di Francesco Bei
La morte di Libero Grassi mi ha segnato profondamente,come ha segnato un’intera generazione di giovani cronisti siciliani. Giornalisti che, da quella mattina, presero idealmente il testimone dai colleghi più anziani che avevano raccontato le mattanze degli anni Ottanta. Avevo vent’anni e appena arrivato in redazione, a Radio radicale, l’allora direttore Giancarlo Loquenzi mi disse di correre a Fiumicino per prendere il primo aereo per Palermo.
Prima di arrivare alla sede della Sigma, in via Thaon de Revel, dove era stata allestita la camera ardente, passai da via Alfieri. A terra nessuno aveva lavato la chiazza di sangue. Davanti alla fabbrica era già un delirio, con i politici e le autorità che facevano la fila per entrare insieme alle operaie in lacrime.
Il culmine della tensione ci fu all’arrivo del discusso Aristide Gunnella, ex leader siciliano del Pri. Leoluca Orlando, a un passo da me, gli sbarrò fisicamente l’entrata: «Con che coraggio ti presenti qui?». «Ho diritto di entrare, ero suo amico». La risposta venne sommersa da un coro di «vattene» di alcuni giovani sostenitori della Rete. Gunnella provò a rientrare infilandosi nel codazzo di Giovanni Spadolini, ma l’allora presidente del Senato lo convinse a desistere.
L’aria era pesantissima. All’uscita del feretro la delegazione dei radicali fece una sorta di scudo umano alla famiglia e così si compose il corteo per le strade della città. C’erano le operaie della Sigma, distrutte. C’erano carabinieri e poliziotti, magistrati. Qualche politico. Moltissimi giornalisti. Quella che mancava era Palermo. Al nostro passaggio in centro, su via Libertà fino a via Autonomia siciliana, le imposte si chiudevano, le poche persone in strada quasi fuggivano via.
Sembrava un corteo di monatti.
La stagione della riscossa e dei lenzuoli bianchi era ancora molto di là da venire e la "solitudine" denunciata da Libero Grassi quel giorno era tangibile.
Non dimenticherò mai la faccia dolce e gli occhi persi di Davide, il figlio di Libero, che stringeva la madre e la sorella in un abbraccio. Un ragazzo che sembrava diventato adulto in un giorno.
Rimanemmo tutti sconcertati da quel gesto, la V di vittoria, che fece con la mano mentre portava a spalla la bara del padre. Invece aveva già capito tutto.
La Repubblica Palermo, 29/8/2021
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