Emanuele Macaluso
di Andrea G. Cerra
«Non c’è paese della Sicilia in cui non abbia fatto un comizio. Una volta
con Calogero Boccadutri, il capo del Pci clandestino a Caltanissetta, andammo a
Riesi percorrendo cinquanta chilometri a piedi. Con trentasei sindacalisti
uccisi, la lotta alla mafia allora non si faceva a chiacchiere» a parlare è il
quasi centenario Emanuele Macaluso. La sua vita è simile a un film, una
pellicola che attraversa il Novecento, sul filo della memoria, tra battaglie
politiche e cambiamenti sociali che hanno segnato un’epoca.
Per oltre un anno e fino a pochi giorni prima della morte, Concetto Vecchio
lo ha incontrato nella sua casa romana, per comporre un ritratto a figura
intera, " L’ultimo compagno. Emanuele Macaluso, il romanzo di una
vita" (Chiarelettere, Milano 2021), una biografia non solo politica, ma
anche umana e sentimentale, dove pubblico e privato s’intrecciano.
La militanza politica del giovane Macaluso si forgiò in una città retta da
figure carismatiche, protagoniste della Storia dell’Isola: il comunista Pompeo
Colajanni e il democristiano Giuseppe Alessi, primo presidente della Regione
Siciliana; un milieu culturale vivace, tanto che Sciascia definì
Caltanissetta «la piccola Atene». Negli anni del regime Macaluso visse una
doppia clandestinità «quella del Pci, che il fascismo aveva messo fuorilegge,
e quella con Lina, che era sposata».
Lina, «la madre dei miei figli», l’aveva conosciuta nel 1941. Lei era una
sposa bambina «Aveva marito e due figli, Enza e Franco. Si era sposata a
quattordici anni con un uomo più anziano di lei di diciotto anni, una guardia
municipale». Nel luglio del 1943 Caltanissetta fu la prima città liberata
dagli Alleati. Macaluso era ormai stanco di vivere questo amore clandestino e
una sera sbottò «ora che gli alleati hanno liberato l’Italia, dobbiamo
liberarci anche noi». Proseguire quella relazione significava inimicarsi tutti,
in primis la famiglia e il partito. Subì anche il carcere, accusato di
adulterio. Sottopose il suo caso a Velio Spano, della direzione siciliana del
partito: «Gli spiegarono il mio caso. Lo sciolse rapidamente e nella sorpresa
generale mi assolse con formula piena. Potevo sovrintendere ai compiti di dirigente
del partito, nonostante fossi concubino. Mi offrirono un ruolo. "Preferisco rimanere nel sindacato" risposi piccato».
A 23 anni diventa segretario della Cgil siciliana. Da capo del sindacato,
batté l’isola palmo a palmo, occupò le terre nella zona d’influenza di Genco
Russo, guidò i contadini nell’occupazione dei feudi, aprì sezioni del partito
ovunque. Tra gli elementi fondanti dell’identità del Pci siciliano vi fu la
lotta alla mafia «L’approccio cambiò con l’approdo sull’isola di Girolamo Li Causi». Con Li Causi intervenne nel settembre 1944 a Villalba «uno dei feudi della
mafia, a sfidare il boss Calogero Vizzini e ci spararono addosso» . Il
coraggio non poteva mancare negli anni del separatismo banditesco e di Portella
della Ginestra. Si faceva opposizione in Sicilia, consapevoli di avere come
avversari gli agrari legati a Cosa Nostra.
Gli anni delle lotte contadine conducono a risultati sino ad allora
insperati «I contadini maturarono, nel fuoco delle lotte, la consapevolezza di
essere cittadini. Sino a quel momento non avevano nemmeno una pensione. La
ottennero grazie alla cocciutaggine di un dirigente sindacale, Domenico
Cuffaro, il quale promosse una legge per dare trecento lire ai vecchi
braccianti» . Negli anni dell’impegno sindacale incontrò Pio La Torre per la
prima volta «era il 1947. Venne a Caltanissetta come delegato dei braccianti al
congresso della Cgil». Nacque un’amicizia intensa tra i due.
Macaluso fu uomo di lotta e di governo. Nel 1958 Amintore Fanfani è
contemporaneamente Presidente del Consiglio, Ministro degli Esteri e Segretario
della Democrazia cristiana, sono gli anni dello "spregiudicato regime
fanfaniano". In Sicilia scoppia una rivolta interna al parlamento isolano.
A guidarla è Silvio Milazzo, allievo di Sturzo e dissidente Dc. Tra i
protagonisti della ‘Operazione Milazzo’, come verrà chiamata, il missino Dino
Grammatico ed Emanuele Macaluso, «io sono stato il promotore. Sono sessant’anni
che me lo rinfacciano».
Macaluso definì la spaccatura della Dc «uno dei momenti più entusiasmanti
della mia vita». In quella breve esperienza di governo si fece la legge di
riforma agraria «che era molto più avanzata di quella nazionale, perché aveva
il limite alla proprietà a duecento ettari», a testimonianza di come il milazzismo
non poteva essere ridotto a mero trasformismo «una lettura superficiale. Una
battuta giornalistica» . Dal 1967 tornerà a guidare la segreteria regionale
del Pci. Parlamentare per sette legislature, direttore dell’Unità dal 1982 al
1986, amico personale di Napolitano, Berlinguer, Guttuso, Sciascia, Di
Vittorio. Racchiudere in un volume la storia di Macaluso non è semplice.
Concetto Vecchio ci propone un affresco denso, intimo, di uomo che fece della
sua vita un romanzo militante.
La Repubblica Palermo, 11 maggio 2021
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