BARI — Camara Fantamadi è morto di caldo e fatica per sei euro all’ora, dopo aver zappato la terra per mezza giornata senza mai fermarsi. Niente acqua, niente ombra, il termometro che superava i 42 gradi. Camara Fantamadi è morto a Tuturano, Brindisi, Italia. Ed è morto da schiavo. Aveva 27 anni. Era nato in Mali e tre anni fa era arrivato a bordo di un barcone. Aveva vissuto al principio in un centro di prima accoglienza nel Napoletano, poi in attesa del permesso di soggiorno si era trasferito a Eboli. Da tre giorni era nel Brindisino, dove un suo fratellastro gli aveva procurato un lavoro. C’era da zappare la terra. Da dormire c’era, con il fratello, in una stamberga di Tuturano. Una bici serviva a spostarsi dalla baracca al campo.
«Camara era un ragazzo giovane. E forte» racconta aRepubblica un altro lavoratore del Mali, che lo aveva incontrato nei primi giorni di lavoro. «Era andato a zappare un terreno dalle parti di Mesagne, la paga è sempre la stessa: sei euro all’ora, se lavori otto ore ti porti a casa 50 euro ». I ragazzi che arrivano in queste campagne imparano a conoscere l’Italia a testa in giù: chinati verso il basso, con le gambe aperte, le mani che affondano nella terra dura, per raccogliere pomodori, asparagi, oppure per caricare cassette piene di uva, ciliege, fragole, a seconda delle stagioni. «L’altro giorno — continua il ragazzo — era arrivato in campagna tardi: il lavoro è cominciato intorno alle 13. Quattro ore dopo, Camara ci ha detto di non stare bene. Aveva giramenti di testa». C’erano 42 gradi, così dicevano i termometri sui cellulari di alcuni dei ragazzi. Altri telefoni invece non funzionavano: troppo caldo, le batterie erano andate fuori uso. Il caporale urlava: «Lavoro, lavoro». «Abbiamo consigliato a Camara di andare a casa. Chi non sta bene è meglio che non stia sui campi: le conseguenze possono essere peggiori».
Un tempo volavano botte. Oggi, invece, vale la reputazione: se ti fermi, se ti fai la fama di uno che si stanca facilmente, non lavori più. «Gli abbiamo dato una bici, casa distava più di 15 chilometri, e consigliato di andare a riposarsi». Camara ha preso la paga della giornata, 24 euro, ed è montato sui pedali. I ragazzi hanno ripreso a lavorare. L’allarme lo hanno lanciato circa mezz’ora dopo due persone che passavano per la strada. Camara era per terra, esanime. «Quando ci siamo fermati respirava ancora — raccontano — e abbiamo chiamato il 118 che è arrivato dopo circa 20 minuti. Ma già durante l’attesa non parlava e non rispondeva ». Camara è morto così. Arresto cardiocircolatorio, dicono le carte. Un infarto. Il procuratore di Brindisi, Antonio de Donno, ha chiesto accertamenti ai carabinieri (che hanno un nucleo specializzato nella lotta al caporalato): perché la morte di Camara è stata forse «naturale» come dice il referto del medico legale ma quasi certamente non casuale: perché non è per caso (e nemmeno per natura) che si lavora per quattro ore, senza acqua e alcun tipo di protezionee di tutela. È una storia che da queste parti conoscono bene. E conoscono da tempo. Il 13 luglio del 2015 è morta una donna di San Giorgio Jonico, 60 chilometri dal luogo in cui è caduto Camara. Si chiamava Paola Clemente, era andata a lavorare la terra per tre euro l’ora. È morta di fatica. In suo nome l’Italia ha approvato una nuova legge contro il caporalato.
E avevano promesso che non sarebbe mai più accaduto. E invece Camara è morto. Come Paola.
La Repubblica, 26/6/2021
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