Sostenitori di Trump protestano contro lo scrutinio a Detroit il 6.11.2020
(John Moore, Getty Images)
ANNE APPLEBAUM
Mentre osservate l’amministrazione Trump avviarsi verso un finale sgradevole, ricordatevi di come tutto è cominciato. Donald Trump è entrato in politica cavalcando le teorie complottiste secondo cui Barack Obama non sarebbe nato negli Stati Uniti, teorie sostenute da un movimento che è stato clamorosamente sottovalutato. Oltre alle connotazioni razziste dell’intera vicenda, ricordatevi delle implicazioni di quella tesi assurda. Chi credeva che Barack Obama non fosse nato negli Stati Uniti – parliamo di un terzo degli statunitensi, tra cui il 72 per cento degli elettori repubblicani – lo considerava inevitabilmente un presidente illegittimo. In altre parole, queste persone ritenevano che tutti – l’intero sistema politico, giudiziario e mediatico degli Stati Uniti, compresa la Casa Bianca, il congresso, i tribunali federali e l’Fbi – fossero complici di un piano colossale per spingere l’opinione pubblica ad accettare un impostore come presidente. Un terzo della popolazione aveva così poca fiducia nella democrazia da essere disposto a credere che la presidenza Obama fosse una frode.
Quella fetta della popolazione è diventata la base elettorale di Donald
Trump. Per quattro anni queste persone hanno continuato ad applaudirlo a
prescindere dal suo comportamento, non tanto perché credessero in tutto ciò che
diceva ma perché non credevano in niente. Se tutto è un imbroglio, allora non
importa che il presidente sia un bugiardo. Se tutti i politici sono corrotti,
perché storcere il naso se anche il presidente è corrotto? Se tutti, da sempre,
hanno infranto ogni regola, perché mai non dovrebbe farlo anche il presidente?
Per questo non sorprende che gli elettori non abbiano fatto una piega
quando Trump ha ignorato i mandati di comparizione emessi dal congresso; o
quando ha usato il dipartimento di giustizia per mettere in pratica le sue
vendette personali; o quando ha ignorato le raccomandazioni etiche e le regole
sull’accesso alle informazioni riservate; o quando ha licenziato i funzionari
del governo incaricati di vigilare sul rispetto delle regole. Non c’è da
stupirsi se il popolo di Trump ha continuato a celebrarlo quando lui accusava
la Cia e il dipartimento di stato di far parte dello “stato profondo”, o quando
ha detto, con il sorriso stampato in faccia, che i giornalisti sono “nemici del
popolo”.
Tutto questo non è stato creato da Trump. Molti statunitensi avevano perso
la fiducia nelle istituzioni ben prima che lui entrasse in politica. Un recente sondaggio indica che metà
dell’opinione pubblica non è soddisfatta del sistema politico, mentre un quinto
vorrebbe vivere in uno stato governato dai militari. Trump ha sfruttato questo
deficit democratico per vincere le elezioni, poi lo ha ampliato costantemente
nel corso del suo mandato. Ora la sua strategia politica, finanziaria e perfino
emotiva lo obbliga a danneggiare ulteriormente il legame tra gli statunitensi e
la democrazia.
Serie di trappole
Trump ha lanciato la sua offensiva poco dopo le elezioni del 3 novembre.
Parliamoci chiaro: si tratta di una strategia, non di una reazione causale agli
eventi. Trump non è capace di governare, ma da tempo, con l’istinto tipico dei
truffatori, ha capito come far crescere la sfiducia e come usare questa
sfiducia a proprio vantaggio. La giornalista Lesley Stahl ha raccontato che una volta Trump le ha
confessato il motivo per cui attacca i mezzi d’informazione: “Per screditarvi
tutti e sminuirvi, così quando scrivete cose negative sul mio conto nessuno vi
crede”. Il presidente ha screditato e sminuito anche funzionari pubblici come
Fiona Hill e Alexander Vindman, membri del consiglio di sicurezza nazionale.
Anche in quel caso, sapeva che se quelle persone avessero parlato onestamente
del suo comportamento nessuno gli avrebbe creduto.
