Leonardo Sciascia col nipote Fabrizio Catalano
di Mario Di Caro
Pirandello e Zola erano figure familiari che lo
fissavano da quei ritratti appesi nelle pareti della casa, mentre Bufalino e
Pannella erano dei compagni di giochi. Capita se tuo nonno si chiamava Leonardo
Sciascia e se da bambino hai respirato aria di letteratura. «Gide, Apollinaire
Stendhal, Voltaire erano persone di casa perché mio nonno nella casa di via
Scaduto collezionava ritratti di scrittori - dice Fabrizio Catalano, regista,
nipote di Leonardo Sciascia - Quando ho visto il film di Polanski “L’ufficiale
e la spia”, nella scena in cui appare il personaggio di Zola mi sono emozionato
perché ho ricordato subito il suo ritratto in salotto: lo percepisco come uno
di casa».
È il giorno del centenario di Leonardo Sciascia e Catalano svuota il pozzo
senza fondo delle sue memorie di bambino nella casa di un nonno così famoso e
così normale, come dice lui.
Ma fra tanti quale è il ricordo più intenso che si porta dietro?
«Sicuramente uno al quale eravamo legati entrambi, la scoperta della sua
collezione di sigilli. Io passavo intere settimane dai nonni e lui mi faceva
salire in piedi sulla sedia e mi mostrava questi sigilli. Io li potevo toccare
ma solo nelle sue mani. Ho bellissimi ricordi anche dell’ultima vacanza
assieme, nel 1988, in Friuli dai Nonino, dove ha scritto “Il cavaliere e la
morte”: due mesi in giro per l’Italia viaggiando rigorosamente in treno.
Abbiamo girato più di un mese in quella zona e poi siamo scesi lentamente verso
Palermo. È stato un viaggio formativo».
Quando ha preso coscienza che suo nonno era una celebrità?
«La celebrità del nonno a casa veniva vissuta come qualcosa di normale.
Avevo due anni e a casa dei nonni venne un giornalista messicano che mi trovò
seduto sul vasino. Se guardate le foto di mio nonno e Bufalino alla Noce
li vedete con i pantaloni dell’anno prima, le cinture vecchie, dietro ci sono i
vestiti stessi al sole: c’era una normalità che non appartiene più alla classe
intellettuale di oggi».
Lei fece in tempo a dire a suo nonno che avrebbe voluto fare il regista:
lui cosa le rispose?
«Gli dissi che volevo fare il regista di cinema la sera dopo avere visto
“Per qualche dollaro in più”: gli dissi che mi era piaciuto, così come uno dei
protagonisti, Lee Van Cleef, e lui subito rispose: “il cattivo”. Cominciò a
cercare i libri che aveva sul cinema,: aveva riviste e vecchi saggi sul cinema
e l’erotismo, la sua casa era una miniera. Mi ricordo che anche da ragazzino
gli parlavo di vecchi attori come Yul Brinner e Robert Mitchum e lui si stupiva
che il mio immaginario non fosse popolato da attori contemporanei come
Sylvester Stallone, che allora spopolava».
Già, come mai?
«Perché ognuno saluta con la coppola che ha: sono cresciuto con una certa
diffidenza verso la contemporaneità, evidentemente».
Veniamo ai consigli che tutti le invidiano: che libri le suggerì?
«Un consiglio che non si aspetta nessuno: nella mia vita sono successi
eventi che mi hanno portato verso il Belgio e lui mi consigliò “Bruges la
morta” di Rodenbach, un libro simbolista. Da piccoli ci leggeva le poesie di
Trilussa in campagna e questa cosa lo divertiva, raccontava vecchi aneddoti.
Mio fratello, invece, aveva in comune con lui una passione per Stevenson».
A proposito della casa di campagna, nel suo immaginario di bambino che
percezione aveva dei tanti scrittori, registi e politici che venivano a trovare
suo nonno?
«Bufalino e il fotografo Peppino Leone erano attesi con piacere perché con noi bambini ci sapevano fare. Io e mio fratello intrattenevamo Bufalino coi racconti sui dinosauri. Anche quella di Pannella era una visita gradita. Ma c’erano anche i rapporti coi vicini di campagna: una volta Nicuzzu e il fratello litigarono e salirono da mio nonno affinché stabilisse chi aveva ragione. E poi venivano uomini politici, Mannino, Craxi, Martelli, anche ideologicamente lontani da lui ma che venivano a sentire cosa pensava Sciascia di fatti che stavano accadendo: una cosa abbastanza strana, vista oggi».
Nel centenario della nascita qual è la lezione di Sciascia che resta?
“Nel “Cavaliere e la morte” c’è uno scambio di battute tra il Vice, che
dice come il potere si basi sull’insicurezza dei cittadini, e un altro
personaggio, secondo il quale saranno insicuri anche quelli che spargono
insicurezza. Basterebbe questo per testimoniare la deflagrante attualità del
pensiero di Sciascia. È il pensiero di uno scrittore che parla dell’oggi e
forse anche di domani, temo».
L’impressione è che la nostalgia del pensiero di Sciascia sia legata più al
polemista che allo scrittore. È d’accordo?
«Credo che tutto di Sciascia sia impegno civile, le poesie giovanili sono
impegno civile, Le parrochie di Regalpetra sono impegno civile, non
solo I professionisti dell’antimafia. L’impegno civile è in tutta la
sua opera e quindi le risposte ci sono già nei suoi libri su cosa avrebbe detto
di certe situazioni. Se c’è nostalgia di questo impegno è perché percepiamo che
la società è nuda senza voci indipendenti, siamo assediati dal politicamente
corretto. Degli ultimi trent’anni di vita culturale dell’Italia non resterà
traccia a parte il successo di Camilleri».
La memoria di suo nonno finora è stata celebrata come merita?
«Onorare la memoria di mio nonno fa anche comodo. Mia madre dice che
Sciascia si onora da solo perché i suoi libri sono là. È un carro del vincitore
sul quale molti hanno interesse a saltare».
La Repubblica Palermo, 8 gennaio 2021
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