Pippo Pollara al centro. A sx il fratello Vincenzo; a dx la sorella Lea |
DINO PATERNOSTROSi, era necessario scrivere una biografia di Giuseppe “Pippo” Pollara, il cui nome é legato all’azienda vitivinicola “Principe di Corleone”, che da anni esporta vini di qualità in tutto il mondo. Prima I.VI.COR. e poi “Principe” il nome Corleone é stato sempre presente nel marchio dell’Azienda Pollara. Una scelta di cuore e di ragione, condivisa con i genitori e con i fratelli Vincenzo e Lea, per trasformare Corleone da brandy negativo e brandy positivo. E negli anni ‘80, con “i corleonesi” protagonisti delle più nefande azioni criminali del mondo, fare questa scelta non era facile. Pippo e la sua famiglia la fecero, convinti che questa nostra terra era così straordinariamente bella e ricca di storia e di cultura, da non temere di essere contaminata dai “corleonesi” mafiosi e assassini.
La sua vicenda umana ed imprenditoriale è raccontata nel libro “Pippo Pollara, l’uomo del vino”, scritto a quattro mani da Gabriele Gulotta e Paolo La Rocca. Un titolo che probabilmente non descrive appieno Pippo, che é stato invece “un pioniere alla conquista del nuovo mondo”, come pure é scritto in un capitolo di questo bel libro, presentato lo scorso 30 luglio all’aperto, nell’atrio di San Ludovico.
Il libro racconta del Pippo imprenditore di successo e del Pippo figlio, fratello, marito, padre. Aveva una “visione” Pippo Pollara, che ho conosciuto da ragazzino, quando tra i banchi del liceo, cominciavamo ad avere i primi filarini con le ragazze. Bisognava averla una “visione” per andare oltre “Rocca Tagliata” (una località a qualche chilometro da Corleone), alla conquista del mondo, agitando per giunta il nome “Corleone” e aggiungendo il blasone di “principe” ad una città da sempre demaniale, che mai aveva avuto nobili (baroni, conti o prìncipi, appunto).
In effetti, adesso possiamo dirlo, Pippo è riuscito a dare a Corleone il blasone di PRINCIPE. E col “Principe di Corleone” ha conquistato i mercati del Canada, degli Stati Uniti, del Giappone, della Cina. Non era scontato. Mai un’azienda di Corleone c’era riuscita. Pippo Pollara sì. E senza mai scendere a compromessi con i “corleonesi”: nemmeno questo era scontato.
Visse un momento drammatico agli inizi degli anni ‘90, quando fu accusato di utilizzare i suoi container per lo spaccio di droga. Una cosa che lasciò attonita l’opinione pubblica corleonese. Per fortuna tutto si rivelò subito un terribile errore giudiziario e l’Azienda Pollara e Pippo uscirono a testa alta dalla vicenda. Nel mio piccolo sono orgoglioso di poter dire che MAI ho creduto a quelle accuse, nemmeno durante quei giorni terribili e nei mesi successivi. Ricordo che un giornale nazionale mi chiese se rischiava qualcosa a citare la “Principe di Corleone” tra le aziende modello più importanti della Sicilia. Risposi: assolutamente no, Pollara e la sua azienda sono puliti.
Pippo Pollara credeva alla funzione sociale dell’impresa. Si guardava intorno, entrava in sintonia con le persone. Un giorno, senza pensarci due volte, ad un gruppo di giovani che aveva dato vita ad un giornalino locale, in difficoltà finanziaria per stamparne un numero, fece sui due piedi un contratto pubblicitario e risolse il problema.
E, senza mai lasciarlo ad intendere, ha sostenuto in maniera consistente la missione di fra Paolo in Tanzania. L’ha rivelato solo adesso, dopo tanti anni, Claudio Di Palermo. A dimostrazione che il bene bisogna farlo perché è giusto e gratificante, non per COMUNICARLO all’opinione pubblica. Si tratta della massima evangelica “non sappia la tua (mano) sinistra ciò che fa la tua (mano) destra”.
Ci ha lasciati troppo presto, a 52 anni, ma noi non lo dimentichiamo. (dp)
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