di GIANNI RIOTTA
L’America profonda ha votato Biden, come Trump. Esattamente come Wall Street, si è divisa tra blu e rossi
In un dimenticato romanzo del 1986, “The White House mess”, (traducibile in Pasticciaccio alla Casa Bianca) lo scrittore Christopher Buckley, figlio del grande critico conservatore William Buckley, immaginò che, finito il suo mandato nel 1988, il popolare presidente Ronald Reagan semplicemente rifiutasse di lasciare la carica al successore, come imposto dalla Costituzione. Il vecchio Reagan se ne resta in pigiama, al calduccio, e non va, come di tradizione, all’inaugurazione del nuovo presidente, “fa troppo freddo in gennaio”. La mamma di Buckley era grande amica della First Lady, Nancy Reagan, e sembrò che la novella satirica potesse spezzare i lunch fra le due lady. A salvare tutto, il personaggio del successore, il democratico presidente Thomas N. Tucker, in sigla TNT, tritolo. E qui Buckley è presago, perché dopo aver immaginato con Reagan ostinato sul sofà, l’imbronciato Donald Trump che gioca a golf da solo in Virginia e non concede il risultato a Biden, malgrado la sconfitta secca che ha subito, risfogliando le ingiallite pagine del romanzo vedrete che TNT Tucker è l’anticipo di Trump. La moglie attrice, una star tv alla Corte Suprema, il permesso ai cittadini di sparare agli spacciatori di droga, le minacce agli avversari e alleati “chiudetegli le basi militari a quelli là”, la guerra ai giornalisti “affogatevi cretini”, la retorica ingarbugliata, il famoso neologismo “covfefe” del tweet di Trump 2017 “che lingua parli TNT non so, inglese no, ma che cosa non saprei…”. E se Trump è stato appoggiato dai miliziani Proud Boys e Wolverines (in italiano, la parola indica il simpatico animaletto “ghiottone”, poi non dite che le parole non sono magiche…), e dai complottisti di QAnon, che hanno eletto la loro prima deputata, Marjorie Taylor Greene, TNT riceve l’appoggio del Ku Klux Klan razzista!
Nel “18
Brumaio”, capolavoro di giornalismo da rileggere, Karl Marx diceva che la
Storia si ripete, la prima volta come tragedia, la seconda come farsa, e devo
dire che, guardando le vicende del populismo italiano non posso che dare
ragione al vecchio ribelle di Treviri. Ma stavolta in America la farsa di
Buckley ha preceduto la tragedia del 2020, i 236.000 morti di Covid, la crisi
economica con milioni a perdere il posto di lavoro e la mutua, una campagna
elettorale tra gli scontri per i diritti civili, con morti per strada e i
miliziani in armi in Michigan a voler rapire la governatrice.
Ho
letto, lavorando sulle difficoltà Usa, fosche profezie di sciagura, la fine
della democrazia, il Venezuela prossimo venturo, l’imminente guerra civile.
L’America profonda, pianeta noto solo ai commentatori italiani formato talk
show, si sarebbe lesta schierata col presidente Trump, beffando le élite
radical chic. Importanti telegiornali, combattivi programmi tv, dotti
elzeviristi dei quotidiani, poliglotti dirigenti degli istituti di ricerca
geopolitici hanno dunque, martedì notte e all’alba di mercoledì scommesso,
auspicato, annunciato l’amministrazione Trump II, a urne non scrutinate,
perfino in qualche avventato titolo. Qui, forse qualcuno dei cortesi lettori e
lettrici lo ricorda, vi anticipai le imprese dei Guru esperti e dei loro
compagni di strada, i Paraguru azzimati,
pronti a insinuare, discettare, dedurre il Falso dal Vero. E che notte è stata
la notte dopo la, netta, vittoria di Trump in Florida per Guru e Paraguru! La
fretta ha tradito tuttavia le loro speranze, altri quattro anni in cui
vantarsi, dal tinello di casa con i libri (per lo più di amici) e le stampe in
cornice un po’ cheap, di far parte del popolo “profondo” e, salariati da
importanti aziende, irridere le élite.
