domenica, agosto 29, 2021

I L RACCONTO. Addiopizzo, l’eredità di Libero: "Quegli adesivi per dire basta"


di FRANCESCO PATANÉ 

Raffaele Genova, uno dei fondatori del movimento, rievoca la notte dei volantini di protesta " In sette volevamo aprire un pub e non intendevamo pagare. Ma allora la mafia faceva paura"

Sette amici neolaureati volevano aprire un pub " equo e solidale" in via Candelai, ma cinquemila adesivi autoprodotti, il desiderio di far rinascere la propria terra e la passione civile li hanno portati a diventare dopo 17 anni il simbolo della ribellione al pizzo, alle estorsioni mafiose, all’oppressione dei clan sulle attività imprenditoriali a Palermo e in tutta la Sicilia. Una notte di attacchinaggio, sostantivo ormai d’epoca in tempi di social, fu la scintilla che fece nascere Addiopizzo, il comitato antiracket conosciuto in tutto il mondo che oggi sarà protagonista delle celebrazioni per il trentennale dell’omicidio di Libero Grassi, l’imprenditore che per primo si ribellò al racket. Una notte di attacchinaggio che di fatto fu il primo atto di una Palermo finalmente decisa ad alzare la testa davanti ai boss. 

La frase " Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità" listata a lutto fu deflagrante. «Sia per come era stata pensata, come una sorta di epigrafe, sia per le parole usate. Toccare la dignità dei palermitani fu una scelta pesante che pagò: in dodici ore fece suonare tutti gli allarmi. La mattina dopo venne convocato dal prefetto il Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica per capire cosa significavano quegli adesivi, in città non si parlava d’altro » , ricorda Raffaele Genova, uno dei sette amici che fondarono il movimento. 

Oggi Genova è un anatomo-patologo dell’ospedale Giglio di Cefalù, è presidente di Addiopizzo, e quella notte se la ricorda minuto per minuto. «Il primo adesivo venne attaccato in via generale Magliocco, dietro la " Taverna di John", in pieno centro. Poi andammo in via Ruggero Settimo, intorno al teatro Massimo e nelle strade vicine. Insomma nel cuore della città ricca. Scegliemmo quella zona perché volevamo capire la reazione della borghesia palermitana. Volevamo stimolarla, vedere se succedeva qualcosa perché noi il pizzo per aprire il nostro pub non lo avremmo pagato, e da soli, senza far nulla, non avremmo avuto scampo». 

Le notti di attacchinaggio dovevano essere due, seguite da una lettera da inviare ai giornali. Non servirono, bastarono le prime centinaia di adesivi per scatenare una tempesta in città. «La mattina dopo, vedendo le immagini del vertice in prefettura, ci dicemmo: "Picciotti,stavolta l’abbiamo fatta grossa" » , racconta ridendo Genova. 

Nessuno di quei ragazzi aveva nemmeno lontanamente ipotizzato che la notte fra il 28 e il 29 giugno del 2004 avrebbe cambiato le loro vite. Il progetto del pub svanì nel nulla, anche perché si sparse la voce e il titolare dei locali di via Candelai li bollò come teste calde. Rimasero quei sette amici, nel frattempo diventati un gruppo di una settantina. « Per paura realizzammo a casa, con due stampanti laser, tutti gli adesivi — ricorda Genova — Eravamo spaventati, Palermo nel 2004 non era quella di oggi. Ricordo che andammo in cartolerie diverse per comprare i fogli adesivi. Pochi per volta, in giorni diversi e con persone diverse, per non creare sospetti». 

Scelsero l’anonimato per non creare personaggi, ma anche per paura, perché con la mafia nel 2004 non si scherzava. «Provenzano era ancora libero, la mafia militare era ancora numerosa e potente. Faceva paura e io avevo paura. Il primo indirizzo email del gruppo lo creai io in un Internet point di bengalesi, dando generalità false. Non mi chiesero documenti. La casella si chiamava coraggiosicilia@ hotmail.com, credo siano quindici anni che non la apro». 

Un indirizzo di posta elettronica per tutti i cittadini che condividevano l’idea e la provocazione del gruppo di ragazzi. In quel momento nacque di fatto Addiopizzo. «Dopo poche settimane diventammo una settantina, ci trovavamo in riunioni aperte per I L RACCONTO. Addiopizzo, l’eredità di Libero: "Quegli adesivi per dire basta"

