di ROBERTO MORANDI
Maria Rosaria Fosforino e Marina Noce vengono da un'esperienza di sinistra, portano una critica articolata alla proposta di legge contro l'omotransfobia, dalla moltiplicazione dei generi alla maternità surrogata come forma di sfruttamento
Il Ddl Zan sul contrasto alla omotransfobia riprende il suo percorso parlamentare. Ci sono voci favorevoli e altre contrarie o dubbiose sulla nuova legge: anche se la nuova norma è sostenuta dal centrosinistra e avversata da tutte le forze del centrodestra (di governo e all’opposizione) nella società le posizioni sono più frastagliate ed emerge anche una critica – ad esempio – da esponenti del femminismo o della sinistra.
Riceviamo e pubblichiamo la articolata posizione espressa da Maria Rosaria Fosforino e Marina Noce.
Nell’Anpi ognuna di noi porta il proprio gomitolo esperienziale per tessere insieme agli altri il presente e il futuro, attraverso il filo resistente dell’antifascismo. Nell’Anpi di Cassano Magnago questo lavoro di tessitura è portato avanti da una segreteria costituita principalmente da donne che, come è naturale che sia, hanno stili e percorsi di vita differenti. Questa alterità però non impedisce alle tessitrici di costruire il loro telaio mettendo l’ordito e la trama della loro tela armoniosamente insieme.
E’ su questa modalità di lavoro ci siamo incontrate io, Maria Rosaria Fosforino, e Marina Noce. Lei cattolica e io atea marxista. Siamo due donne che attraverso il gesto pensato e intrecciato generano quel “soggetto imprevisto” su qui ragionava Carla Lonzi negli anno Settanta. Questo nostro diverso modo di guardare il mondo ricorda la retta verticale e orizzontale, che si incrociano nel loro punto di origine. Il nostro punto d’origine è il nostro essere donne.
Nasce uno scambio culturale, di esperienze, di pratiche. Io cito Teresa Noce, Carla Lonzi, Adriana Cavarero, lei mi racconta la storia di Edith Stein. Più nota come Santa Teresa Benedetta della Croce, la quale pone un’enfasi speciale sul concetto che nessuna donna è solo “una donna”.
Marina sente inoltre come sua l’espressione utilizzata dalla teologa Anna Maria van Schurman: “il cielo è il limite”. La teologa usa questa affermazione nelle corrispondenza con Marie de Gournay per affermare che il criterio ultimo è Dio e non i costumi e le convenzioni umane. Io invece, poco interessata all’aspetto trascendente, concordo però insieme a Marina su un fatto: entrambe comprendiamo che i limiti , anche per la Schurman, furono di tipo pratici, economici e simbolici. I limiti pratici della teologa, come quelli della maggioranza delle donne di oggi, furono i suoi gravosi impegni familiari: due zie malate, delle quali si occupò personalmente per più di vent’anni. Uno sguardo femminista a 360 gradi deve allora sempre fare i conti con i privilegi associati alla classe se vuole davvero scompaginare e produrre una giustizia reale.
Io e Marina forse siamo “poco moderne”, ma fatichiamo a comprendere sia gli asterischi che il concetto di identità di genere, tanto di moda invece nel femminismo liberal progressista. Sappiamo certo che per identità di genere si intende l’identificazione percepita e manifesta di sé in relazione al genere, anche se non corrisponde al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione. Io e Marina sentiamo però più urgente la lotta per eliminare gli stereotipi di genere. Non siamo invece disposte a bruciare il corpo sessuato sull’altere della fluidità di genere.
Il sesso è una realtà biologica, mentre il genere rimane, ed è un costrutto socioculturale che avalla le disuguaglianze sociali. Indossare una gonna, mettersi un rossetto o giocare con le bambole non cambia la realtà biologia e nulla hanno a che vedere con la dimensione specifica del sesso. Gli oggetti e i comportamenti etichettati come “femminili” e “ maschili” sono solo gabbie sociali e culturali dalle quali bisogna uscire. Va frantumata perciò la cristallizzazione stereotipata attraverso i ruoli di genere, invece di inventare un ventaglio di generi. L’essere umano deve essere rispettato a prescindere del suo essere conforme o non conforme. Conforme a che cosa poi, ci chiediamo io e Marina. Agli oggetti, al modo di camminare, di parlare, di sorridere?. Questo, a nostro avviso, è un procedere in avanti restando in superficie. Bisogna andare alla radice delle cose.
Questo voler andare alla radice delle cose ci porta ad essere anche contro la maternità surrogata intesa da noi come una pratica barbarica che riduce il corpo femminile e quello dei nascituri a merce vendibile sul mercato. Affermiamo che l’autodeterminazione delle donne, in questo frangente, non c’entra nulla in quanto non è possibile disporre di ciò che è indisponibile: l’essere umano non può essere affittato, venduto, commissionato o donato. In questo caso, secondo noi, l’autodeterminazione della donna e la retorica del dono e della generosità femminile viene utilizzata nella narrazione edulcorata dal cosiddetto “capitalismo filantropico” per mistificare la realtà.
Sosteniamo che non bisogna essere madri per comprendere che questa pratica è una schiavitù del terzo millennio che prevede, al contrario di quella antica, un contratto. Nei contratti previsti da questa pratica, la donna, invero, più che avere un effettivo controllo sul suo corpo, rinuncia di fatto ad esso. Spesso sono donne povere (povertà assoluta o relativa) a diventare madri surrogate. Si tutela dunque il desiderio del mondo ricco. La solita vecchia storia: la prepotenza del ricco sul povero che legittima lo sfruttamento del corpo degli altri. Non importa se la coppia sia composta da omosessuali, un uomo solo, una donna sola o una coppia eterosessuale, qui è in gioco il principio più profondo della dimensione umana. Non comprendere ciòo significa essere ideologicamente centrati sul concetto di profitto ad ogni costo e aver introiettato la famosa “omologazione culturale” del liberismo economico.
Mentre aspettiamo la fine della pandemia, io e Marina stiamo pensando di articolare degli incontri, magari a cadenza regolare, per discutere con altre donne di queste ed altre tematiche come, ad esempio, la rappresentanza politica, il femminicidio e la violenza maschile che produce una strage quotidiana casa per casa, il divario retributivo tra donne e uomini e lo sfruttamento del lavoro domestico e di cura. Le tematiche sono tante, perciò noi siamo convinte che le donne abbiano, oggi più che mai, bisogno di incontrarsi ancora, ancora e ancora.
Nella prefazione al testo di Simone de Beauvor, scritta da Julia Kristeva, leggiamo che il femminismo “era in preparazione dalla notte dei tempi; covava sotto le ceneri dei focolari; sfrigolava nei pentoloni; esplodeva nella camere da letto; si diceva e non diceva; si scolpiva e si cantava nelle chiese barocche della cristianità; era anche descritta dalle autrici di epistole, dalle filosofe e dalle altre donne del secolo dei Lumi; aveva iniziato a rivendicare diritti politici. Non aveva mai smesso di darsi da fare: mistiche, scrittrici, suffragette, anonime”.
Ci piacerebbe continuare da qui.
roberto.morandi@varesenews.it
Fare giornalismo vuol dire raccontare i fatti, avere il coraggio di interpretarli, a volte anche cercare nel passato le radici di ciò che viviamo. È quello che provo a fare a VareseNews.
varesenews.it, 29/04/2021
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