Qui
devo al direttore Mattia Feltri e a voi tutti una confessione, e qualche
ricordo. Come posso - un giornale mi ha appena dedicato, eccesso di zelo,
un’intera pagina a proposito - negare di far parte vergognosamente delle élite?
Ho lavorato al Corriere, La Stampa, Rai, insegno a Princeton University, Ivy
League!, dirigo il Datalab alla Luiss, sono membro del Council on Foreign
Relations e vicepresidente del Council Italy-USA. Avere scritto storie di
copertina per il leggendario Espresso di Livio Zanetti e aver diretto la
cultura per il Manifesto storico di Rossana Rossanda non bastano certo a
redimermi, visto che Google ricorda che, con l’avvocato Agnelli, partecipai
alle Conferenze Bilderberg, Rotary Club agli steroidi che i complottisti
pensano diriga il mondo (per capirci: se io fossi uno dei cinquanta dirigenti
del mondo, l’Inter andrebbe così?).
Cosparsomi
dunque il capo di cenere come elitario, fatemi però rivendicare con umiltà:
l’America profonda, così vanamente citata dai profeti di piazzetta Monti a Roma
e largo La Foppa a Milano, io la conosco, la amo, la rispetto. Ho organizzato
per il Corsera un incontro tra le gang di L.A., pistole sul tavolo. Ho parlato
con gli ultimi mormoni poligami, scomunicati dalla Chiesa ufficiale, nelle loro
baracche polverose, con le mogli a occhi bassi e grembiulino sporco, tristi. Ho
visitato il braccio del carcere speciale dell’Alabama dove segregavano i
detenuti malati di Aids, le ultime miniere in West Virginia, mangiato pasticcio
di scoiattolo (fa schifo, dolciastro) in Arkansas con i contadini, e zuppa di
alligatore (fa schifo, sa di sangue) in Louisiana, con i custodi del cimitero
di New Orleans (tombe sopraelevate, se no l’acquitrino sottostante si porta via
il caro estinto). Ho bevuto “joe”, non il nuovo presidente, ma il caffè nero in
dialetto, con gli operai a Toledo e parlato con Cervantes, così si chiamava il
generoso attivista che voleva creare il sindacato a Silicon Valley, grande
carica contro i mulini a vento della storia.
Vado
avanti? Se volete vi racconto come vive un lustrascarpe del Bronx, un’artigiana
cattolica polacca di Staten Island, un assicuratore di Paterson, una cuoca di
Long Island City. L’America profonda ha votato per Biden, come per Trump,
esattamente come le élite, Wall Street in testa, si sono divise tra democratici
e repubblicani. Se per capire gli storici eventi in corso in America vi
accontentate del Derby Noi-Loro, amici come prima, accendete la tv, monitorate
siti e social di riferimento, sogguardate gli editoriali Findus e in bocca al
lupo. Altrimenti, ci servono umiltà, fatica, senso della storia e grande
tolleranza, per dirimere un paradosso straordinario del XXI secolo. Proviamo?
Joseph
Robinette Biden jr. ha vinto una prova
durissima ed è atteso ora, con la sua vice Kamala Devi Harris,
a test altrettanto
feroci. Quando ogni voto sarà contato, a New York “l’America
profonda” deve ancora conteggiare un milione e passa di suffragi, Biden-Harris
potrebbero raggiungere quota 75 milioni, record assoluto. Sono passati in stati
che eludevano i democratici da generazioni. Vi dicono, “La Georgia non votava
un candidato democratico dal 1992!”, ma non è questo che conta, la Georgia ha
votato sì democratico nel 1992, Clinton, 1976, Carter, e 1964, Johnson, ma il
vostro paragone, altro che Paraguru, deve essere questo “La Georgia non votava
un candidato democratico non di origine sudista, Clinton Arkansas, Carter
Georgia, Johnson Texas, dal 1960, con John F. Kennedy del Massachusetts!”.
