SESTU (CAGLIARI) — L’albicocco davanti alla finestra è scosso da un maestrale dolce. Dentro la stanza Claudia si muove con grazia, attenta a non turbare un ordine immutato da 29 anni. Si avvicina a una libreria in noce anni Sessanta, di quelle con lo scrittorio a ribalta. Prende tra le mani un portagioie in vetro di Murano: un pianoforte azzurro a coda. Lo apre. «Qui dentro — dice — c’è ancora il profumo di Emanuela. Sento che mia sorella è qui, nella stanza, con me». E la voce trema mentre Emanuela Loi sorride dalle foto appese al muro. In bikini a Porto Cervo, sulla spiaggia nella vacanza a Palma di Maiorca, con lo sguardo orgoglioso, in divisa, il giorno del giuramento, alla cornetta di un telefono a gettoni.
Emanuela sembra aver lasciato la sua stanza, tre metri per due, pochi minuti fa, in un momento cristallizzato nel 1992. Ed è quello in cui la poliziotta, testarda, generosa e con un gran senso del dovere, nonostante la febbre addosso è salita su un aereo per tornare in Sicilia e consentire al suo collega del reparto scorte di andare in ferie. «Mia madre cercò di convincerla. Lei spiegò che se fosse rimasta a casa il collega avrebbe dovuto rinunciare alle vacanze», è l’amara verità di come l’agente è andata incontro al suo destino. Poche ore dopo era al fianco del giudice Paolo Borsellino, in quello che, a 24 anni, sarebbe stato il suo ultimo giorno di vita. Il tritolo della mafia, il 19 luglio del 1992 in via D’Amelio, ha cancellato il suo dolce sorriso, le onde bionde che cadevano ribelli sul viso e tutti i sogni ancora da realizzare. Insieme a Emanuela e al giudice sono stati trucidati altri quattro poliziotti. Lei era l’unica donna della scorta.
Claudia aveva 25 anni, un anno in più della sorella. Era in vacanza sul Lago di Garda. «Di Manuela, noi la chiamavamo così, sono rimasti solo un braccialetto, una collanina e un anello d’oro. E’ quanto mi hanno consegnato a Palermo. Oro tutto bruciato. L’ho conservato e non l’ho più voluto vedere», racconta Claudia che, dopo essersi sposata, ha sempre abitato nella palazzina di famiglia. «Con i miei genitori abbiamo deciso che la sua stanza non sarebbe mai stata svuotata. Manuela è qui».
Il mondo della poliziotta è rimasto intatto. Su uno scaffale ci sono in fila tutti gli album delle foto e, accanto, la sua inseparabile macchina fotografica. «Adorava mettersi in posa. Era socievole, gioiosa, allegra, amava tutto ciò che eracolorato e buffo. Guardare le foto non mi rattrista, mi rende felice», adesso sorride Claudia. Si siede sul letto. C’è lo stesso copriletto celeste di trent’anni fa e sul cuscino è adagiata la bambola in porcellana con l’abito in pizzo e raso rosa,regalo da bambina. Accanto le pantofole morbide a forma di pacchi natalizi. «Con tutti questi ricordi, le targhe e gli attestati ricevuti negli anni voglio realizzare un museo in mansarda e aprirlo alle scolaresche. Il sacrificio di Manuelaresterà testimonianza per i giovani ».
Claudia apre i cassetti e snocciola il passato. Dal comodino con gli asciugamani multicolore, tira fuori il diario segreto di Emanuela. Ha il lucchetto chiuso e la copertina in sughero con su scritto "Personal". Al margine destro una M ricalcata con la biro. «Non l’ho mai aperto perché è come se violassi la sua intimità», spiega. Di fronte al letto, sopra una cassettiera, c’è uno stereo nero rigorosamente col mangiacassette. «Era nel suo alloggio. Le piaceva molto Eros Ramazzotti».
È il momento di aprire gli armadi e Claudia non nasconde le lacrime: «Ecco i cappelli della polizia. Mi emoziona prenderli in mano, nel basco c’è ancora un suo capello». I ricordi si fanno sempre più vividi. «Questo è il cappotto nero, il suo preferito. Lo indossa in tante foto», lo mostra sulla gruccia. E poi, le borse, le camicie, gonne e pantaloni.
Nel secretaire dello scrittoio ci sono i quaderni della scuola magistrale e un portachiavi dal quale penzola la riproduzione di una Chuck Taylor All Star. Agganciata c’è una targhetta: Agente Loi Emanuela, Complesso Tre Torri, Torre A — terzo piano, interno 6. «È stato il suo alloggio fino alla fine », ricorda Claudia. Quel residence in viale Del Fante, vicino allo stadio, era stato requisito per ospitare le forze dell’ordine nella città blindata durante la lotta allamafia. «Manuela — dice Claudia con una punta di rimorso — voleva fare la maestra. Fare la poliziotta era il mio sogno. E la convinsi ad accompagnarmi al concorso per agenti. Partecipò per gioco. E, invece, fu selezionata e decise di rimanere in polizia anche quando superò le prove per insegnare. Perché essere poliziotta, per lei, significava fare del bene alla società: io sono diventata una bancaria». Nel 1990 la destinazione è Palermo. «Mi ha chiamata e ha detto "Mi hanno mandato a Palermo dove c’è la mafia". Rimasi perplessa».
La stanza consegna l’ultima stoccata al cuore. In un settimino è custodita una cartolina. Claudia la stringe al petto: «La imbucai dal Lago di Garda il 19 luglio, poco prima della telefonata che sconvolse per sempre le nostre vite. Arrivò a casa quando Manuela era già stata seppellita».
La Repubblica, 19/7/2021
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