Raffaele Genova, uno dei fondatori del movimento, rievoca la notte dei volantini di protesta " In sette volevamo aprire un pub e non intendevamo pagare. Ma allora la mafia faceva paura"

diFrancesco PatanèSette amici neolaureati volevano aprire un pub " equo e solidale" in via Candelai, ma cinquemila adesivi autoprodotti, il desiderio di far rinascere la propria terra e la passione civile li hanno portati a diventare dopo 17 anni il simbolo della ribellione al pizzo, alle estorsioni mafiose, all’oppressione dei clan sulle attività imprenditoriali a Palermo e in tutta la Sicilia. Una notte di attacchinaggio, sostantivo ormai d’epoca in tempi di social, fu la scintilla che fece nascere Addiopizzo, il comitato antiracket conosciuto in tutto il mondo che oggi sarà protagonista delle celebrazioni per il trentennale dell’omicidio di Libero Grassi, l’imprenditore che per primo si ribellò al racket. Una notte di attacchinaggio che di fatto fu il primo atto di una Palermo finalmente decisa ad alzare la testa davanti ai boss. 

La frase " Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità" listata a lutto fu deflagrante. «Sia per come era stata pensata, come una sorta di epigrafe, sia per le parole usate. Toccare la dignità dei palermitani fu una scelta pesante che pagò: in dodici ore fece suonare tutti gli allarmi. La mattina dopo venne convocato dal prefetto il Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica per capire cosa significavano quegli adesivi, in città non si parlava d’altro » , ricorda Raffaele Genova, uno dei sette amici che fondarono il movimento. 

Oggi Genova è un anatomo-patologo dell’ospedale Giglio di Cefalù, è presidente di Addiopizzo, e quella notte se la ricorda minuto per minuto. «Il primo adesivo venne attaccato in via generale Magliocco, dietro la " Taverna di John", in pieno centro. Poi andammo in via Ruggero Settimo, intorno al teatro Massimo e nelle strade vicine. Insomma nel cuore della città ricca. Scegliemmo quella zona perché volevamo capire la reazione della borghesia palermitana. Volevamo stimolarla, vedere se succedeva qualcosa perché noi il pizzo per aprire il nostro pub non lo avremmo pagato, e da soli, senza far nulla, non avremmo avuto scampo». 

Le notti di attacchinaggio dovevano essere due, seguite da una lettera da inviare ai giornali. Non servirono, bastarono le prime centinaia di adesivi per scatenare una tempesta in città. «La mattina dopo, vedendo le immagini del vertice in prefettura, ci dicemmo: "Picciotti,stavolta l’abbiamo fatta grossa" » , racconta ridendo Genova. 

Nessuno di quei ragazzi aveva nemmeno lontanamente ipotizzato che la notte fra il 28 e il 29 giugno del 2004 avrebbe cambiato le loro vite. Il progetto del pub svanì nel nulla, anche perché si sparse la voce e il titolare dei locali di via Candelai li bollò come teste calde. Rimasero quei sette amici, nel frattempo diventati un gruppo di una settantina. « Per paura realizzammo a casa, con due stampanti laser, tutti gli adesivi — ricorda Genova — Eravamo spaventati, Palermo nel 2004 non era quella di oggi. Ricordo che andammo in cartolerie diverse per comprare i fogli adesivi. Pochi per volta, in giorni diversi e con persone diverse, per non creare sospetti». 

Scelsero l’anonimato per non creare personaggi, ma anche per paura, perché con la mafia nel 2004 non si scherzava. «Provenzano era ancora libero, la mafia militare era ancora numerosa e potente. Faceva paura e io avevo paura. Il primo indirizzo email del gruppo lo creai io in un Internet point di bengalesi, dando generalità false. Non mi chiesero documenti. La casella si chiamava coraggiosicilia@ hotmail.com, credo siano quindici anni che non la apro». 

Un indirizzo di posta elettronica per tutti i cittadini che condividevano l’idea e la provocazione del gruppo di ragazzi. In quel momento nacque di fatto Addiopizzo. «Dopo poche settimane diventammo una settantina, ci trovavamo in riunioni aperte per discutere il problema. In quelle riunioni nacque il progetto del sito Internet e del consumo critico — ricorda Genova — Con la raccolta di 3.500 firme cominciammo a dare un’alternativa ai commercianti sotto scacco del racket». 

Dopo un anno erano già cento i commercianti che avevano aderito a Addiopizzo. Oggi Palermo può contare su poco meno di 900 imprenditori "pizzo-free", sui 1.077 totali in Sicilia. 

La Repubblica Palermo, 29/8/2021 discutere il problema. In quelle riunioni nacque il progetto del sito Internet e del consumo critico — ricorda Genova — Con la raccolta di 3.500 firme cominciammo a dare un’alternativa ai commercianti sotto scacco del racket». 

Dopo un anno erano già cento i commercianti che avevano aderito a Addiopizzo. Oggi Palermo può contare su poco meno di 900 imprenditori "pizzo-free", sui 1.077 totali in Sicilia. 

La Repubblica Palermo, 29/8/2021

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