Emanuele Macaluso
di Concetto Vecchio
Arrestati nel 1944 perché lei era sposata, in realtà
per colpire lui La storia emerge dalle carte ritrovate e pubblicate nella
biografia
Caltanissetta, 18 febbraio 1944. Le dieci del mattino. Due poliziotti
irrompono nella locanda Italia,salgono a precipizio le scale e bussano alla
porta della stanza numero otto. «Che volete?» chiede il giovane che si presenta
sull’uscio, lo studente Emanuele Macaluso, 19 anni. È lì in compagnia di una
donna, Lina Di Maria, 22 anni. I poliziotti esigono i documenti. «Lei è
sposata», fanno notare gli agenti alla ragazza. «Siete in arresto», annuncia
ilmarescialloGiovanniVacirca.«Perché?» chiede Macaluso. «Per adulterio!».
Questa storia del suo arresto per adulterio, Emanuele Macaluso me l’aveva raccontata tante volte. Nei giorni di buonumore imitava con gusto Vacirca, in quelli di tedio se ne indignava, raccontandola per quella che era stata: una carognata,per vendicarsi del suo impegno di sindacalista comunista. La Dc aveva costretto il marito di Lina, un vigile urbano di vent’anni più anziano, che lei aveva sposato a tredici anni, e con cui aveva fatto due figli, a denunciarlo in questura. Lina ed Emanuele si frequentavano in gran segreto da due anni, dopo che si erano conosciuti ad una festa da ballo in casa della donna nel 1941. Macaluso vi era stato introdotto da un amico per svagarsi dopo i mesi trascorsi in sanatorio, ricoverato per una grave forma di tubercolosi. L’arrestoera facoltativo, la polizia procedette per sfregio. Lina ed Emanuele finirono nel carcere del Malaspina, dove rimasero reclusi nove giorni. «Colpevoli solo di amarci!», esplodeva Macaluso, nei giorni di malumore.
Macaluso purtroppo era già morto, quando lo scorso febbraio ho trovato le
carte di quell’inchiesta all’Archivio diStatodiCaltanissetta:49documenti,
stipati in un fascicolo pieno dipolvere,chesaltaronofuorigrazie alla meritoria
tenacia del personale. Macaluso non le aveva. «Non ho mai tenuto nulla, perché
un giorno Togliatti mi ammonì: "Chi scrive
poiconserva"».Tuttoeranellasuatesta, di memoria prodigiosa, come
sannoquellichelohannofrequentato.
Quegliattigiudiziarieranolospecchio morale del fascismo. Un’Italia
maschilista in cui la moglie adultera era punita con la reclusione fino a un
anno - e con la stessa pena veniva sanzionato in concorso anche il suo amante -
mentre l’uomo veniva condannato soltanto per «concubinato stabile e notorio»,
ovvero nel caso convivesse sotto lo stesso tetto con l’amante. Una legge che
sopravvisse alla fine del regime, e che ancora nel 1961 la Consulta giudicò
perfettamente compatibile col principio costituzionale dell’eguaglianza morale
e giuridica dei coniugi. Ci volle il Sessantotto per abrogarla,finalmente.
Quelle carte quindi rivelavano un mondo. Dentro il fascicolo giudiziario
spuntarono a sorpresa anche quattro lettere, tre scritte da Macaluso e una di
Lina: le aveva intercettate il marito, insiemeauna foto con dedica che Lina
intendeva regalare ad Emanuele, e che vennero prodotte come prove della tresca.
Il pretore le mise agli atti come corpo del reato.
Dalle lettere, colme di strazio,meraviglia, poesia, quella storia ora
emergeva perquellacheerastata: carne e sangue. Un amour fou che
sembrava impossibile. Scriveva Lina: «Emanuele, mi devi scusare di tutto quello
che è accaduto, sono una povera disgraziata, illusa dalle tue promesse, dai
tuoi giuramenti, ma però pensocheun’altraLinanonpuoitrovarla,
oppuretroverail’amorelostesso manontipotràdaretuttocomete l’ho datoio,che perte
non ho saputo quello che ho fatto. Sono stata cieca completamente, non ho più
avuto vergogna della gente, non ho avuto più paura di nessuno, non mi
sono mai stancata di essere torturata dalla mattina alla sera e anche la
notte nonmisono maicuratadimestessa, sono stata tutta nera, sono stata tutta
dolore».
