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Il delitto Scaglione in via dei cipressi |
Il 5 maggio del 1971 fu ucciso, con il fedele agente Antonio Lorusso, in via dei Cipressi a Palermo, il Procuratore capo della Repubblica, Pietro Scaglione, definito – anche in sentenze irrevocabili – “magistrato integerrimo, dotato di eccezionali capacità professionali e di assoluta onestà morale, persecutore spietato della mafia, le cui indiscusse doti morali e professionali risultano chiaramente dagli atti” (V. Corte di appello di Genova, Sez. II penale, sentenza 1 luglio 1975 n. 319, passata in giudicato).
In occasione del Cinquantesimo Anniversario, l’Amministrazione comunale di Palermo, con provvedimento del Sindaco, prof. Leoluca Orlando, ha deliberato di intitolare alle due vittime del dovere l’Atrio e le due aule didattiche del Palazzo comunale Gravina di Palagonia, in via IV di Aprile. La cerimonia si svolgerà, nell’osservanza della normativa Anticovid, mercoledì’ 5 maggio. Inoltre, nel giardino della Casa circondariale Pagliarelli, intitolata a Antonio Lorusso, si svolgerà un momento di ricordo, su iniziativa del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Infine, il Presidio Scaglione-Lorusso di Libera Genova promuoverà un incontro commemorativo su piattaforma on line, con studiosi e familiari delle 2 vittime. A causa della situazione pandemica, invece, sono stati rinviati a data da destinarsi gli altri eventi programmati, come il Convegno sul tema “Mafia e Antimafia nel dopoguerra e negli Anni Cinquanta”, nonché la mostra internazionale sui processi dell’Inquisizione in Sicilia.
Entrato in magistratura nel 1928, Pietro Scaglione “dimostrò indipendenza di giudizio anche durante il ventennio fascista” (come scrissero anche i giornalisti Enzo Perrone e Rosario Poma nel volume “La mafia: nonni e nipoti”, Vallecchi, Firenze, 1971).
Nella sua lunga carriera di giudice e pubblico ministero, si occupò dei più gravi misteri siciliani per accertarne la verità e assicurarne i colpevoli alla giustizia, impegnandosi anche attivamente in difesa dell’autonomia della magistratura dal potere esecutivo.
In particolare, con riferimento alla strage di Portella della Ginestra del 1 maggio 1947, il Pubblico ministero Pietro Scaglione, nel 1953, definì l’uccisione dei contadini come un “delitto infame, ripugnante e abominevole” e accreditò come principali moventi: la “difesa del latifondo e dei latifondisti”; la lotta “ad oltranza” contro il comunismo che Salvatore Giuliano “mostrò sempre di odiare e di osteggiare”; la volontà da parte degli autori di accreditarsi come “i debellatori del comunismo”, per poi ottenere l’amnistia; la volontà di “usurpazione dei poteri di polizia devoluti allo Stato”; la “punizione” contro i contadini che occupavano le terre.
Nella requisitoria del 1956 sull’omicidio del sindacalista Salvatore Carnevale, il pubblico ministero Scaglione esaltò la figura della vittima e le lotte contadine, parlò di “febbre della terra” e scrisse che l’attività di Carnevale era temuta da coloro che avevano interesse al mantenimento del sistema latifondista e del potere mafioso.
Assunta nel 1962 la carica di Procuratore capo della Repubblica di Palermo, il 30 giugno del 1963 fu, tra i primi a recarsi a Ciaculli, dove una Giulietta Alfa Romeo, carica di esplosivo era deflagrata causando la morte di 7 appartenenti alle forze di polizia e all’Esercito. In quella drammatica occasione, ad un Generale dell’Esercito, che invocava l’applicazione della legge marziale, replicò che i responsabili della efferata strage sarebbero stati perseguiti nell’osservanza delle regole e delle garanzie dello Stato di diritto. Successivamente, infatti, la Procura della Repubblica, diretta da Pietro Scaglione e l’Ufficio istruzione penale del Tribunale, con il giudice istruttore Cesare Terranova, svolsero una intensa e efficace attività investigativa che portò al risultato di “scardinare e disperdere le organizzazioni mafiose” e allo “scioglimento della Commissione provinciale di Cosa Nostra”, come si legge negli Atti della Commissione parlamentare antimafia e del Maxi-Processo degli anni 80.
