lunedì, luglio 26, 2021

La parte per il tutto

Salvo Vitale 


di SALVO VITALE

Il tutto include la parte

Questa riflessione non interessa i complessi discorsi logico-matematici di Aristotele, di Euclide, di Heisenberg o di Russell sul tutto e la parte. Certi quesiti, se il tutto fa parte della parte, così come la parte fa parte del tutto, se la somma delle parti è il tutto o una parte più grande, o se il tutto è oltre la somma delle parti, e ancora, se il libro-catalogo dei libri di una biblioteca fa parte della biblioteca o se è estraneo ad essa, o se si deve far riferimento, all’infinito, a un catalogo che comprenda il catalogo, rappresentano esercitazioni, paradossi, antinomie per gli esperti della materia. Alla base c’è sempre il vecchio tentativo di identificare la “causa” alla base di ogni effetto e poi, scordandosi di questa regola, di arrivare a una causa prima non causata, cioè a Dio.

Solo per esemplificazione si può fare riferimento alla relazione di inclusione, con la quale è implicito che vale per la parte quel che vale per il tutto, cosa indiscutibile, ma che non funziona se l’applichiamo all’uomo e alla natura di cui egli fa parte: a rigor di logica l’uomo, distruggendo la natura distrugge se stesso, secondo la prima regola che definisce la stupidità, ma poiché l’uomo non si sente incluso nella natura, ma se ne sente il padrone, può permettersi l’autodistruzione, magari contando sul fatto che l’invenzione degli strumenti di distruzione possa comportare l’invenzione di ulteriori strumenti di salvezza.  


Giudizi e pregiudizi

Ci soffermeremo invece sui criteri di valutazione della comune psicologia e sulla superficialità con la quale si estendono giudizi e pensieri a una sfera più ampia, rispetto a quella di partenza, senza che esistano relazioni e spiegazioni giustificabili. La parte per il tutto è uno dei difetti di chi vuole gettare un’ombra d’infamia su soggetti di qualsiasi tipo: basta uno schizzetto di fango a rovinare anni di lavoro sociale e politico fatti in nome di un ideale. Basta un reato, un furto, uno stupro,  commesso da uno  straniero, sia esso europeo o africano, per arrivare alla soluzione che tutti gli stranieri e/o gli extra-comunitari sono ladri, delinquenti, stupratori ecc…. Una volta confezionato e lanciato il giudizio, questo si trasforma in pre-giudizio e in criterio di valutazione che pretende di essere giudizio. C’è una diffusa tendenza a confondere ad omologare il tutto sulla base di quanto caratterizza una sua parte, o, al contrario, partendo dalle caratteristiche generali del tutto, a comprendere in esso anche una parte che non è omogenea ad esso. Nell’antica Grecia Anassagora s’era dato una spiegazione ipotizzando che il mondo è fatto di semi, o “spermata”, o, come le chiamò Aristotele, “omeomerie”, particelle simili, specie di atomi, dove, in ognuno  c’è una parte preponderante, accanto a tutte le altre parti. 


Alcune parti che diventano tutto

Vediamo alcuni pregiudizi diffusi: in Sicilia c’è la mafia e pertanto la definizione di siciliano comprende automaticamente quella di mafioso. Chi non si sente mafioso è l’eccezione che conferma la regola. Se ci si permette di dire che Cinisi, il paese d’Impastato,  è una città mafiosa, tutti quelli che vivono a Cinisi e che non sono e non si sentono di essere mafiosi, insorgono, a ragione, perché  non vogliono essere catalogati come tali: alcuni di essi cadono nel vizio opposto, ovvero quello di accusare chi si lascia andare a questi giudizi, di danneggiare l’immagine, il turismo, l’economia ed altre baggianate simili, con la conclusione che dell’argomento è meglio non parlare. Tipico atteggiamento di chi non vuol cambiare nulla perché va bene così, anche con la mafia.

"Una parte" può essere anche quella della magistratura che non fa il suo dovere: è solo una parte, ma chi osa metterla in discussione, secondo quanto ebbe a dire un noto giudice, in riferimento allo scandalo dell’Ufficio misure di prevenzione del tribunale di Palermo e all’operato del suo ex-presidente Silvana Saguto, finisce col danneggiare l’immagine complessiva di tutta la magistratura, a mettere in discussione, se non in pericolo, un pilastro del sistema. Stessa cosa è stata detta per i rappresentanti delle forze dell’ordine coinvolti in casi di malaffare, in trattative stato-mafia, o in scene di violenze contro i detenuti, indegne di un paese che si dice civile: a questo punto la soluzione sarebbe, al solito, o non parlare del problema, oscurarlo, cercare di farlo cadere nell’oblio, o parlarne per correggerlo. In genere si opta per la prima soluzione. 

Lo stesso tipo di giudizio  si è portati ad attribuire alla politica: ci sono dei politici ladri, mediocri, incapaci? Ebbene, i politici sono tutti ladri, mediocri, incapaci. L’antipolitica è diventata un cavallo di battaglia di tanti piccoli santoni  che manifestano un basso livello politico e che cercano faticosamente di mettersi alla pari con il livello politico più alto facendo credere di volerlo cambiare o di essere altro rispetto al tutto.

