Guido Longo, commissario per la Calabria
DI FRANCESCO MERLO
Finalmente il commissario: è Guido Longo, superpoliziotto in pensione
Sarà dunque il superpoliziotto in pensione Guido Longo il civil servant di vecchio conio, il servitore dello Stato che andrà in Calabria a "fare il possibile". E speriamo che il governo abbia finalmente smesso la filosofia del"qui ci vuole un uomo", del simil-Garibaldi che avrebbe dovuto guidare l'assalto al Sottosviluppo, declamatorio e italianissimo come il rettore della Sapienza Eugenio Gaudio che preferì disobbedire allo Stato che a La Sua Signora, che era il titolo del libro-riassunto dell'Italia di Leo Longanesi, il lato debole del borghese in carriera. Invece Guido Longo non ha la missione impossibile di risanare nientemeno la sanità calabrese, ma di curare il curabile.
E la Calabria si aspetta un commissario, non avido di superpensioni né di supercarriere, che riapra e riattivi gli ospedali chiusi (sono 18), chiami e galvanizzi i bravi medici e infermieri che qui sono tra i migliori d'Italia ed emargini senza troppo rumore quelli che invece non lo sono, e magari perché in troppi si sono laureati "a pistola e soppressata" nei vecchi anni criminali dell'università di Messina.La Calabria è una terra ricca di intelligenza e di competenza, e con una solidarietà tra famiglie bisognose che è indomabile perché atavica e basti pensare che qui non ci sono "i parcheggi a perdere" per anziani, le famose, anzi famigerate, Rsa: i vecchi qui rimangono in casa. Un po' Mangiafuoco e un po' Fata Turchina il commissario Longo dovrebbe approfittare di questa solidarietà e intanto garantire ai malati di essere assistiti, in casa e in ospedale, sapendo che c'è molta storia d'Italia nelle catastrofi. Quasi sempre infatti una nuova classe dirigente viene fuori, un po' miraggio e un po' miracolo, dai territori dolenti dei terremoti, delle inondazioni e dei crolli, come nel caso virtuoso di Genova dove la tragedia del ponte Morandi produsse un nuovo senso di appartenenza e il ponte di Renzo Piano.
Un Patto per la Calabria potrebbe dunque nascere anche attorno alla tragedia del Covid e a una sanità che è nei guai da 40 anni, con un debito mai calcolato che va da 2 a 6 miliardi e di certo non può essere risanato, in piena pandemia, da nessun uomo della Provvidenza.
Fra tutti i "salvatori della patria" che, uno dopo l'altro, hanno rifiutato il ruolo di commissario, il peggiore è stato l'ultimo, Agostino Miozzo, che pretendeva la Luna dei superpoteri e voleva diventare SuperAgostino, come SuperPippo. E va detto che più aumentava il numero dei No più si indeboliva Giuseppe Conte, perché non di Calabria ci ha parlato in questi giorni la Calabria, ma di Roma e dell'impotenza del governo centrale. E nel catalogo dantesco degli ignavi tra "chi ha fatto per viltade il gran rifiuto" Miozzo, che è ahinoi il Coordinatore del Comitato scientifico, è il giocatore d'azzardo che ha alzato la posta sino, ci dicono, all'aberrazione giuridica di pretendere uno scudo penale e persino il rientro dalla pensione nei ranghi della Pubblica Amministrazione. Per soddisfare Miozzo ci sarebbe voluta una tripletta di leggi ad personam che certamente sarebbe servita a lui, ma non alla Calabria.
Ed eccoci di nuovo alla Calabria. Il Covid ci sta svelando che mancano medici e infermieri nella civile Toscana e che è naufragata la sanità nella mitica Lombardia, ma nulla di nuovo ci racconta della sanità in Calabria che in queste ultime due settimane è diventata una specie di "scuola Holden" di scrittura impazzita, tutti a raccontare tragedie, con l'abuso di metafora - inferno, palude, caos, pantano, cancro... - tipico della dolente questione meridionale, tutti imitatori di Ignazio Silone e del Cristo di Carlo Levi che si fermò ad Eboli dove "lo Stato è più lontano del cielo, e più maligno, perché sta sempre dall'altra parte".
In Calabra, dove i malati si sentono abbandonati dallo Stato, ora Longo potrebbe appunto accendere un nuovo senso di appartenenza, innanzitutto nei sindaci a partire da quelli di Reggio Giuseppe Falcomatà e di Catanzaro Sergio Abramo, e poi Maria Limardo di Vibo Valentia, Enzo Voce di Crotone, Mario Occhiuto a Cosenza. E ancora il capo dei vescovi Vincenzo Bertolone, il presidente reggente della regione Nino Spirlì, che magari è matto ma non è stupido, e ovviamente i procuratori, di Catanzaro Nicola Gratteri e di Reggio Giovanni Bombardieri, che fanno un lavoro difficile e coraggioso che però, nonostante le grandi retate molto ben pubblicizzate, non hanno ancora ottenuto i risultati dell'antimafia in Sicilia dove la criminalità organizzata non è stata vinta ma sicuramente ridimensionata e addomesticata. Ed è persino cambiata la testa dei palermitani che prima non vedevano, non sentivano e non parlavano; ora si arrabbiano quando qualcuno non vede, non sente e non parla.
Ecco dunque cosa potrebbe essere "il modello Calabria". A rovesciare il potente stereotipo della mortificazione potrebbe contribuire anche Gino Strada, con l'ospedale da campo che sta montando a Crotone. Strada è specialista di ospedali in terribili zone di guerra. Non sempre sono fabbricati di fortuna. Alcuni sono progetti moderni, realizzati da bravi architetti e uno è firmato da Renzo Piano. Per sopravvivere in Iraq, in Libia, a Kabul, in Siria... la medicina di Strada deve essere neutrale. Ma la neutralità quando diventa ideologia politica è molto ambigua come ai tempi di Né con Bush Né con Saddam o ancora prima Né con lo Stato né con le Br. Ecco, nella civile Calabria, Strada non corre il rischio di tornare ad essere un signor NéNé. E dunque ci sono le condizioni per fare tabula rasa e diventare tutti uomini dello Stato e, come i protagonisti dei film di Clint Eastwood, tutti eroi per caso.
La Repubblica, 28 novembre 2020
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