di CORRADO AUGIAS
Caro direttore, domani lunedì 14 dicembre, andrò all’Ambasciata di Francia per restituire le insegne della Legion d’onore a suo tempo conferitemi. Un gesto nello stesso grave e puramente simbolico, potrei dire sentimentale. Sento di doverlo fare per il profondo legame culturale e affettivo che mi lega alla Francia, terra d’origine della mia famiglia.
La mia opinione è che il presidente Macron non avrebbe dovuto concedere la Legion d’onore ad un capo di Stato che si è reso oggettivamente complice di efferati criminali. Lo dico per la memoria dello sventurato Giulio Regeni, ma anche per la Francia, per l’importanza che quel riconoscimento ancora rappresenta dopo più di due secoli dalla sua istituzione. Quando il primo console Napoleone Bonaparte la istituì, non voleva ridare vita ad un ordine cavalleresco ma certificare il riconoscimento di un merito, militare o sociale. Questa distinzione è importante in relazione al caso di cui si discute. Dove e quali sono i meriti del presidente Al-Sisi?
I riconoscimenti e le onorificenze degli Stati sono soggetti al mutevole
andamento della storia, può accadere che un’insegna elargita in un dato momento
si trasformi in un gesto imbarazzante per il comportamento successivo della
persona insignita. In questo caso però le cose sono già chiare oggi. Il
comportamento delle autorità egiziane, a partire dal suo presidente Abdel
Fattah al-Sisi, è stato delittuoso, ha violato i canoni della giustizia, prima
ancora quelli dell’umanità. Ora l’Italia si trova di fronte un’autentica
alternativa del diavolo. Rischia di sbagliare qualunque decisione prenda. Se
manterrà normali relazioni diplomatiche con l’Egitto sembrerà tradire la
memoria di un bravo ricercatore universitario torturato e ucciso per il lavoro
accademico che stava svolgendo. Se li interromperà sarà sostituita, tempo pochi
giorni, da altri Paesi in molti fruttuosi rapporti commerciali e industriali.
In un caso e nell’altro una perdita secca, anche se di diversa natura.
I rapporti tra Stati (come ogni rapporto politico) sono regolati dal
calcolo, certo non dalla generosità né dall’amicizia, nemmeno dai legami
secolari che pure esistono tra Italia e Francia. Però c’è un limite che non
dovrebbe essere superato, ci sono occasioni in cui anche i capi di Stato
dovrebbero attenersi a quella che gli americani chiamano the right
thing, la cosa giusta. Credo che il presidente Emmanuel Macron in questo
caso abbia fatto una cosa ingiusta.
Ecco il testo della lettera consegnata all’ambasciatore: «Gentile
ambasciatore, le rimetto qui accluse le insegne della Legion d’onore. Quando mi
venne concessa, il gesto mi commosse profondamente. Dava una specie di
consacrazione al mio amore per la Francia, per la sua cultura. Ho sempre considerato
il suo paese una sorella maggiore dell’Italia e una mia seconda patria, vi ho
risieduto a lungo, conto di continuare a farlo. Nel giugno 1940, mio padre
soffrì fino alle lacrime per l’aggressione dell’Italia fascista ad una Francia
già quasi vinta. Le rimetto le insegne con dolore, ero orgoglioso di mostrare
il nastrino rosso all’occhiello della giacca. Però non mi sento di condividere
questo onore con un capo di Stato che si è fatto oggettivamente complice di
criminali. L’assassinio di Giulio Regeni rappresenta per noi italiani una
sanguinosa ferita e un insulto, mi sarei aspettato dal presidente Macron un
gesto di comprensione se non di fratellanza, anche in nome di quell’Europa che
— insieme — stiamo così faticosamente cercando di costruire.
Non voglio sembrare più ingenuo di quanto non sia. Conosco abbastanza i
meccanismi degli affari e della diplomazia — però so anche che esiste una
misura, me la faccia ripetere con le parole del poeta latino Orazio: Sunt
certi denique fines, quo ultra citraque nequit consistere rectum.
Credo che in questo caso la misura del giusto sia stata superata, anzi
oltraggiata.
Con profondo rincrescimento».
La Repubblica, 13 dicembre 2020
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