Il Procuratore Scaglione promosse anche numerose inchieste a carico di politici e di amministratori - come risulta dagli atti giudiziari, dalle sentenze e dalla testimonianza del giornalista Mario Francese (ucciso nel 1979), il quale scrisse: "Pietro Scaglione fu convinto assertore che la mafia aveva origini politiche e che i mafiosi di maggior rilievo bisognava snidarli nelle pubbliche amministrazioni. E’ il tempo del cosiddetto braccio di ferro tra l’alto magistrato e i politici, il tempo in cui la linea Scaglione portò ad una serie di procedimenti per peculato o per interesse privato in atti di ufficio nei confronti di amministratori comunali e di enti pubblici”. Il riacutizzarsi del fenomeno mafioso, negli anni 1969-1971, “aveva indotto Scaglione ad intensificare la sua opera di bonifica sociale”, infatti, richieste di “misure di prevenzione e procedimenti contro pubblici amministratori ……hanno caratterizzato l’ultimo periodo di attività del Procuratore capo della Repubblica". (MARIO FRANCESE, Il giudice degli anni più caldi, in il Giornale di Sicilia, 6 maggio 1971, p. 3).
Scaglione si occupò anche della misteriosa scomparsa del giornalista Mauro De Mauro nel settembre del 1970. L’intervento di Scaglione fu “attivissimo” come risulta dagli atti giudiziari e come dichiarò anche la moglie del giornalista scomparso nel periodico “La Domenica del Corriere” del 13/6/1972.
Il Procuratore Scaglione svolse altresì, con impegno e dedizione, la funzione di Presidente del Consiglio di Patronato per l’assistenza alle famiglie dei detenuti ed ai soggetti liberati dal carcere, promuovendo, tra l’altro, la costruzione di un asilo nido; per queste attività sociali, gli fu conferito dal Ministero della Giustizia il Diploma di primo grado al merito della redenzione sociale, con facoltà di fregiarsi della relativa medaglia d’oro.
Inoltre, con Decreto del Ministero della Giustizia, previo parere favorevole del Consiglio Superiore della Magistratura, Pietro Scaglione fu riconosciuto “magistrato caduto vittima del dovere e della mafia”.
Le causali del delitto, come la precedente scomparsa del giornalista Mauro De Mauro – ha scritto lo storico Francesco Renda (Storia della mafia. Come, dove, quando, Palermo, Sigma edizioni, 1997, p. 374) - erano infatti “inequivocabili”: "Si trattava di una ripresa del terrorismo mafioso tipo 1946-1948, non più però contro dirigenti sindacali e politici del mondo contadino, bensì contro la stampa e un corpo essenziale dello Stato, come l’organo giudiziario".
Ed ancora, "a partire dagli anni settanta – come Paolo Borsellino affermò (in La Sicilia, 2 febbraio 1987, p. 1; e in L'Ora, 2 febbraio 1987, p. 10) - – la mafia condusse una campagna d’eliminazione sistematica degli investigatori che intuirono qualcosa. Le cosche sapevano che erano isolati, che dietro di loro non c’era lo Stato e che la loro morte avrebbe ritardato le scoperte. Isolati, uccisi, quegli uomini furono persino calunniati. Accadde così per Scaglione […]".
In questo contesto, "l’uccisione di Pietro Scaglione, Procuratore della Repubblica di Palermo" - come affermò infine Giovanni Falcone (in Interventi e proposte, Sansoni, 1994, p. 310; e in La Posta in gioco, edizioni Bur, 2011, p. 320) - aveva, comunque, "lo scopo di dimostrare a tutti che “Cosa nostra” non soltanto non era stata intimidita dalla repressione giudiziaria, ma che era sempre pronta a colpire chiunque ostacolasse il suo cammino".
Peraltro, il Procuratore Scaglione anticipò di circa 25 anni gli elementi costitutivi del delitto di associazione di tipo mafioso che, solo nel 1982, saranno codificati nel nuovo art. 416-bis del codice penale, introdotto dalla legge Rognoni-La Torre.
Nel lontano 1957, infatti, nelle requisitorie relative al delitto Pisciotta scrisse: “La mafia è una potente e mastodontica organizzazione criminale, che purtroppo ancora vive e prospera specialmente nelle nostre campagne ed ai margini delle proprietà terriera imponendo la propria legge che è la legge della violenza, dell’omertà e della prepotenza.”. Ed ancora, nel 1969, in un documento inviato alla Commissione parlamentare antimafia Scaglione definì la mafia come “una mastodontica e tenebrosa organizzazione delinquenziale, viva ed operante come gigantesca piovra, che stende ovunque i suoi micidiali tentacoli e tutto travolge per soddisfare la sua sete insaziabile di denaro e predominio”.
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