Salvatore Nicosia, presidente dell'Istituto Gramsci siciliano
di Salvatore Nicosia
A intervalli di tempo (mesi e
talvolta anni) giunge ai cittadini siciliani la notizia di una controversia che
vede opposti il Comune di Palermo, richiedente il pagamento di un affitto per
uno dei padiglioni alla Zisa, e l’Istituto Gramsci, non disposto a pagare e
perciò minacciato di sfratto. Mobilitazione, appelli, solidarietà di
istituzioni culturali, lettori, intellettuali e semplici cittadini da ogni
parte d’Italia, i politici che si adoperano a trovare un accordo, e il sindaco
pro tempore che può dichiarare alla stampa che «il problema Gramsci è risolto»:
salvo prendere atto, l’indomani, che i burocrati dell’amministrazione non sono
d’accordo. E tutto ripiomba nell’inerzia, fino alla successiva “mobilitazione”.
Questo schema si è ripetuto, sempre identico come ogni rito che si rispetti,
più volte negli anni, e ancora il 28 ottobre, quando l’avvocato del Comune non
si è presentato all’udienza davanti al giudice. Poiché dubito che la sostanza
del problema risulti chiara all’opinione pubblica, proverò a spiegarla in poche
parole.
L’Istituto Gramsci non è un inquilino moroso che occupa abusivamente uno
dei padiglioni ai Cantieri. Tale spazio l’ha avuto concesso dal 2000 al 2009 in
forza di un Protocollo d’intesa con il Comune che compensava la concessione con
una serie di servizi prestati alla città (biblioteca, archivio, sala di
lettura).
Alla scadenza del Protocollo (marzo 2009), di fronte alla richiesta di
rinnovo, il Settore Risorse immobiliari comunicava che «a norma di regolamento
non è prevista nessuna concessione a titolo gratuito», e la stessa affermazione
ribadiva nel giugno 2010. Era in realtà una affermazione falsa, perché il
regolamento prevedeva (e prevede) «per le associazioni di alta valenza e
utilità sociale e istituzionale» che «il canone potrà essere conguagliato
con l’acquisizione di servizi aventi finalità sociali». La fuorviante e falsa
dichiarazione è all’origine del contenzioso tra il Gramsci, che continua a
chiedere — in forza di una «alta valenza» da tutti (anche dal Comune e dallo
stesso Settore Risorse) riconosciutagli — l’applicazione del regolamento e la
compensazione del servizio socio-culturale da esso reso alla città, e
l’amministrazione che, misconoscendo la valutazione finanziaria che di questo
servizio ha dato il dipartimento di Scienze economiche dell’Università, ben
superiore al preteso “canone”, chiede la preventiva estinzione di un “debito”
che non è l’esito di un contratto, e che ha raggiunto negli anni una
consistenza insostenibile.
La pretesa del Comune di ricevere il pagamento dell’esorbitante cifra non
ha nessuna giustificazione, in quanto fondata su una falsa informazione fornita
al Gramsci a suo tempo dal Settore Risorse, non si sa se per sciatteria o per
malevola disposizione d’animo. Ragioni di natura etico-culturale e di buon
governo consigliano di desistere da tale immotivata pretesa: perché una
prestigiosa istituzione sarà costretta a chiudere, e questo in una città
carente di strutture e servizi culturali (vedi le biblioteche) non è cosa
giusta; e perché un’amministrazione pubblica ha, nei confronti dei cittadini,
non soltanto diritti da rivendicare, ma anche doveri cui ottemperare: fra cui
quello primario di trasparenza e di corretta informazione sui propri atti.
L’autore è presidente dell’Istituto Gramsci siciliano
La Repubblica Palermo, 6 dicembre 2020
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