Oppure: nel mondo dell’antimafia ci sono enti, uomini, istituzioni che non hanno nulla a che fare con la lotta contro la mafia? Ci sono altri che usano le norme antimafia per fini personali o che hanno fatto dell’antimafia un businnes? Allora tutta l’antimafia è inutile, se non addirittura mafiosa, e anche l’affermazione che esiste una mafia dell’antimafia finisce con il provocare lo screditamento dell’antimafia, anche se solo una parte di essa può essere messa in discussione. Che è quello che auspica il mafioso: i cosiddetti “talebani dell’antimafia”, nella loro divisiva intransigenza non sanno prendere in considerazione questa banale conseguenza del loro atteggiamento, ovvero di essere utili idioti al servizio inconsapevole della causa di chi considerano nemico, cioè del mafioso, che comunque è considerato meno nemico dell’antimafioso vicino di casa ritenuto eretico.


Dicono, vogliono, decidono

Qualcosa del genere si sta vivendo in questi giorni a proposito della pandemia e degli eventuali effetti negativi causati dai vaccini: il criterio di valutazione sia del numero che degli effetti diventa atteggiamento o scelta che oscura anche la più elementare valutazione dei danni rispetto ai benefici. I dati vengono falsati assumendo, secondo i casi, categorie di giudizio e parametri diversi, per non parlare della persistente paura del contagio, tale da non considerare liberatori gli effetti della vaccinazione. Il virus assume la parte del tutto, il vaccino rimane una parte manipolabile, secondo le circostanze o gli interessi delle singole regioni e dei singoli stati. 

Ancora più scorretto e demagogico è l'uso di verbi senza soggetto di aggettivi e accuse senza nome: "Vogliono distruggere l'Italia... stanno uccidendo l'ambiente.... Assassini, stanno facendo crollare le montagne... hanno riempito la terra di veleni, non si preoccupano della sicurezza, proteggono i delinquenti, gli uomini di potere sono tutti al servizio di poteri più forti, “qualcuno” cerca di vendere il paese ai cinesi o ai russi o agli americani, “qualcuno va dicendo in giro, si dice, voci di corridoio...". Chi? Fuori i nomi. Ma i nomi non spuntano, basta sparare nel mucchio per suscitare rancori ed emettere condanne. Il basso livello culturale, la chiusura mentale di coloro ai quali arrivano queste notizie fa il resto, e da qui nascono i populismi, i settarismi, le condanne anticipate, i razzismi, le intolleranze, i libri bruciati, l’utilizzo di ogni occasione articolata sulla teoria della transitività: se X ha un amico mafioso, delinquente, ateo, comunista, omosessuale, drogato, vuol dire che anche lui è mafioso anche lui, è coinvolto con questo tipo di soggetti. Per i dissidenti politici si faceva e si continua a far così, con schedature di contatti, frequenze, intercettazioni, analisi di  scritti o post. Si potrebbe, per assurdo, dubitare anche di Falcone e del rispetto che verso di lui nutriva Buscetta: chissà se in Falcone era presente qualche elemento di mafiosità che era stato colto da Buscetta nel momento in cui aveva deciso di collaborare. La stessa ammirazione che Don Mariano, ne “Il giorno della civetta”, manifesta per l’”uomo” capitano Bellodi.


La parte e il tutto, diversità e omogeneità 

Per non parlare del ripetuto ricorso al "sempre" e al "mai"..., del tipo "tu fai sempre così", anche se succede qualche volta, o "tu non hai mai…”, che so, non una parola di tenerezza, ti scordi sempre dei tuoi doveri, dell’anniversario, ecc". Con una parola si può bruciare una carriera, una vita d'amore, una condotta coerente, scheggiata da un incidente di percorso. La parte per il tutto. Un amore nascosto basta a macchiare l’immagine di una persona, a far venir meno il rapporto di fiducia, a inquadrarla nel mondo delle perversioni e dell’infedeltà, una sigaretta fumata è sufficiente per definire il soggetto un fumatore, una mela rubata basta per classificare l’affamato come ladro, un incidente di cui non necessariamente si è responsabili finisce col pesare come un macigno sulla reputazione e sulla  professionalità. Come mi ebbe a dire una volta Pino Maniaci, vittima anche lui di una campagna denigratoria gestita, nel suo caso, in nome della legge, “quando ti buttano un secchio di merda,  la puzza ti rimane addosso per sempre”. 

Ne consegue che la scelta della diversità diventa l’anticamera del sospetto, proprio perché mette in discussione l’omogeneità e il conformismo, che è lo strumento privilegiato di chi detiene il potere di governare le masse. E tuttavia tante volte quella parte negata o guardata con sospetto è ciò che dà una nota alternativa di originalità, di anticonformismo, di nuove identità e possibilità, è un modo per differenziarsi dall’omogeneità del tutto, per caratterizzare se stessi e rivendicare la voglia, l’autonomia, spesso il coraggio di essere non omologati. Ma bisogna saper riflettere, tornare, se capita, anche sulle proprie decisioni e valutazioni per riconsiderarle, cosa che in questo mondo, in cui tutti sanno tutto, non è facile.

antimafiaduemila.com 24/7/2021

Foto © Imagoeconomica

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