Le rispondeva Macaluso: «La mia vita mi diventa insopportabile, comincio a
non credere più nel mio avvenire, vedo un buio pesto, e non so più trovare la
strada, sento di essermi sperduto nella vita, tanti pensieri colpiscono
violentemente il mio cervello, a volte vorrei tanto gridare aiuto: ma chi
potrebbe soccorrermi? Nessuno! Oggi lasciandoti ho rivisto molti episodi del
nostro passato, e una grande commozione ha invaso il mio cuore, e ho sentito
bruciarmi gli occhi per le lacrime, ho sentito stringermi forte il cuore, e per
tutto ilgiorno sonorimasto così».
Nell’autunno del 2019 avevo proposto a Macalusodi scrivere unabiografia
sentimentale. «Sentimentale? »chiese.«Meno comunismoepiù Emanuele», dissi. «E
allora va bene», rispose. Cominciammo a vederci assiduamente. Mi aspettava
nella penombra del suo salottinoaTestaccio con lo sguardo rivolto alla
finestra. «Ciao», gli dicevo. «Ciao», rispondeva e alzava la magra mano. «Come
stai?» gli chiedevo. «Eh», faceva lui. Tiravofuori iltaccuinoinsilenzio,
avvicinavo la poltrona, accendevo il registratore. «Iniziamo?» gli chiedevo.
Macaluso annuiva. Avvertiva acutamente cheiltempoglistavasfuggendo di mano,
c’era in lui una segreta impazienza, l’urgenza di stendere per l’ultima volta
il resoconto della sua vita.
Macaluso era il grande libro del Novecento. L’antifascismo nella cellula
clandestina di Luziu Boccadutri a Caltanissetta. L’epopea dell’occupazione
delle terre, con Pio La Torre, accantoaicontadiniacuiavevainsegnato a non
togliersi più il cappello dinanzi ai baroni. La Sicilia feroce delle zolfare,
con i carusi costretti a una vita disumana. Quella volta che andò a
Villalba con Girolamo Li Causi e il capomafia Calogero Vizzini gli fece sparare
addosso. Il Pci che gli fece laguerraperlastoriaconLina.L’amicizia
conLeonardoSciascia,Renato Guttuso, Sandro Pertini, Giorgio Napolitano. La
collaborazione con Palmiro Togliatti ed Enrico Berlinguer. Una donna, delusa
dal suo abbandono, si era uccisa per amore. NellungoSessantottosuofiglioPompeo
sieraribellatoalpadre,venne arrestato dopo un comizio del
movimento Servire il popolo e trascorse dei mesi all’Ucciardone. La figlia
di una compagna era diventata terrorista proprio mentre il Pci di Macaluso
sposavaleleggispeciali.Infinedivenne direttore dell’Unità. Fu lui a fare i
titoli della prima pagina nel giorno dell’addio a Enrico Berlinguer.
Macaluso era stato dentro e fuori la chiesa comunista, aveva disubbidito,
equestomipiacevainlui.Eppure, fino alla fine, era sempre stato coerente con i
suoi ideali di ragazzo umanissimo. «La questione sociale! Il lavoro!»
s’inalberava, «di cos’altro dovrebbe occuparsi la sinistra anche oggi?».
Emanuele e Lina uscirono dal carcere, si misero insieme, fecero due figli,
Antonio e Pompeo. Quando finii di leggere tutte le carte e le missive
delfascicolo giudiziariocapiichetutto era molto più complicato, ma anche più
avvincente. La sua vicenda era stata così ricca di contraddizioni,
cosìintessutadisfumaturepsicologiche, morali, sociali, che a un certo punto ho
capito che si era trasposto nelromanzesco:Macalusoeradiventato un personaggio
letterario. Le portai al figlio Antonio e rimanemmo in silenzio. C’erano stati
gli onori del partito, certo, molta generale considerazione, una vita pubblica
trapuntata di medaglie, ma erano in fondo povera cosa in confronto al fuoco che
quelle lettere ingiallite rivelavano. Niente,m’illudevo, era stato all’altezza
di quei sentimenti.
Il libro non racconta solo la vicenda dell’intellettuale del Pci, ma è una
cavalcata nel Novecento italiano
La Repubblica, 28 aprile 2021
Nessun commento:
Posta un commento