Sessanta anni ci son voluti perché uno Yankee passasse nel cuore della vecchia
Confederazione, e con una vicepresidente con genitori che arrivano dalla
Giamaica e dall’India. Biden ha riparato il “Blue Wall”, Michigan, Pennsylvania,
Wisconsin che Trump aveva violato nel 2016, guadagnando consensi tra i
centristi indipendenti che, quattro anni or sono, hanno abbandonato la Clinton
e ora son tornati da lui. Le donne lo hanno appoggiato, gli anziani spauriti
dal virus, i giovani, i laureati. Beato il paese che ha 75 milioni di élite no?
Il
presidente Trump, ingrugnato nel suo club del golf in Virginia, è assediato
dalla corte come un imperatore romano, l’avvocato Giuliani che minaccia cause,
il genero Kushner che sogna business tv, la moglie Melania a lasciar trapelare
notizie ai cronisti pensando al suo futuro, il figlio Eric che sembra incitare
i militanti alla rivolta, i creditori - 421 milioni di dollari da saldare
presto - in ansia, i consiglieri che negoziano contratti di libri per svendere
ai saldi di fine stagione ogni sordido retroscena, chi cerca un’oncia di carne
shakesperiana per ripicca, chi una prebenda dell’ultima ora. Eppure, se
parliamo di politica, il suo risultato, pur nella sconfitta è brillante e
lascia a lui, ai suoi congiunti e al partito repubblicano ampi spazi di
manovra. Il Senato è legato ai due spareggi del 5 gennaio in Georgia, i
democratici della Speaker Pelosi hanno perso seggi alla Camera e già la ribelle
deputata Ocasio-Cortez accusa i vecchi di aver ceduto perché non usano Facebook
(hanno perso perché il partito ha dato indicazioni confuse sulla piattaforma
economica e sociale). 71 milioni di americani hanno votato per Trump, dopo
quattro anni di rabbia, populismo, nazionalismo, apprezzandone l’agenda e
sbattendo la porta in faccia al messaggio unitario di Biden. Nei distretti dove
Covid ha seminato più vittime e malattie Trump ha guadagnato voti sul 2016,
mezza America nega il pericolo pandemia. Tra i giovani neri, gli ispanici,
specie i cubani in Florida, Trump recupera consensi e un terzo dei musulmani ha
votato il presidente che ha debuttato alla Casa Bianca con il veto ai visti per
certi paesi islamici.
Perché?
Perché l’idea Paragura che l’America sia un mare, Usa A Galla contro Usa
Profondi, è da bagnini, peraltro mestiere giovanile che Biden condivide con
l’illustre predecessore Reagan. Gli islamici che hanno votato Trump se ne
fregano di Somalia e Yemen, temono le gang davanti alla loro bottega di Detroit
e Chicago e apprezzano l’elogio trumpiano della polizia. I cubani di Miami non
votano solo perché il loro nonno scappò dalle purghe di Castro e del Che
Guevara e il senatore Sanders fa il socialista, ma anche perché l’economia boom
di Trump, i tagli fiscali, il sostegno alle aziende, li persuadono. E tanti
ragazzi afroamericani lo votano perché tra l’austero messaggio di Martin Luther
King e il lusso, le miss e la bella vita del rap, così simile a quella del
presidente, non hanno dubbi.
La
verità elude Guru&Paraguru. Dire che Biden ha vinto di misura fa ridere,
come ben osserva E.J. Dionne sul Washington Post. Dire che il trumpismo è sconfitto con
Trump, o addirittura che trascinerà nella poubelle de
l’historie anche i seguaci europei, come auspica in un ottimistico tweet
l’ex premier Enrico Letta,
è prematuro.
E ora?
Ora la partita è aperta e va seguita con attenzione, visto che, contrariamente
a quanto ipotizzato dal primo ministro Conte per noi è decisivo da che parte
vada l’America (il premier, in un tweet si è congratulato con “il popolo americano”,
non con Biden, come hanno fatto tedeschi, francesi, perfino il premier
israeliano Netanyahu, compagno di strada di Trump: gaffe, errore o svista che
sia lo staff diplomatico di Biden lo ha notato e segnato. Il presidente
Mattarella si è rivolto invece, come da prassi, al neo presidente).