Ora, dopo mesi trascorsi a insinuare che le regole erano truccate per
penalizzarlo, Trump ha teso una serie di trappole destinate a screditare e
sminuire anche il sistema elettorale, in modo che alcuni americani perdano la
fiducia nel suo funzionamento. Non sono la prima a dirlo, ma vale la pena di
ripeterlo: il fatto che la Pennsylvania, il Wisconsin e il Michigan non abbiano
terminato lo spoglio dei voti la sera del 3 novembre non è un caso. In tutti questi stati i leader
repubblicani hanno impedito ai consigli elettorali di processare i voti postali
prima del 3 novembre. Nel pieno di una pandemia che i democratici prendono più
sul serio rispetto ai repubblicani, era inevitabile che emergesse un grande
divario tra i voti espressi di persona e quelli inviati per posta, soprattutto
dopo che Trump ha avvertito i suoi sostenitori che il voto postale era
truccato.
Trump sapeva che Biden avrebbe recuperato terreno. È precisamente per
questo motivo che alle 2.20 della notte del 3 novembre, e prima che il
risultato fosse minimamente chiaro, ha dichiarato che le elezioni erano state
“una truffa ai danni del popolo americano. Non vogliamo che gli altri trovino
schede elettorali alle quattro del mattino aggiungendole al conteggio”. È per
questo che i repubblicani hanno già presentato una serie di ricorsi, cercando
di dare l’impressione che ci siano state irregolarità. Un’accusa di brogli in
Montana è già stata smentita e archiviata per mancanza di prove.
Trevor Potter,
presidente del Campaign legal center e consulente del politico repubblicano
John McCain nelle campagne presidenziali del 2000 e del 2008, mi ha confidato
che una denuncia presentata in Pennsylvania è “ridicola” e che tutte le altre
sono “deboli” e puntano esclusivamente a rallentare lo spoglio dei voti o a
eliminare schede elettorali in qualsiasi modo.
Ripeto, si tratta di una strategia ben pianificata. Quello di Trump è un
tentativo disperato e illegale di restare aggrappato al potere. Come ha scritto Barton Gellman, sia la
retorica sia la raffica di denunce senza fondamento su presunti brogli puntano
soprattutto a creare la sensazione infondata di un voto truccato, alimentando
magari in qualche parlamentare statale repubblicano la tentazione di ignorare
il responso delle urne e nominare una delegazione che, quando si riuniranno i
grandi elettori per eleggere ufficialmente il presidente, voterà per Trump. Il
capo del Partito repubblicano della Pennsylvania ha fatto allusione a questa
“possibilità”, poi smentita categoricamente dal capogruppo della maggioranza
repubblicana al senato statale.
In ogni caso, anche se il piano di Trump andasse a sbattere contro la
realtà dello spoglio e contro uno tsunami di titoli giornalisti sulla vittoria
di Biden, il presidente non ammetterà mai che le elezioni sono state regolari.
E anche se Trump fosse costretto a riconoscere (malvolentieri) la sconfitta,
Biden entrasse in carica il 20 gennaio 2021 e la famiglia Trump fosse obbligata
a fare le valige e rifugiarsi nella tenuta di Mar-a-Lago, il presidente e il
Partito repubblicano avranno tutto l’interesse a sostenere che le elezioni sono
state truccate. Questo perché nei prossimi anni la base elettorale di Trump
(tutte quelle persone che non credono più nella democrazia americana) potrebbe
ancora tornare estremamente utile al presidente e al suo partito.
Di sicuro questi elettori potranno essere sfruttati per screditare e
sminuire l’amministrazione Biden. Trump cercherà di convincere milioni di
americani che il suo successore è un presidente illegittimo, esattamente come
aveva fatto con Obama. I gruppi Facebook riuniti sotto lo slogan “Biden è un
imbroglione” saranno usati per raccogliere voti e sostenere le cause
repubblicane. Il partito manderà email con oggetto “Biden truffatore” per
raccogliere fondi. I responsabili della campagna elettorale di Trump hanno già
preparato un testo per la raccolta fondi: “Presidente Trump e vicepresidente
Pence: la situazione è talmente grave che abbiamo deciso entrambi di scrivervi.
