NONUCCIO ANSELMO
Caro direttore,
ho letto con grande piacere l’articolo di Giovanni Perrino, mio cugino, sull’affresco che rappresenta la crocifissione nella casa paterna, che mi ha riportato a troppo tempo fa. Ho rivissuto i momenti del cantiere aperto nella scala di casa, con il “Muto” che lavorava con tecniche magari elementari ma che mi lasciavano incantato, tipo fare vibrare la lenza sporca di nerofumo sul muro per segnare perfette linee dritte.
Sottoscrivo in toto quello che Giovanni ha scritto sul “Muto”, che aveva una sua specialità: riprodurre sul muro venature di marmo che sembravano lastre vere. Neanch’io, oltrea i suoi capelli bianchi, il gesticolare e il gracchiare, oltre al suo certosino lavoro di pennello, ricordo con precisione la sua fisionomia: troppo tempo ci separa da quei giorni.
Mi lascia invece perplesso l’affermazione che il “Muto” sia l’autore dell’affresco nelle scale di casa. Se Giovanni ha ricordi precisi, sarà così, ma secondo me c’è una complicazione di fondo. Io non credo che nessuno di famiglia abbia mai commissionato al “Muto” quell’affresco. Se qualcuno lo fece, sarà stato agli inizi del Novecento, quando la famiglia di Onofrio Anselmo, usciere della regia sottoprefettura e uomo di fiducia dei funzionari, si trasferì dal quartiere Grazia alla nuova area di espansione della via Bentivegna, nella parte larga, che portava al Piano del Borgo. Ma anche così c’è qualcosa che non mi quadra.
Non escludo che il “Muto”, chiamato a ridipingere le scale negli anni Cinquanta, sia pure intervenuto in una sorta di restauro dell’affresco con qualche mano di vernice. Ma che ne sia l’autore non mi sembra corretto, anche se confermo che sul particolare – non certo da poco – non ho ricordi precisi.
Ma è la storia generale di quell’area che mi porta ad altre conclusioni. Tutte le case che si appoggiavano alla chiesa di San Leonardo erano in qualche modo legate agli Agostiniani, che avevano lì una base quando il loro convento era fuori paese. Anzi, le case poi comprate dal nonno, dovevano far parte proprio di quel conventino che si appoggiava alla chiesa: dalla camera da letto della zia, attaccata all’altare maggiore, si poteva anche ascoltare la messa. Dunque, io penso che a questa prima destinazione “conventuale” sia a legata la nascita di quell’affresco che decora il pianerottolo del primo piano. Ma naturalmente, anche questa è una supposizione, pure se suffragata da una base storica certa.
Nonuccio Anselmo
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Mi fa piacere che il mio ultimo raccontino scritto per Mosaico abbia suscitato curiosità e commenti come è negli obiettivi della piccola Rassegna che il giornale ospita.
Mi fa piacere l’annuncio di novità sull’identità dell’autore dell’intervento sull’affresco intorno alla metà degli anni cinquanta. Come Nonuccio Anselmo, cugino carissimo e coetaneo, anch’io ho una memoria lontana e ho l’onore e il piacere di offrire ai lettori i miei ricordi a volte appannati dal passar del tempo.
Non ho mai scritto che “ il Muto” è l’autore dell’affresco che, del tutto intuitivamente, faccio risalire ai primi del secolo scorso o anche alla fine dell’800. La datazione è compito degli storici dell’arte non certo di chi riporta alla memoria la figura di un “ pittore” povero e vecchio ma amato. Il mio racconto si limita a narrare senza invadere il campo degli storici e ancor meno degli storici dell’arte.
Sono onorato dell’intervento di mio cugino che aggiunge particolari storici sulla possibile provenienza dell’opera da un convento attiguo all’attuale chiesa di S.Leonardo. Ho anche una foto sul terrazzo di casa mia, attigua al n.civico indicato, con alle spalle, avrò avuto al massimo 4-5 anni, le campane della chiesa.
Mi associo al ricordo delle nostre comuni e amatissime zie che, avendo la cucina attigua all’altare, la domenica mentre scodellavano, seguivano la messa e per poco non s’inginocchiavano davanti alla pentola al momento della consacrazione dell’ostia. Racconto questo episodio per ridere e per ricordare persone care ad entrambi. Quanto Nonuccio afferma sulla capacità del Muto a riprodurre le venature del marmo, conferma il fatto che questi fosse un “ pittore fino” cioè particolare e quindi chiamato a decorare case di benestanti. Naturalmente spero che altri contributi facciano luce su una persona ingiustamente dimenticata e su un affresco che testimonia il passato di un’abitazione privata ma anche di un paese.
Giovanni Perrino
Anche su mosaico di storie Corleonesi
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