Papa Francesco all’Angelus, nel giorno in cui è stata diffusa la Lettera apostolica «Patris corde» |
di ENRICO LENZI
Nel 150° della proclamazione a patrono della Chiesa, il Papa scrive la Lettera apostolica «Patris corde». Giuseppe «è l’uomo della presenza quotidiana, discreta e nascosta. Sostegno nelle difficoltà».«Ci aiuti a comprendere il senso vero della paternità». Attenzione a occupazione, accoglienza e tenerezza
Un santo che può parlare all’uomo d’oggi. Un santo che ha avuto un ruolo di primo piano nel piano salvifico di Dio. Un santo che «ha amato Gesù con cuore di padre». Papa Francesco sceglie il 150° anniversario della proclamazione a patrono della Chiesa universale, per rendere nota la Lettera apostolica sulla figura di san Giuseppe e indire un Anno speciale dedicato proprio al padre terreno di Gesù, che si è aperto ieri e si concluderà l’8 dicembre 2021. Un testo, quella della Lettera apostolica, che sin dal suo titolo « Patris corde » («Con cuore di padre») evidenzia la prima caratteristica del «Custode di Gesù »: la paternità. E proprio il termine «padre» - accompagnato da diversi aggettivi - viene ripetuto come titolo di ognuno dei capitoli della Lettera apostolica, che non manca di coglierne l’attualità del suo operare nella famiglia di Nazaret. È il «padre nella tenerezza » che accudisce il bambino Gesù che «ha visto la tenerezza di Dio in Giuseppe». Tenerezza e misericordia che ognuno di noi può ritrovare nel Sacramento della Riconciliazione. Ma san Giuseppe «ci insegna che avere fede in Dio comprende pure il credere che Egli può operare anche attraverso le nostre paure, le nostre fragilità, la nostra debolezza ». Giuseppe è anche «il padre nell’obbedienza », come testimonia il suo atteggiamento davanti alle richieste che Dio gli rivolge nei quattro sogni di cui si parla nei Vangeli. Richieste non semplici: non ripudiare Maria che aspetta un bambino non suo; prendere con sè nel cuore della notte Maria e Gesù per scappare in Egitto sfuggendo alla persecuzione di Erode; ritornare dopo qualche tempo in Israele e infine andare ad abitare a Nazaret. «In ogni circostanza della sua vita – scrive il Papa – Giuseppe seppe pronunciare il suo 'fiat', come Maria nell’Annunciazione e Gesù nel Getsemani». E aggiunge: «Da tutte queste vicende risulta che Giuseppe è stato chiamato da Dio a servire direttamente la persona e la missione di Gesù mediante l’esercizio della sua paternità: proprio in tal modo egli coopera nella pienezza dei tempi al grande mistero della Redenzione ed è veramente ministro della salvezza». La difesa di Gesù ha portato la Famiglia di Nazaret a fuggire dalla propria terra e in Egitto a dover «affrontare problemi concreti come tutte le altre famiglie, come molti nostri fratelli migranti che ancora oggi rischiano la vita costretti dalle sventure e dalla fame. Credo che san Giuseppe – commenta papa Francesco – sia davvero uno speciale patrono per tutti coloro che devono lasciare la loro terra a causa delle guerre, dell’odio, delle persecuzioni e della miseria». Un patrono , ma anche «un padre dal coraggio creativo» che mette in campo «contro la prepotenza e la violenza dei dominatori terreni». Una creatività che giunge da Dio.
Ma san Giuseppe è anche «padre
nell’accoglienza», come ha dimostrato nell’accogliere Maria anche
quando sa che attende un bambino non suo. Non è una
accoglienza che nasce dalla rassegnazione passiva. «Il suo –
scrive ancora il Pontefice –
è un coraggioso e forte
protagonismo», che si manifesta anche nel suo impegno per mantenere la famiglia
con il frutto del proprio lavoro. Quello del «padre lavoratore » è «un aspetto
che caratterizza san Giuseppe». E se il lavoro per Giuseppe «diventa
partecipazione all’opera stessa della salvezza», in questo tempo nel quale «il
lavoro sembra essere tornato a rappresentare un’urgente questione sociale»,
occorre prendere consapevolezza che una famiglia dove «manca il lavoro è
maggiormente esposta a difficoltà, tensioni, fratture e dissolvimento ». Tema quanto
mai attuale, ricorda il Papa davanti alla «perdita del lavoro che colpisce
tanti fratelli e sorelle, a causa della pandemia di Covid-19».
Tenerezza, accoglienza, lavoro,
obbedienza, coraggio creativo. Ma san Giuseppe mostra agli uomini e alle donne
di oggi anche uno stile di paternità, che il Papa nella sua Lettera definisce
«padre nell’ombra». «Padri non si nasce, lo si diventa – scrive Francesco –. E
non lo si diventa solo perché si mette al mondo un figlio, ma perché ci si
prende responsabilmente cura di lui». «Nella società del nostro tempo, spesso i
figli sembrano essere orfani di padre. Anche la Chiesa di oggi ha bisogno di
padri», che significa «introdurre il figlio all’esperienza della vita e della
realtà. Non trattenerlo, non imprigionarlo, non possederlo, ma renderlo capace
di scelte , di libertà, di partenze». Ecco allora, spiega il Papa, che il
termine «castissimo » spesso attribuito a san Giuseppe, evidenza un
«atteggiamento che esprime il contrario del possesso. La castità è la libertà dal
possesso in tutti gli ambiti della vita. Solo quando un amore è casto, è
veramente amore ». Insomma «la paternità che rinuncia alla tentazione di vivere
la vita dei figli spalanca sempre spazi all’inedito». La paternità «non è mai
esercizio di possesso, ma segno che rinvia a una paternità più alta. In un
certo senso, siamo tutti sempre nella condizione di Giuseppe: ombra dell’unico
Padre celeste, ombra che segue il FIglio».
Avvenire, 9 dicembre 2020
Nessun commento:
Posta un commento