Nello Musumeci e Ruggero Razza
di SERGIO RIZZO
Esiste da sempre in tutto il mondo un
principio non scritto che è tuttavia ispiratore di ogni scelta politica. Si
chiama opportunità, e diciamo subito che il principio non c’entra nulla con
eventuali responsabilità giudiziarie. È esistito anche in Italia, al tempo in
cui ministri e perfino semplici parlamentarti sfiorati da un’inchiesta giudiziaria
si dimettevano per ragioni, appunto, di opportunità: perché sul loro operato
nelle istituzioni non gravasse alcuna ombra, e questo indipendentemente
dall’esito delle indagini che li riguardavano. Se quel principio venisse
rispettato anche oggi, non c’è dubbio alcuno che mai e poi mai il presidente
della Regione siciliana Nello Musumeci avrebbe potuto riproporre Ruggero Razza
per l’incarico di assessore regionale alla Salute. Il fatto è che nella
politica del nostro Paese è passato di moda da un bel pezzo. E a ulteriore
conferma di quanto ciò sia vero ci sono le parole del medesimo Musumeci, che ha
giustificato il ritorno di Razza in giunta, dopo aver affermato che «la Sicilia
ha bisogno di persone per bene e competenti come lui», perché «nessuno mi pare
in Sicilia abbia avuto il coraggio di rassegnare le dimissioni da una carica
istituzionale raggiunto da un avviso di garanzia per un reato non associativo».
Forse in Sicilia, caro presidente. Perché basterebbe rispolverare solo un poco
la memoria per ricordare come nel 1993 i ministri del governo nazionale
raggiunti da avvisi di garanzia si dimettevano a raffica.
Si dimise anche un galantuomo come Franco Reviglio, ministro del Bilancio nel primo governo di Giuliano Amato, totalmente estraneo alle accuse mosse nei suoi confronti, come poi venne provato.
E anche più recentemente, sia pure a corrente alternata, quel principio ha
fatto capolino. Non si è arrivati alle dimissioni di un ministro colpevole di
aver copiato un capitolo della tesi di dottorato, com’è accaduto in Germania,
ma presunte irregolarità fiscali hanno indotto nel 2013 la ministra dello Sport
del governo di Enrico Letta, Josefa Idem, a rimettere il mandato. Anche lei senza
aver ricevuto «un avviso di garanzia per un reato non associativo». E fa
addirittura sorridere la battuta di Musumeci, secondo il quale se i politici
dovessero dimettersi per un avviso di garanzia «il 50 per cento della classe
dirigente italiana subito dovrebbe lasciare le istituzioni».
Tutti puzzano un po’, quindi non puzza nessuno… Brillante deduzione.
La politica è per sua stessa natura un’attività esposta al giudizio morale
della collettività. Di conseguenza comportamenti pure non penalmente
rilevanti, ma moralmente pregiudizievoli, dovrebbero obbligare i politici a
passare sotto le forche caudine di quel principio: l’opportunità, appunto. È
opportuno che un politico alla guida di un’amministrazione sulla quale grava il
sospetto di aver truccato i dati dei contagi spalmandoli su più giorni
(«spalmiamoli un poco», diceva al telefono al suo sottoposto secondo un’Ansa
del 15 aprile scorso) per evitare di mandare in zona rossa la propria regione
torni al timone della stessa amministrazione mentre l’inchiesta che lo riguarda
non è ancora chiusa? Ecco la domanda che si sarebbe dovuto porre Musumeci, se
fosse stato consapevole del fatto che una decisione inopportuna avrebbe
minato la credibilità sua e della sua giunta in una materia così delicata. Tanto
delicata, e in un momento ancor più delicato, che niente dovrebbe essere più
lontano dei calcoli politici dalla necessità di tutelare la collettività.
Questo secondo la logica, ma la logica passa qui evidentemente in secondo
piano rispetto ad altre questioni, per esempio il consenso. Che altro pensare,
sapendo come il peso gigantesco che ha la sanità abbia sempre condizionato la
politica in questa regione? Dove gli interessi in gioco sono enormi, come sta a
dimostrare il numero a tre zeri di strutture private accreditate (e ben pagate)
dalla Regione, comprese cliniche già di proprietà di politici e loro familiari.
Un effetto nemmeno troppo collaterale della singolare attrazione
esercitata dal potere regionale sulle professioni sanitarie: medici erano due degli
ultimi quattro presidenti di Regione, Salvatore Cuffaro e Raffaele Lombardo. Ma
tant’è.
Non stupisce quindi che in tale contesto l’opportunità delle decisioni sia
passata ancor più di moda. Al suo posto c’è ora un altro principio fondamentale
rivendicato da tutti: l’innocenza fino alla Cassazione. E magari anche oltre,
dipende dalle circostanze in cui è maturata la sentenza di terzo grado, che
magari arriverà quando la carriera ha dato ormai il meglio di sé. Naturalmente
quel principio è sacrosanto, in democrazia, per chiunque abbia a che fare con
la giustizia, politici compresi. E sia chiaro che a nessuno deve mancare il
rispetto della presunzione di non colpevolezza fino alla sentenza definitiva.
Ma dev’essere anche chiaro che i doveri della politica implicano responsabilità
verso la collettività ben differenti da quelle giudiziarie. Altrimenti, dietro
al paravento dei tre gradi di giudizio, si rischia di uccidere la politica
sana. Ci pensino bene lorsignori, quando se ne infischiano del principio
dell’opportunità.
La Repubblica Palermo, 29 maggio 2021
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