di Mario Pintagro
Un giovane aviere partito da Alcara sui Nebrodi e poi dato per disperso Una ricerca negli archivi, la scoperta di un cimitero in Germania
«Che fine ha fatto lo zio Santo?». Tutte le volte che si prendeva l’argomento la risposta era telegrafica: «è morto in guerra». Per la verità sarebbe stato più corretto rispondere che era disperso, non c’era un corpo su cui piangere per mamma Carmela e papà Rosario che si erano visti strappare questo figlio agli affetti e di cui non avevano saputo più nulla. Dello zio Santo, fratello di mio padre Gaetano, conserviamo una foto in divisa da aviere, lo sguardo triste, nelle mani una sigaretta come magra consolazione per un futuro che non promette nulla di buono al di là dei roboanti proclami di Mussolini.
Dopo mio padre, classe ‘17, tocca infatti allo zio Santo, classe ‘23,
indossare la divisa, allo scoccare del diciottesimo anno, quando la guerra ha
preso già una brutta piega e il duce non ha più bisogno di mille morti per
sedersi con la Germania al tavolo delle trattative di pace, perché si è
infilato in un vicolo cieco dal quale uscirà con una immane disfatta. C’è da
immaginarselo lo zio Santo mentre lascia sconsolato la casa paterna alle spalle
della chiesa madre nel suo paese arrampicato sui monti Nebrodi nel centro della
Sicilia. Alcara, è il paese tenacemente aggrappato alle Rocche del Crasto, e la
cui fondazione si faceva ascendere nientemeno che a Enea. Un minuscolo centro
famoso per l’abilità delle sue tessitrici e celebrato qualche tempo dopo da
Vincenzo Consolo nel " Sorriso dell’ignoto marinaio".
L’aviere Pintagro fu assegnato al Comando della Prima zona aerea
territoriale della Regia Aeronautica, con sede a Milano, crocevia di tante industrie
del settore. Allo scoccare dell’armistizio l’aviere Pintagro, come
centinaia di migliaia di altri soldati italiani, venne catturato dai tedeschi,
e da quel momento fu come inghiottito in un gorgo.
Alcuni anni dopo mio nonno ebbe dal ministero della Difesa generiche
informazioni che lo davano per morto in un bombardamento in Germania, perciò,
nell’agosto del 1950, alla pretura di Sant’Agata Militello radunò gli amici
Giuseppe e Salvatore per redigere un atto di morte presunta. Il Comune di
Alcara celebrò lo zio Santo nel monumento ai caduti, mia zia Carmela e mio
padre diedero il nome Santo al primogenito perché non si perdesse la memoria di
questo giovane disperso a nemmeno 21 anni, i fratelli Nunzio, Maria e Giuseppa
ne continuarono a mantenere vivo il ricordo.
Settantasei anni dopo riesco a ricostruire la sua storia grazie agli
archivi del Ministero della Difesa, che dalla carta sono stati trasferiti in
digitale. E’ un "Final destination" che mi appassiona. Mi attivo al
Commissariato generale per le onoranze ai caduti e dopo due mesi ottengo il
certificato di morte.
Sì, è proprio vero, lo zio Santo è morto prigioniero in un bombardamento a Dusseldorf il 26 marzo del 1944, probabilmente era al lavoro in uno dei numerosi campi di prigionia o in un’industria bellica. E non è un disperso. Il colonnello Roberto Esposito, direttore del Commissariato, ha belle parole: « Le sia di conforto sapere che mai potrà venire meno la riconoscenza e la memoria verso chi ha donato la vita per la Patria » . L’alto ufficiale fornisce altri elementi per la ricerca, l’Archivio Arolsen in Germania, Centro internazionale sui perseguitati dai nazisti, e, soprattutto mi indica che le spoglie di mio zio si trovano in un cimitero militare italiano a Francoforte sul Meno. All’archivio Arolsen, è incredibile, ci sono documenti che raccontano altri dettagli. Ci hanno messo del tempo per fare ordine i tedeschi, ma nel ’ 49 hanno ricostruito tutta la posizione. Nell’archivio c’è lo Sterbeurkunde, il certificato di morte che classifica Santo come cattolico e aviere della Luftwaffe, c’è un altro documento che racconta un luogo di sepoltura provvisorio a Dusseldorf e infine la collocazione in un cimitero a Francoforte sul Meno. Mando una mail a Beate Korenke- Baum, amministratore del cimitero e tre ore dopo giunge la foto della sepoltura: «C’è solo una piccola pietra tombale con nome e data, nient’altro. Spero le possa tornare utile ».
Anche questa è l’efficienza tedesca. Mando la foto del cippo in granito con
la targa in bronzo in Argentina, ai cugini e poi ai parenti alcaresi ed è un
diluvio di ricordi e affetti che si sprigiona. E’ un posto silenzioso e
alberato il cimitero di Francoforte dove hanno trovato sepoltura poco meno di
cinquemila italiani. In primavera spunta anche qualche papavero rosso fra i
cippi, proprio come ne " La guerra di Piero". Non sono mille, ma
pazienza.
La Repubblica Palermo, 12 marzo 2021
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