Danilo Dolci
SALVO VITALE
Qualsiasi
accenno a Danilo Dolci meriterebbe libri e convegni di
approfondimento, al di là di quanto sino ad oggi è stato fatto. Ci troviamo
davanti a uno degli intellettuali più prestigiosi del ‘900, con uno spazio di
interessi così vasto che, al di là del suo costante soggiorno in Sicilia, lo
proiettano su scala mondiale. Lo vediamo spaziare con estrema disinvoltura
dalla sociologia, alla musica, alla pedagogia, al romanzo, alla poesia,
all’arte, all’architettura, alla politica, all’impegno sociale, all’uso di
nuove tecniche e strumenti di comunicazione. Non si isola in quella sorta di
prigione dorata in cui solitamente si chiudono o sono costretti a stare gli
intellettuali, ma lo troviamo sempre in mezzo alla strada, circondato da
contadini, pescatori, disoccupati, bambini, intellettuali di grandezza
nazionale ed europea che gli fanno da strumento di amplificazione. Non si
circoscrive in un’etichetta classificatoria cristiana o comunista, ma riesce a
costruire sintesi di sistemi di pensiero diversi.
La definizione di Gandhi italiano gli sta troppo stretta in
quanto egli non è solo un sostenitore della non violenza come strumento di
trasformazione della società, ma è un attento studioso dei meccanismi
dell’autoritarismo che caratterizzano le società contemporanee e dei fenomeni
sociali alla base del sottosviluppo di diverse zone del pianeta, prima fra
tutte la Sicilia. Danilo intuisce subito il perverso connubio tra politica e
mafia, intravede nella mafia e nel suo sottobosco clientelare la causa
dell’arretratezza dell’isola, legata alla mancanza di strutture sociali e
logistiche, alla burocrazia, allo sfruttamento bestiale del lavoro, alle quasi
inesistenti situazioni igieniche. La sua vita è un continuo appello a proporre
per costruire, a “fare presto e subito, perché si muore”. Danilo intuisce anche
la possibilità di emancipazione dei soggetti che vivono questa oppressione
nello studio, nella scuola e in un metodo scolastico che non sia solo
trasmissione di sapere, ma collaborazione, comunicazione e interscambio tra
docente e alunno, al fine di stimolare la creatività e le grandi capacità
conoscitive che il bambino ha dentro di sé e che chiedono solo di esser tirate
fuori con la “maieutica”, l’arte della levatrice teorizzata per la prima volta
dal filosofo greco Socrate.
Momenti di vita
I suoi tormentati studi di architettura, dalla Sapienza di Roma al Politecnico
di Milano (1950) vengono interrotti alla vigilia della laurea per l’improvvisa
decisione di lavorare a Nomadelfia, in quella splendida prima comunità fondata
da don Zeno Saltini su alcuni principi, quali la democrazia
diretta, la mancanza di proprietà privata, la collettività di tutti i momenti
della vita sociale.
Nel 1952 si trasferisce in Sicilia, nel borgo marinaro di Trappeto, dove suo
padre aveva prestato servizio quando lui era ancora bambino e che aveva
lasciato nella sua memoria un segno indelebile. Lì comincia un’altra vita, a
partire dal digiuno sul letto di Benedetto Barretta, un bambino di
sette anni morto per denutrizione. Sposa Vincenzina, una casalinga
vedova, già madre di cinque figli e che gli darà altri cinque figli.
Nel 1956, nella baia di San Cataldo, è alla testa di un migliaio di persone,
provenienti anche dai paesi di mare vicini, per uno sciopero della fame
collettivo contro la pesca di frodo: i carabinieri sciolgono la manifestazione
sostenendo che “il digiuno pubblico è illegale”. Nello stesso mese di gennaio
Danilo organizza, assieme a contadini di Partinico lo “sciopero alla rovescia”,
ovvero quello del disoccupato che, per protestare va a lavorare, in questo caso
per rendere agibile una strada comunale abbandonata, ma indispensabile per
raggiungere alcuni terreni. Danilo e alcuni suoi collaboratori vengono
arrestati con motivazioni pretestuose, quali la resistenza e l’oltraggio a
pubblico ufficiale e l’invasione di terreni demaniali. Il grande giurista Piero
Calamandrei difende i manifestanti, a cui favore testimoniano le
migliori intelligenze dell’Europa e il processo-farsa si conclude con una
condanna a 50 giorni di carcere, che finiscono col dare visibilità e
riconoscimenti a Danilo. Iniziative e digiuni si susseguono a ritmo incalzante,
nei quartieri più poveri di Palermo, Cortile Scalilla, Capo, Cortile Cascino,
Dainisinni e il cerchio dei collaboratori include persone di non comune
coraggio e intelligenza, come Aldo Capitini, Goffrefo Fofi,
Lorenzo Barbera, Franco Alasia, Pasquale Marchese.