I democratici e le fake news vogliono manipolare queste elezioni! È il momento
di donare e combattere! Entriamo in azione ora!”.
I personaggi pubblici che sostengono Trump online hanno cercato, probabilmente
aiutati dal Partito repubblicano e dalla sua rete di bot, di diffondere
l’hashtag #StopTheSteal (fermate il furto) sui social network. Laura Ingraham,
commentatrice di Fox News, ha già aizzato i suoi milioni di seguaci su Twitter parlando di “abuso prolungato
nei confronti del nostro sistema elettorale da parte di funzionari democratici
corrotti”.
Altri repubblicani si
uniranno a questa causa, perché ci intravedono la possibilità di raccogliere
fondi e racimolare voti alimentando la sfiducia. Tommy Tuberville, ex
allenatore di football appena eletto senatore per l’Alabama, ha scritto:
“L’arbitro ha fischiato la fine della partita, i giocatori vanno a casa. Ma ora
l’arbitro sta aggiungendo punti a favore della squadra avversaria”. Non importa
che la partita in realtà sia tutt’altro che finita e non lo sarà ancora per
ore. Da oggi Tuberville userà il mito della “illegittimità di Biden” come scusa
per non collaborare con il nuovo presidente, per non approvare qualsiasi piano
di aiuti per la pandemia e per ostacolare in ogni modo il successo di Biden e
del paese.
Conoscendo la famiglia Trump, c’è da aspettarsi che sfrutteranno questa
strategia anche per fare soldi. Paradossalmente, la sconfitta di Trump potrebbe
rafforzare la fedeltà dei suoi sostenitori più accaniti, infuriati per il fatto
che il loro eroe è stato privato del ruolo che gli spetta. Ora queste persone
compreranno bandiere, cravatte, cappellini con la scritta Make America great
again e magari anche lauree alla rediviva Trump university. Potrebbero
diventare spettatori affezionati della Trump Tv, un’emittente che rivaleggerà
con i nuovi nemici di Fox. Forse compreranno biglietti per i raduni e gli altri
eventi pubblici in cui Trump ripeterà slogan collaudati come “Arrestate
Hillary” o “Smettete di contare i voti!”.
Trump dovrà affrontare molti problemi giudiziari e finanziari (i milioni di
dollari di debiti, più le indagini in arrivo sui contributi fiscali e sulle
truffe), quindi avrà più bisogno che mai di una base politica. Aspettatevi che
Trump e i suoi figli descrivano ogni azione legale contro la famiglia come una
persecuzione politica: “Mi stanno processando perché combatto il falso
presidente”. Aspettatevi che cerchino di attirare in ogni modo l’attenzione dei
mezzi d’informazione, un giorno dopo l’altro, con conferenze stampa fuori
controllo trasmesse in diretta su Trump Tv e su Facebook e con articoli in
prima pagina sul New York Post. La prospettiva di un circo simile potrebbe
scoraggiare alcuni inquirenti. D’altronde nessuno vorrebbe essere perseguitato
da un milione di bot o diventare vittima di un’orda inferocita, online e nella
vita reale.
Più di ogni altra cosa, le bugie sull’illegittimità di Biden saranno una
panacea per il fragile ego di Donald Trump. Incapace di accettare la sconfitta
e incapace di ammettere di essere stato battuto, Trump si proteggerà dalla
realtà facendo finta che non esiste. Il suo personale bisogno di vivere in un
mondo di fantasia in cui lui vince sempre è talmente forte da spingerlo a fare
qualsiasi cosa per tenerlo in piedi. Nel suo slancio narcisistico verso una realtà
alternativa, farà crescere le divisioni, diffonderà la paranoia e alimenterà il
terrore che i suoi sostenitori provano nei confronti dei loro concittadini,
oltre che la sfiducia nelle istituzioni. Questo presidente non ha mai avuto a
cuore gli interessi del paese. Non aspettatevi che cominci adesso.
(Traduzione di Andrea Sparacino)
7 novembre 2020
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