di ALESSANDRO PUGLIA
Augusta — È arrivata ieri in serata al porto di Augusta la nave della Ong italiana di ResQ People Saving People, con 166 persone a bordo salvate nel Mediterraneo centrale. La nave di soccorso che era partita per la sua prima missione il 7 agosto dal porto di Burriana in Spagna aveva richiesto l’assegnazione di un porto sicuro di sbarco domenica 15 agosto, al termine della quarta operazione di salvataggio. A bordo nel team di ResQ, c’è Cecilia Strada, direttrice della comunicazione della Ong italiana. Anche per lei questa è una prima missione. La più difficile, quella senza il padre: «Non ho tempo di rimanere sola con i miei pensieri, adesso bisogna solo portare a terra queste persone», dice la figlia del fondatore di Emergency mentre con l’equipaggio si sposta verso Catania. «Cerchiamo di trovare riparo dal vento in attesa di istruzioni, la sera quando le persone soccorse vedono le luci della costa è difficile spiegare loro che ancora non possono sbarcare». In mezzo al Mediterraneo si trova anche la nave GeoBarents di Msf con 322 persone a bordo. In totale sono 488 le persone soccorse che attendono l’assegnazione di un luogo sicuro di sbarco.
Come ha scritto sui social, il 13 agosto, giorno della scomparsa di suo papà, lei tra tutti i posti dove poteva essere, era a salvare vite umane?
«Sì. Ero a fare la cosa giusta in un momento per me drammatico, questo personalmente mi ha aiutata. Con 166 persone sei sempre impegnata, anche per tutte quelle che sono le incombenze dell’equipaggio: dal pulire i bagni al preparare la cena. Il senso di responsabilità verso queste persone deve prevalere su tutto, non ho tempo di rimanere da sola con i miei pensieri, ora che sarò a terra avrò tempo di pensare a me stessa e a mio papà».
Come si sono svolte le operazioni di soccorso?
«Si tratta di quattro operazioni, la prima avvenuta venerdì 13 in zona Sar libica quando avevamo ricevuto diverse segnalazioni sul canale 16. Poi dopo le segnalazioni di Colibrì, il velivolo della Ong francese Pilotes Volontaires, ci siamo spostati in zona Sar maltese dove nella giornata di domenica abbiamo soccorso tre imbarcazioni con 20,50 e 13 persone. E a quel punto abbiamo chiesto l’assegnazione di un porto sicuro di sbarco. Abbiamo poi dovuto spiegare ai naufraghi che per sbarcare abbiamo bisogno di un’autorizzazione e che non sappiamo quando ce la daranno. La situazione è al momento sotto controllo, ma non può che deteriorare».
Come valuta la “convivenza” in mare con la guardia costiera libica?
«Sempre nella giornata di venerdì abbiamo assistito a un’intercettazione della guardia costiera libica a pochi metri dalla nostra nave, in piena zona Sar maltese dove i libici non hanno alcuna competenza dei soccorsi.
Eravamo lì e siamo stati superati.
Non abbiamo potuto fare altro che assistere a questa motovedetta che caricava donne e bambini. È stato davvero molto frustrante sapere che queste persone potevano essere salvate e invece sono state portate in quelle celle dove ricomincia il circolo della violenza. Continuare a sostenere economicamente gli accordi con la Libia è una grave violazione del diritto internazionale, dei diritti umani e anche dei principi della nostra Costituzione».
Davanti al caso delle Ong periodicamente poste a periodi di fermo amministrativo, il Mediterraneo centrale è oggi senza testimoni?
«Sì. E per me questo è un problema anche personale. Penso a mio padre: Gino Strada morto che non parla piace a tutti quanti. Gino Strada vivo, che chiede perché questi bambini saltano sulle mine, o perché si scappa dalla guerra, o perché ci sono le disuguaglianze fa invece dispiacere a molti. Lo stesso discorso vale con le Ong. Quando salviamo un bambino sta bene a tutti, ma quando chiediamo perché le nostre tasse vengono utilizzate per riportare quel bambino in Libia, a quel punto non siamo più simpatici».
Pensa che la guerra in Afghanistan possa portare a numerosi arrivi di profughi in Italia?
«Oggi riesco a sentire solo strazio per quello che sta succedendo. È un paese che amo, dove sono stata tantissimo e mi sento a casa. Davanti allo strazio alcuni amici che vivono lì mi hanno scritto di essere molto provati per la perdita di mio padre, e pur non sapendo se saranno vivi domani mi hanno chiesto: Cecilia possiamo fare qualcosa per te?
Questi sono i civili afghani.
Dobbiamo evitare come si sta facendo già in Italia di parlare di emergenza profughi, queste persone vanno aiutate a lasciare quel paese e accolte. Non perché lo dicono i buonisti che stanno in mezzo al mare, ma perché lo dice la Costituzione».
La Repubblica Palermo, 18/8/2021
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