La cappella del covo di Aglieri a Bagheria
di SALVO PALAZZOLO
L’espressione è emersa in un’intercettazione fra due
padrini arrestati a Torretta
Da almeno vent’anni, è un chiodo fisso per i padrini. « Bisogna cambiare tutti i nomi — disse un giorno Bernardo Provenzano — Non parliamo più di picciotti, né tanto meno di uomini d’onore, di famiglie o mandamenti, mai più nominiamo la Cupola». Adesso, sembra che il nome più importante i boss l’abbiano trovato. Un nome nuovo per Cosa nostra: "L’altare maggiore". Così due mafiosi di Torretta chiamavano l’organizzazione discutendo di un’estorsione, e non sospettavano di essere intercettati dai carabinieri del nucleo Investigativo di Palermo su ordine della procura. I mafiosi continuano a mettere insieme sacro e profano. Un’altra fissazione, nonostante la scomunica ribadita da papa Francesco.
" L’altare maggiore", dunque. E non è solo una questione di
immagine per i boss. Bernardo Provenzano, il capo di Cosa nostra dopo le stragi
del 1992, aveva addirittura nominato una commissione di studio per aggiornare
il dizionario mafioso: «Cambiare nomi doveva servire ad evitare altri guai con
le intercettazioni », ha spiegato il collaboratore di giustizia Nino Giuffrè,
il capomafia di Caccamo con un passato da professore di educazione tecnica e
una reputazione criminale di grande saggio, lui era stato incaricato di
presiedere la commissione per le riforme mafiose.
Ora, i boss di Torretta, in stretto contatto con i Gambino di New York,
hanno trovato un nome suggestivo. " L’altare
maggiore". Pensavano così di scansare il Grande fratello
dell’antimafia che negli ultimi anni ha fermato più volte la riorganizzazione
di Cosa nostra, smascherando movimenti e tracce.
Un’altra intercettazione, il 29 maggio 2018, ha svelato una riunione della
commissione provinciale di Palermo, la prima dopo l’arresto di Totò Riina,
avvenuto nel gennaio 1993. Quella volta, il capomafia di Villabate Francesco
Colletti parlava al suo autista di " rappresentanti" che si
erano riuniti per un incontro solenne. Provenzano aveva visto lontano, le
intercettazioni restano uno strumento straordinario per entrare nei segreti
delle mafie.
Camuffamenti di parole a parte, l’espressione " altare maggiore"
solleva anche un altro fronte di riflessioni. I padrini insistono per avere una
religione tutta propria. Leggete cosa diceva qualche mese fa un altro mafioso a
proposito del parroco di Brancaccio ucciso per ordine di Cosa nostra nel 1993:
«Padre Puglisi santo… ma santo di che? — così commentava un boss di
Pagliarelli, anche lui sicuro di non essere intercettato — Ha fatto miracoli?
Una volta ti facevano santo quando facevi i miracoli, questo miracoli non
ne ha fatti». Lo stesso odio di Giuseppe Graviano, il padrino di Brancaccio che
decretò la morte del sacerdote: « Mi hanno raccontato che era un uomo litigioso
— diceva al compagno dell’ora — mi hanno raccontato che aveva problemi con
tutti, che insultava le persone, che diceva parolacce e che durante le omelie
accusava e offendeva ». I boss vogliono riprendersi l’altare maggiore, sognano
i preti accondiscendenti di un tempo e le confraternite complici degli inchini.
Incuranti delle scomuniche, che presto saranno anche scritte nei documenti
della Chiesa, a questo sta lavorando la commissione speciale voluta dal Papa,
ne fanno parte don Luigi Ciotti e l’ex procuratore di Roma Giuseppe Pignatone.
In quella espressione che i due mafiosi di Torretta si ripetevano, sicuri di
non essere scoperti, c’è tutto il drammatico piano di riorganizzazione di Cosa
nostra, che non sembra per nulla fiaccata da arresti e processi. "L’altare
maggiore" non è quello dei Corleonesi fedeli a Totò Riina e Bernardo
Provenzano; adesso nei primi banchi si sono seduti i " perdenti" di
un tempo, ritornati dagli Stati Uniti dopo un lungo esilio. Mafiosi che hanno
un rito diverso, hanno soprattutto santi diversi sull’altare maggiore.
La Repubblica Palermo, 15 agosto 2021
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