I carusi delle zolfare siciliane
Una delle
domande che più spesso mi viene fatta al 𝐌𝐮𝐬𝐞𝐨 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐙𝐨𝐥𝐟𝐚𝐫𝐚 𝐝𝐢 𝐌𝐨𝐧𝐭𝐞𝐝𝐨𝐫𝐨 (𝐂𝐋) è “Ma cos’è il 𝐒𝐨𝐜𝐜𝐨𝐫𝐬𝐨 𝐌𝐨𝐫𝐭𝐨”? A questa domanda ho sentito dare
varie risposte. Era un prestito? una anticipazione? Non esattamente. Facciamo
un po' di chiarezza.
Una squadra
di lavoro nelle zolfare era di solito costituita da un picconiere e quattro
“carusi” che erano addetti a portare fuori dalla miniera il materiale cavato
dal picconiere. Per potere
“assumere” i carusi, il picconiere doveva versare alla famiglia di appartenenza
una quota in denaro definita “soccorso morto”. Con una
moderna terminologia potremmo dire che il "soccorso morto" era una
polizza fideiussoria che il picconiere versava anticipatamente a titolo
precauzionale, in caso di morte del "caruso" ma che doveva essere
interamente restituita per risolvere il contratto di lavoro in assenza
dell’evento morte.
Non era
dunque un prestito neanche un'anticipazione sul salario, infatti il caruso
veniva pagato settimanalmente fin da subito (pochi spiccioli si dirà,
condivido, ma questo era il salario a quei tempi per quel tipo di lavoro).
Il soccorso
morto era quindi un aiuto economico (soccorso) che il picconiere dava in caso
di morte del caruso perché il suo decesso non avrebbe più consentito alla
famiglia di avere una entrata economica.
Il
versamento della quota "soccorso morto" alla famiglia da parte del
picconiere escludeva quest’ultimo da ogni responsabilità penale nel caso di
morte da lavoro.
Una delle
condizioni fondamentali per rescindere il contratto tra il caruso e il
picconiere era quella di restituire l'intera somma del soccorso morto. E questo
era il vero problema. Infatti le famiglie che avevano ceduto il loro minore al
picconiere, solitamente spendevano rapidamente la somma del soccorso morto per
sfamare il resto della famiglia e non erano più in grado di restituire la somma
per cui il caruso rimaneva nelle mani del picconiere.
A volte
erano i carusi stessi che, conservando, settimana dopo settimana, parte della
loro paga, riuscivano a restituire la somma; a volte era il picconiere stesso
che, per pena o altro, lasciava libero il caruso, magari ormai adulto, anche
senza aver incassato la somma originaria.
Più spesso
in realtà i picconieri mantenevano con se il caruso anche in età più avanzata
e, se non ne avevano più bisogno, lo cedevano ad altri picconieri a fronte di
una corresponsione di una somma più o meno simile a quella del soccorso morto.
Questo
spiega perché non si conosce più neanche il nome di molti carusi, come ad
esempio dei 9 sepolti nel “Cimitero dei Carusi” presso la zolfara di
#Gessolungo a Caltanissetta, perché a seguito di svariati spostamenti e
passaggi di mano se ne perdeva pure la loro origine e le famiglie che vivevano
in assoluta povertà non erano più capaci di ricercarne l'esistenza.
Il soccorso
morto non determinava di fatto una schiavitù del caruso nei confronti del suo
datore di lavoro però la rozzezza dei picconieri, che trascorrevano l’intera
vita in un ambiente brutale e disumano, generava, un rapporto dispotico che era
del tutto simile a quello del padrone-schiavo e che sfociava spesso in
manifestazioni violente e bestiali.
E’ evidente
che lo sfruttamento del lavoro dei minori già in tenera età fu una piaga che
rubò l'infanzia a moltissimi bambini tra l’Ottocento e il Novecento. Anche se
l’età minima per avviare un minore al lavoro a quell’epoca, era di 12 anni,
molto spesso tale limite era considerato un vincolo che non rispettavano
proprio i genitori dei carusi stessi, per cui i rappresentanti del regno
borbonico, prima, e d’Italia poi, non controllavano tale diffusa illegalità
dalla quale anzi si tenevano ben lontani.
Una
curiosità:
Molte
famiglie, dopo aver speso il denaro del soccorso morto per esigenze a volte
immediate e urgenti, iniziavano a raccogliere giorno dopo giorno il denaro
necessario a ricostruire la somma del soccorso morto. La somma veniva posta
all’interno di un salvadanaio di terracotta che veniva spaccato al momento
dell’apertura. Non a caso il salvadanaio era chiamato “Caruseddu”.
by 𝐌𝐚𝐫𝐜𝐞𝐥𝐥𝐨 𝐅𝐫��𝐧𝐠𝐢𝐚𝐦𝐨𝐧𝐞
Direttore
del 𝐌𝐮𝐬𝐞𝐨 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐙𝐨𝐥𝐟𝐚𝐫𝐚 𝐝𝐢 𝐌𝐨𝐧𝐭𝐞𝐝𝐨𝐫𝐨 (𝐂𝐋)
1 commento:
A Corleone si viveva qualcosa di simile. Presso la cava di cicio negli anni sessanta un mio cugino di età adolescenziale resto schiacciato dalle pietre dopo una esplosione provocata dalla dinamite. Era un Caruso lavoratore di nome Pecoraro
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