quale sia (c) tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale, ma resti (d) capace di prendere decisioni libere e consapevoli».
Come si vede, sono precisamente le condizioni che la proposta di legge attualmente all’esame del Parlamento prevede perché l’eutanasia sia ammissibile.
La maggior parte di queste condizioni sono assenti nella richiesta di referendum che quasi 800.000 italiani hanno sottoscritto. Mirando alla pura e semplice abrogazione della norma penale sull’omicidio del consenziente, essa non tiene alcun conto delle condizioni concrete di scoraggiamento e di abbandono in cui la “libera” scelta del soggetto spesso si realizza e assume l’idea di autonomia nella sua forma più astratta. Una volta abrogata quella norma, chiunque cagiona la morte di un essere umano, col suo consenso, non sarà più punibile – salvo i casi del minore, dell’infermo di mente, e gli altri simili.
Al di là dei casi concreti, una logica
Potrà capitare, così, che uomini e donne che questa società mette spietatamente ai margini – siano essi malati oppure semplicemente soli, avviliti o portati a pensare di essere dei “falliti” (nella formula referendaria non c’è riferimento a stati patologici insopportabili) – vedano così legittimata la loro voglia di “farla finita” con l’aiuto di qualcuno che li uccida. Se il referendum andrà in porto e avrà il sostegno dell’opinione pubblica, come è presumibile alla luce del travolgente successo della raccolta di firme, avremo sancito l’idea che ci sono dei “rottami”, la cui vita non vale la pena di essere vissuta. È la logica spietata del neocapitalismo, con al sua corsa al successo, che prevede vinti e vincitori e che, invece di aiutare i primi a risollevarsi, apre loro le porte perché “tolgano il disturbo”.
In realtà questa logica è presente nell’eutanasia come tale, anche nella forma molto più controllata della proposta di legge. Ma, dove ci sono «patologia irreversibile o prognosi infausta o una condizione clinica irreversibile e si sia tenuti in vita «da trattamenti di sostegno vitale» artificiali, con «sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili», ci si può chiedere se non siamo ai confini con il problema dell’accanimento terapeutico, che anche la Chiesa cattolica rifiuta decisamente.
Certo, aiutare una persona malata ad uccidersi non è mai la stessa cosa che lasciarla morire senza infliggerle inutili sofferenze. Una condizione estrema rende però almeno comprensibile, anche se non giustificabile, che chi non ha i princìpi e la forza interiore per affrontare una condizione disperata, possa voler morire e chieda allo Stato di legittimare la sua scelta. Ma questo è molto diverso che sancire il diritto di uccidere indiscriminatamente chiunque lo voglia, in nome di una libertà astratta che nella realtà rischia di essere soggetta, come dice la Corte costituzionale, a «interferenze di ogni genere».
Al di là dei casi concreti, che possono essere drammatici e che nessuno ha il diritto di giudicare, le leggi sono espressione di una società e del suo modo di vedere le persone e la vita. Forse almeno qualcuno di coloro che hanno firmato la richiesta di referendum dovrebbe chiedersi qual è il senso che la sua scelta, consapevolmente o inconsapevolmente, attribuisce ad entrambe.
tuttavia.eu, 4 settembre 2021
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