A partire dal 1965 Danilo apre un altro fronte, quello della denuncia dei
rapporti tra la politica e la mafia: tutto è minuziosamente documentato nei
suoi libri “Spreco” e “ Chi gioca solo” e in un’audizione alla Commissione
Antimafia: nel mirino in particolare i plenipotenziari democristiani
siciliani Calogero Volpe e Bernardo Mattarella:
segue querela per diffamazione, processo durato sette anni, condanna e
amnistia.
Nel frattempo il micidiale terremoto del 14 gennaio 1968 rade al suolo diversi
paesi della Sicilia Occidentale causando circa 300 morti, un migliaio di feriti
e quasi centomila sfollati. Danilo che, con diversi contributi europei è
riuscito a costruire una struttura ricettiva, “Borgo di Dio” a Trappeto, prova
ad abbozzare, assieme a collaboratori e professionisti provenienti da tutta
Europa, un piano di ricostruzione attraverso l’utilizzo dei fondi disponibili,
ma le proposte non vengono prese in considerazione, non dando spazio a
speculazioni e a dilapidazioni. Due anni dopo Franco Alasia e Pino
Lombardo danno vita a un progetto studiato nei minimi particolari da
Danilo, ovvero alla nascita della prima radio libera in Italia, allora definita
“la radio dei poveri cristi”, in contrasto con il monopolio della RAI:
i due il 25 marzo 1970 si chiudono in una stanza, a Partinico, con un
trasmettitore e un nastro in cui sono registrate le voci dei terremotati del
Belice, abbandonati totalmente dallo stato e condannati a morire di fame e di
freddo due anni dopo il terremoto. L’episodio viene interrotto dopo 27 ore di
trasmissione con un’irruzione delle forze dell’ordine, il sequestro degli
impianti e l’ennesimo processo finito con un’amnistia. Altri momenti e
interventi continuano, dietro la propulsione del Centro studi e iniziative per
la piena occupazione, realizzato a Partinico, con la collaborazione di
attivisti e studiosi provenienti da tutta la Sicilia. Decenni di mobilitazioni
portano alla costruzione della diga sul fiume Jato e alla scelta di affidarne
la gestione agli agricoltori. Viene costruita la scuola di Mirto, che avrebbe
dovuto segnare il primo e più importante esperimento educativo portato avanti
attraverso la “maieutica”, ma che alla fine è naufragato per la decisione
provveditoriale di assegnarne insegnamento e gestione allo stato, coì come è
pure naufragata l’esperienza del Consorzio irriguo Jato nel momento in cui
prima i politici locali e poi la Regione hanno messo le mani sulla
distribuzione delle acque irrigue e potabili dell’invaso Poma. Oggi le campagne
sono avviate a una crisi irreversibile per la mancata manutenzione di una rete
di distribuzione e per una serie di sprechi e disservizi. Malgrado qualche
robusto restauro, dopo l’abbandono degli anni passati, Borgo di Dio presenta
diverse problematicità, la scuola di Mirto è cadente e l’anfiteatro sommerso
dalle erbacce, la casa di via Iannelo, dove Danilo visse alcuni anni è chiusa e
cadente, malgrado le proposte ogni anno rinnovate, di un pubblico acquisto e un
restauro, l’archivio di Danilo, sistemato presso la scuola media Archimede è
chiuso, mancando chi se ne occupi ed essendo scomparso parecchio materiale.
Danilo è morto il 30 dicembre 1997 lasciando la sua grande eredità nelle mani
di gente incapace di portare avanti la sua capacità organizzativa di
progettare, lottare, costruire, mantenere. Restano sempre in piedi i suoi
innumerevoli scritti e il suo progetto maieutico concepito per “piantare
uomini”, quegli uomini del futuro che sappiamo autogestirsi, difendere la
propria libertà senza violenze, ma con decisione, comunicare valori di
convivenza pacifica senza autoritarismi e conservatorismi. Non è facile. Si
tratta di dare uno scossone a regole millenarie. Forse Danilo intravide questa
futura umanità nella stessa misura in cui intravide un giorno, guardando la
vallata verde scavata dal fiume Jato, brillare l’acqua del futuro lago.
www.antimafiaduemila.com,
29 Dicembre 2020
https://www.antimafiaduemila.com/home/mafie-news/254-focus/81500-danilo-dolci-cio-che-e-stato-e-cio-che-resta-a-23-anni-della-sua-morte.html
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