Abbia o
no la maggioranza al Senato, Biden vuol negoziare con i repubblicani, come ha
fatto tutta la vita. Ci riuscirà? L’arcigno capo dell’opposizione Mitch McConnell
lo vorrà? I messaggi conciliatori della famiglia Bush, il presidente G.W. Bush
e suo fratello Jeb, ex governatore della Florida, il senatore Romney, che hanno
salutato la vittoria di Biden-Harris, basteranno? I duri, da una parte e
dall’altra, considerano il negoziato, il compromesso in Congresso, un
tradimento comunque e, come l’Ombra di Banco, Trump denuncerà su twitter i
cedimenti. Ma il pacchetto di 2000 miliardi di dollari sul Covid deve partire,
la mutua sanitaria di Obama va difesa, l’America deve tornare negli accordi di
Parigi e nell’Organizzazione Mondiale della Sanità (sugli accordi con l’Iran,
vedrete, Biden non ha fretta), serve ragionare con la Cina sui dazi e fare
tackle sulle manovre militari nel Mar Cinese Meridionale. Gli europei avranno
un Biden amico e partner (la cancelliera Merkel, in privato, ha festeggiato
come per un gol tedesco alla finale Mondiale), Putin capisce che Biden è per
lui l’inizio della fine e infatti implora quel che Trump agognerebbe, immunità
a vita da ogni processo e indagine giudiziaria.
Riuscirà
Biden a farcela? Lo seguiremo e ve ne daremo conto. Nel ringraziarmi per avermi
seguito in così tanti, e nel ringraziare questa redazione di amici, fatemi
finire con qualche riflessione personale. L’America non è il Venezuela, non lo
sarebbe stata neppure con Trump II. Trump II avrebbe avviato il paese a un
nazionalismo protezionista, screziato di discriminazione e autoritarismo contro
istituzioni e media, che avrebbe messo a dura prova la repubblica, ma non
sarebbe stato il fascismo. Per quattro anni magistratura, giornalisti,
amministrazioni civili, università, forze armate e di polizia, hanno difeso la
Costituzione da ogni scorribanda del presidente e dei suoi accoliti, e non sono
state poche né innocue, proprio perché l’America non è uno stato fallito. I
pianti, la gioia, la festa popolare che, per la prima volta nella storia, hanno
seguito l’elezione di Biden non erano sagra di militanti, ho visto in piazza
persone che votavano per la prima volta. Erano auspicio che si possa tornare
alla classica dialettica democratica maggioranza-opposizione, come l’America ha
dovuto fare tante volte, dopo la Guerra Civile, dopo la Caccia alle Streghe, la
battaglia sui diritti civili, il 1968, il Watergate.
I disordini, le barricate, i mitra
impugnati che Guru&Paraguru evocavano spiritici sono state danze,
caroselli, allegria. E l’America, la democrazia ferita, rovinata, perduta dei
nostri columnist dispeptici e provinciali, dopo aver eletto il primo presidente
afroamericano nel 2008, elegge una donna, nera e asiatica vicepresidente. Lo
so, lo so, lo leggo sui social ogni giorno, quanto noi europei siamo più
evoluti, chic, furbi degli americani, mica noi crediamo che Via col Vento sia
razzista, che le statue del Ku Klux Klan vadano abbattute, che i film Oscar
debbano non avere un cast tutto bianco, che le battute sessiste in diretta
siano un oltraggio: noi siamo più avanti evoluti. Può darsi. Intanto aspettiamo
il primo premier britannico di origine giamaicana, il primo Cancelliere tedesco
di famiglia turca, il primo presidente francese cresciuto nelle banlieue
algerine, per non dire il primo presidente del Consiglio italiano dal cognome
albanese o, per fare proprio utopie, la prima presidente della Repubblica
donna.
https://www.huffingtonpost.it/entry/beato-il-paese-che-ha-unelite-di-75-milioni-di-elettori_it_5fa902d6c5b623bfac51c1bd??ncid=newsltithpmgnews
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