di Alessandro Bellavista
L’interessante articolo, su questo giornale, di Francesco Patané, ha messo in evidenza come in Sicilia siano stati scovati, dalle forze dell’ordine, dal marzo 2019, parecchi beneficiari illegali del reddito di cittadinanza, perché, a vario titolo, condannati, indagati e pregiudicati. L’autore segnala che l’indebito accesso di tali personaggi alla fruizione del sussidio trova spiegazione nella circostanza che l’indiscutibile esigenza di accelerare i tempi di erogazione del medesimo ha fatto si che i controlli più dettagliati sul possesso dei relativi requisiti siano stati collocati a valle (e quindi non a monte) dell’avvio dell’elargizione monetaria a seguito della presentazione della domanda e delle connesse autocertificazioni. Sicché, nessuna deterrenza ha avuto nei confronti di alcuni delinquenti abituali la minaccia di subire la pesante sanzione penale, appunto prevista in caso di ingiustificata percezione del reddito. Ciò non rappresenta una novità, poiché basta ricordare la prassi abituale adottata dai mafiosi di rango: i quali, nonostante fossero dotati di cospicui patrimoni, appena raggiunta l’età legale, richiedevano la pensione sociale, riservata ai cittadini anziani privi di mezzi di sostentamento. Tutto questo, come ebbe a dire esplicitamente qualche capomafia, "per continuare a fottere lo Stato"!
Questo e tanti altri casi di ingiustificata percezione del reddito di
cittadinanza, di cui hanno parlato i media da quando è stato attivato siffatto
strumento, rinfocolano le perenni polemiche sulla funzione del medesimo, sulla
sua opportunità, sulla sua efficacia.
Anzitutto, va rilevato con soddisfazione che, ad ogni modo, i controlli
sulla legittima percezione del reddito sono stati effettuati (e continuano
ad esserlo), portando alla luce tanti comportamenti irregolari. E questo non è
poco, soprattutto in un paese dove, in ogni ambito della vita pubblica e
privata, proliferano molteplici forme di illegalità, difficili da perseguire
con efficacia; a tal punto che, a causa della mancanza di un’efficace azione
repressiva, l’evasione fiscale è ormai una sorta di sport nazionale. In secondo
luogo, va sottolineato con estrema chiarezza che l’introduzione del cosiddetto
reddito di cittadinanza (al di là dell’uso di una formula verbale alquanto
retorica) ha colmato una grave lacuna del sistema di welfare italiano: il quale
era (insieme alla Grecia) l’unico paese europeo privo di una misura universale
di contrasto alla povertà. Gli strumenti esistenti prima del varo del reddito
di cittadinanza presentavano varie carenze e non ne possedevano un’eguale
universalità ed efficacia. Il che poneva l’Italia in una situazione alquanto
paradossale, considerato il fatto che proprio nel belpaese si raggiungevano i
livelli più elevati di povertà rispetto a tutti gli altri partner europei. Per
essere ancora più chiari, le misure di contrasto alla povertà, come il reddito
di cittadinanza, basate in primis su sussidi monetari, hanno lo scopo primario
di liberare i poveri dallo stato di bisogno, in modo tale da consentire loro di
essere cittadini a pieno titolo e di sfuggire agli innumerevoli ricatti e
schiavitù a cui sono esposti proprio a causa della mancanza di adeguati mezzi
per vivere con dignità. Di conseguenza, questi strumenti, che assicurano un
reddito minimo a chi non ce l’ha, trovano piena copertura nei principi
fondamentali dello Stato sociale, come quello italiano, che mirano a
garantire la libertà, la dignità e l’eguaglianza sostanziale tra i cittadini.
E’ evidente che la sola erogazione di un sussidio non è sufficiente a
garantire la piena inclusione sociale di chi appunto è indigente. Pertanto,
anche per evitare lo sviluppo di atteggiamenti parassitari, le varie forme di
reddito minimo sono sempre accompagnate dall’inserimento del beneficiario in
percorsi personalizzati volti a favorirne l’integrazione sociale.
Ciò attraverso variegati programmi che vanno dall’eliminazione delle
condizioni di deprivazione sociale (tossicodipendenza, insicurezza abitativa ed
educativa) all’attivazione di momenti formativi e di avviamento al lavoro. Di
conseguenza, il funzionamento virtuoso del reddito di cittadinanza, per
sconfiggere realmente la povertà, dipende dalla capacità delle istituzioni di
implementare con efficacia una strategia siffatta. Certo, ancora tutto ciò non
s’è compiutamente realizzato, perché richiede tempo e si tratta di scontare
atavici ritardi nell’affrontare il problema della povertà. Ma accusare il
reddito di cittadinanza di essere una sorta di "paghetta di Stato" o,
peggio ancora, un "voto di scambio per legge" è del tutto ingeneroso
e si risolve nella negazione del valore dei principi fondamentali dello Stato
sociale consacrati nella Costituzione.
Oppure pensare di sostituire uno strumento del genere, come si è detto
presente ed efficace in tanti altri paesi, con qualcosa d’altro non ben
definito, è una sorta di ipocrisia: simile a quella attribuita a Maria
Antonietta che, di fronte ai tumulti del popolo di Parigi a causa della
mancanza di pane, ebbe a dire: "che mangino brioches"!
La Repubblica Palermo, 2 gennaio 2021
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