Alcuni prodotti delle coop che lavorano sui terreni confiscati alla mafia in Sicilia |
Pubblichiamo un interessante servizio sulle AGROMAFIE del giornalista brasiliano Edison Veiga per TAB, che ci aiuta a capire come la mafia c'entra anche in quello che mangiamo.
di EDISON
VEIGA
Colaboração para o
TAB, de Bled (Eslovênia)
È
molto probabile che i pomodori pelati nel sugo, il grano duro della pasta della
domenica, l'olio extravergine d'oliva importato e persino quello speciale vino
italiano, a un certo punto del processo, siano passati attraverso le mani dei
mafiosi prima di raggiungere la tavola. Dimentica l'affascinante banditismo del
cinema. Nella vita reale, la mafia italiana continua ad essere sempre più coinvolta
nel mondo dell'agro-business. "Il giudice Giovanni Falcone [assassinato
nel 1992 per le sue azioni contro i gruppi mafiosi] diceva che per combattere
la mafia bisogna andare dietro ai soldi", dice l'economista Andrea
Fantini, coordinatore del Laboratorio di Economia e Marketing Agroalimentare
dell’Università di Teramo, in Italia. Allo stesso modo in cui la mafia è presente
in diversi settori italiani, tende anche a controllare le nicchie
agroalimentari.
Questi criminali spesso agiscono come una potenza parallela.
Nelle regioni del sud Italia sono ancora presenti nel commercio, addebitando
tariffe per cui gli stabilimenti possano operare "in sicurezza". Si
chiama "pizzo", che in dialetto siciliano significa “becco" (la
parola pizzo viene
direttamente dal siciliano “u pizzu” in riferimento al becco degli uccelli. Un
antico detto siciliano recitava “fari vagnari u pizzu”, far bagnare il becco,
cioè dare un bicchiere di vino a persona da cui si fosse ricevuto un favore in
segno di ringraziamento – nota del traduttore). Il famoso pizzaiolo Gino
Sorbillo, napoletano, ha osato smettere di versare il suo tributo ai mafiosi.
Il 16 gennaio 2019 ha dovuto chiudere il suo stabilimento a causa di una bomba.
In questo senso, si tratta di una prestazione simile a quella dei gruppi
paramilitari brasiliani, che praticano l'estorsione per
"autorizzare" il funzionamento di esercizi commerciali, o "garantire"
presunta sicurezza al posto di uno Stato assente. Per combattere queste
pratiche in Italia, gruppi di imprenditori e opinion maker si stanno
organizzando e rifiutano di versare il loro tributo ai mafiosi. "Anche se non
ne faccio parte devo contribuire al pizzo. È il prezzo che pago per tenere le
porte aperte e né io
né la
mia famiglia, (così) subiamo ritorsioni", ammette a TAB un ristoratore
calabrese che ha chiesto di non avere rivelato il suo nome.
La mafia nei campi
Ma, se il lato più visibile al consumatore finale è l'estorsione negli esercizi commerciali, quello che più preoccupa è l'azione mafiosa nella produzione rurale. È più difficile da controllare e finisce per contaminare l'intera filiera produttiva. Specialista in marketing agroalimentare e sviluppo rurale e ricercatore presso l'Università di Bolzano, in Italia, Mikael Linder si è recato in Sicilia nel 2019 per cercare di capire, sul posto, qual è il rapporto tra produttori e mafiosi. Ha visto come le persone legate ai criminali hanno dominato il sistema di marketing per prodotti come i pomodori, non consentendo agli agricoltori di vendere direttamente ai magazzini commerciali. "Sono arrivati con i loro camion, hanno caricato le casse e hanno detto di aver pagato un certo importo. In contanti. Meno del valore equo, ma lasciando il produttore senza alcuna possibilità di provare a vendere altrove", dice a TAB. Linder dice di aver sentito anche dagli agricoltori che, per abbassare i prezzi, i mafiosi controllano l'importazione di alcuni prodotti agricoli proprio durante le stagioni del raccolto, generando una competitività ingiusta. Creano anche un rapporto clientelare con i produttori, prestando denaro e garantendo alcuni favori. Fantini spiega che, in generale, i mafiosi investono nel settore alimentare con l'obiettivo iniziale di riciclare denaro sporco, ottenuto da attività illegali. E può peggiorare. "Il Covid-19 amplia notevolmente le possibilità che la mafia entri in varie attività, perché le aziende sono in crisi. Ad esempio, i piccoli produttori di vino non riescono a vendere la produzione ai ristoranti. Vedo un pericolo molto grave", sostiene.
Un altro fronte sfruttato dai mafiosi nel settore alimentare è quello del lavoro illegale e spesso analogo alla schiavitù derivante dalla crisi umanitaria. Le aziende assumono immigrati che, ospitati in alloggi precari, affrontano dalle 10 alle 15 ore al giorno, con salari quasi inesistenti. Responsabile del dipartimento legalità della Confederazione Generale Italiana del Lavoro (C.G.I.L.) di Palermo, lo scrittore e giornalista Dino Paternostro concorda sul fatto che si tratta di un problema chiave nella catena del lavoro agroalimentare. Sottolinea che il suo sindacato ha fatto pressioni perché fosse approvata una nuova legge contro l'assunzione di lavoratori illegali che prevede "pene severe per chi sfrutta questo lavoro in agricoltura". La sfida è garantire che la legge sia applicata. ”Siamo adesso impegnati a far rispettare questa legge, che idealmente unisce le battaglie contro la violenza e la mafia dalla fine dell'Ottocento, all'epoca dei 'fasci siciliani', ad oggi", precisa.
I
mafiosi non seguono le regole del gioco. Ciò può significare, ad esempio, che
siano utilizzati terreni contaminati da rifiuti tossici per la produzione
agricola. Ma è anche a causa del "pizzo" addebitato che, ovviamente,
viene gravato sul consumatore il costo finale del prodotto. O anche nelle
adulterazioni di prodotti con additivi, come l'olio d'oliva e persino la
mozzarella, sottolinea Linder.
Guerra alla mafia
In un Paese pieno di vizi di sistema e retaggi patrimonialistici come l'Italia, vigilare non è un compito semplice. È frequente notare manifesti con frasi ad effetto contro la mafia sui muri dei municipi e di altri luoghi pubblici. Per combattere questi gruppi criminali è necessaria una serie di soluzioni. "Lavorare sull'inclusione socioeconomica nei territori in cui la mafia è radicata e migliorare le strutture dello Stato perché la mafia non ne sia il sostituto", sostiene Linder. "E anche avere regole chiare e accessibili per la produzione e commercializzazione dei prodotti:
- una maggiore
tracciabilità e trasparenza della filiera produttiva, affidandosi a strumenti
tecnologici per (effettuare) questo maggiore controllo;
- combattere la guerra
dei prezzi sponsorizzata dalle grandi catene di supermercati, che schiacciano
ai margini i produttori e favoriscono chi agisce ingiustamente;
-
educare il consumatore, in
modo che capisca che dietro un prodotto molto economico, può celarsi una
manodopera sottopagata, un lavoro svolto in condizioni precarie o l'utilizzo di
ingredienti falsi.
Il
controllo è difficile, ma Fantini ricorda che il coltello e il formaggio sono
nelle mani del consumatore". Una soluzione è la repressione da parte delle
istituzioni, l'azione di giustizia [contro i mafiosi] ", dice. "Ma,
come consumatore, posso aiutare a combattere la mafia acquistando prodotti
derivanti da un processo trasparente"
Questo il testo brasiliano del servizio:
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