Felicia con la foto del figlio Peppino
di Salvo Palazzolo
Nell’estate del 2002, Felicia Bartolotta, la madre di Peppino Impastato, decise che era venuto il momento di raccontarsi come mai aveva fatto. «Guardate che ci vorrà una giornata sana — disse a due giovani che le stavano molto cari, Mari Albanese e Angelo Sicilia, fra gli animatori del primo Forum sociale antimafia di Cinisi — voi tempo ne avete? » . A 86 anni, voleva raccontare la sua vita da bambina, i ricordi della Cinisi di un tempo, i suoi amori. E poi ancora Peppino: « Quando era ragazzo, cercavo di capire i libri e i giornali che leggeva, ma erano troppo difficili ppi mmia che studi non ne avevo. Però, lui si metteva con la santa pazienza e mi spiegava. E anche ora che sono vecchia mi piace capire e farmi domande».
Diciannove anni dopo, i racconti della donna coraggio che sfidò la mafia per dare giustizia al figlio assassinato sono diventati un libro intenso. Si intitola: “ Io, Felicia. Conversazioni con la madre di Peppino Impastato” ( Navarra editore, 168 pp., 12 euro). Mari Albanese e Angelo Sicilia avevano videoregistrato quell’intervista. E, oggi, le immagini restituiscono il sorriso e la determinazione di questa grande siciliana morta il 7 dicembre 2004, a 88 anni. «Me matri faceva la casalinga — racconta — era una fimmina tutta d’un pezzo. Era superba e con i figli era rigida, ma di mentalità apertapuru idda. La mafia non gli piaceva.Ci ha cresciuti nei valori giusti… Me patrinon era fascista e manco noi, matravagghiannu in Comune, tutti gli impiegati dovevano portare la divisa, era un’imposizione bella e buona ».
Ricorda di quando si era innamorata di un ragazzo di Castelvetrano: «Ma i miei non hanno voluto sapere nulla » . Il padre le impose invece un giovane americano che aveva vissuto a Cinisi da bambino: « Dopo anni di fidanzamento, mi dovevo sposare. Una notte, all’improvviso, mi alzai e andai a svegliare mio fratello Matteo. Gli dissi: “ Non mi maritopiù”. E lui: “ Ma come, mancano pochi giorni alla cerimonia”. Risposi: “Appunto, sono ancora in tempo”». E riuscì a resistere al padre, che insisteva per quelle nozze. Ci riuscì con il sostegno del fratello: « Disse, nonpossiamo costringerla. È la sua vita ». Matteo fu come «un secondo padre per Peppino » , racconta Felicia: «Per un certo periodo andò ad abitare a casa sua. Gli comprava i libri, andava a scuola per i ricevimenti. I professori gli dicevano che Giuseppe era come un magazzino che racchiude tutto. Come una spugna che assorbe ogni cosa. Mio fratello Matteo me lo veniva a raccontare ed io ero orgogliosa della sua intelligenza ». Il padre di Peppino, Luigi Impastato, era invece di tutt’altra pasta. Felicia rivela: «All’inizio del matrimonio, si era trovato una donna. Li scoprirono e lui scappò in mutante da casa dell’amante. Allora dalla rabbia e dalla vergogna pigghiaiu le mie cose e me ne sono andata » . Intervenne il cognato mafioso, Cesare Manzella: « Non so quanti viaggi fece per convincermi a tornare, ma io niente » . Alla fine, però, dovette cedere.
Luigi Impastato veniva chiamato spesso dall’amico capomafia Gaetano Badalamenti, infuriato per le trasmissioni di Peppino a Radio Aut: «Era un poco aggressivo — racconta Felicia — cicuntavano le cose contro il figlio e non si metteva a discutere con lui. No, niente. Solo bastonate». Dice anche: «Però, a modo suo, la vita gliela voleva salvare a Peppino».
Il libro è soprattutto un grande atto d’amore verso il figlio: « Io ero attaccata assai a lui, perché capivo che era troppo in pericolo. Quando mi veniva a trovare di nascosto da mio marito, certe volte saliva come un gatto, dalla canaletta dell’acqua » . Ancora un ricordo e poi un rimpianto: «Non sono riuscito a proteggerlo ». Dice Mari Albanese: «Abbiamo custodito per tutto questo tempo un patrimonio di conoscenze, sentendole intimamente nostre. Ma questo tempo storico ci chiede una responsabilità verso le nuove generazioni e verso Felicia che i giovani li amava » . Così, gli autori dell’intervista hanno ripreso in mano appunti e registrazioni: « Fare memoria e antimafia — dice Angelo Sicilia — vuol dire oggi fare conoscere il coraggio di chi ha combattuto l’arroganza mafiosa partendo dal proprio vissuto». La forza di Felica è ancora lì, mentre dice: «Dovete camminare a testa alta, sempre. Siamo colpevoli ogni volta che ci giriamo dall’altra parte».
La Repubblica Palermo, 2/7/2021
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