«Ho incontrato padre Pino Puglisi. È stato un incontro ravvicinato anche se avvenuto dopo la sua morte per mafia. L’ho incontrato nel marzo del 2016 e da allora il suo effetto su di me continua. Non è stato un incontro reale ma ravvicinato sì, intenso e coinvolgente. L’ho incontrato per caso come avvengono tanti incontri e tante conoscenze, ma non l’ho conosciuto di persona. Ho compreso che era un piccolo grande uomo. Questo incontro l’ho fatto nel territorio della sua ultima parrocchia dialogando con la gente che lo ha conosciuto e lo ha amato; le interviste sul campo nel quartiere di Brancaccio mi hanno fatto incontrare don Pino nella voce e nei ricordi della sua gente, la cui anima ho scoperto recare un segno della passione che “3P” metteva nella sua missione». È la sua, una figura affascinante, a motivo della sua testimonianza di vita forte e semplice.
Prima di essere un grande prete, Puglisi è stato un grande uomo: è stato questo a far nascere in me la voglia di esplorare, di sviscerare la sua figura e la sua identità. Sono state proprio la voce e le parole delle persone di Brancaccio con i loro racconti, carichi ancora del sentimento della sua presenza in mezzo a loro, a farmi riflettere su di lui. Egli operò in un quartiere dove regnava la mafia e il nulla; laddove la Parola di Gesù era da tempo scomparsa, oppure, se mai c’era stata, era sepolta sotto la coltre della tradizione e dell’omertà mafiosa. Don Pino seminò una speranza nuova. In quel luogo che sembrava ormai da troppo tempo abbandonato da Dio e dagli uomini, il ministero pastorale di don Pino risuonò e si radicò con forza travolgente. La figura di padre Puglisi è una figura religiosa di singolare rilievo soprattutto oggi, in una società consumistica, una società liquida, dove tutto scorre alla velocità della luce e non c’è più tempo per l’altro; in cui domina il vuoto e si sente la mancanza di un modello esemplare di prete quale fu padre Puglisi che di certo oggi sarebbe riuscito a ridare, a chi li ha persi, la speranza, il sorriso, la voglia di cambiare.
Ho incontrato padre Pino Puglisi
Prefazione di don Luigi Ciotti
Presentazione di don Calogero Cerami
Immagini di Marcella Ciraulo e Valentina Ghezzi
Edizioni La Zisa
pp. 138
euro 12,00
NELLE LIBRERIE (anche online)
GABRIELLA CASCIO, originaria di Isnello, vive a Palermo, dove nel
2016 ha conseguito la laurea magistrale in Scienze religiose. Ha costruito sul
campo questo saggio, confrontandosi con la gente di Brancaccio e riscoprendo la
figura di padre Pino Puglisi. Insegna Religione cattolica nelle scuole di
Palermo e provincia.
Parte del ricavato della vendita del presente volume sarà
destinato ai progetti dell’Associazione INSHUTI Italia-Rwanda onlus
LA PREFAZIONE DI DON LUIGI CIOTTI
A Palermo,
durante l’omelia per il venticinquesimo anniversario della morte di Pino
Puglisi, papa Francesco disse di lui che «seminava il bene, tanto bene». Credo
che la scelta di questo termine, “seminare”, non fu casuale, come del resto
mai lo sono le parole pronunciate dal papa. Seminare è un verbo del vocabolario
contadino e porta con sé i risvolti anche simbolici di quello che è il lavoro
più antico e ancora oggi più necessario per l’uomo: la fatica, la cura,
l’affidamento, la speranza.
Gabriella
Cascio, nel suo ben documentato studio, ci ricorda che Brancaccio nasce e
prospera come borgata contadina, e che proprio in quelle sue origini rurali
affondano anche le radici di una certa criminalità mafiosa, che poi attecchirà
approfittando di uno sviluppo urbanistico disordinato, causa di povertà materiali
e culturali sempre più profonde. Padre Puglisi, che a Brancaccio ci era nato,
conosceva bene le dinamiche del quartiere, e sapeva che ai suoi molti problemi
sarebbe stato possibile porre rimedio soltanto attraverso una paziente opera di
educazione delle persone, di ricostruzione del legame sociale e del senso di
comunità. Se la “cultura” mafiosa del sopruso e del favore prosperava grazie
ai vuoti di opportunità e diritti, la Chiesa non poteva accontentarsi di
enunciare un ideale astratto di moralità, una generica esortazione alla
giustizia. Ecco allora che seminare il Vangelo nel cuore della gente era per
lui inscindibile dal seminare piccole proposte concrete di partecipazione alla
vita comunitaria, non soltanto in chiave religiosa.
Dove seminava, don Pino? Ovunque, ci conferma Gabriella,
che meritoriamente per questo suo lavoro di ricerca ha puntato proprio sullo
strumento che don Puglisi considerava primario: l’ascolto delle persone. Sono
preziose le testimonianze che l’autrice ha qui raccolto, e che ci consegnano
l’immagine di un parroco capace di accettare il linguaggio crudo dei
ragazzini, pur di entrare in relazione vera con loro, e di imparare giochi di
carte per creare l’occasione di un confronto con gli anziani. Un parroco che
non temeva di inimicarsi i fedeli più influenti criticando lo sperpero di
soldi per processioni e iniziative di facciata, mentre non cessava di
sollecitare le istituzioni affinché stanziassero i fondi per opere di utilità
immediata, come l’edificio della scuola media o altri interventi strutturali
per rendere più vivibile il quartiere.
Come nella
parabola del seminatore, don Pino lasciava che i suoi semi cadessero anche
fuori dalla terra fertile, e non per imperizia, ma per la convinzione profonda
che una conversione sia possibile per chiunque, se accompagnata dall’esempio di
altri uomini e dall’amore di Dio. Il pentimento di uno dei suoi assassini,
anni dopo il delitto, è forse il frutto insperato di un seme caduto sul terreno
più arido e sassoso.
Nei soli tre
anni che don Puglisi ha passato a Brancaccio come parroco, ha visto germogliare
e crescere molti dei suoi semi: uno su tutti il Centro Padre Nostro, fulcro
della sua attività pastorale con i più giovani. Probabilmente, ci dicono i
processi e ci ripetono i testimoni interpellati da Gabriella, fu proprio il
successo di quel centro a costargli la vita, perché i mafiosi non sopportavano
che qualcuno facesse loro “concorrenza” nel reclutare i ragazzini, togliendoli
dalla strada e mostrando loro una strada alternativa alla violenza per
realizzarsi nella vita.
L’autrice ha voluto leggere l’esperienza pastorale di don
Puglisi come un esempio di quella “Chiesa in uscita” che oggi papa Francesco
invoca quale autentica espressione dello spirito conciliare. Non posso che
sposare in toto la sua visione, aggiungendo che figure come quella del parroco
di Brancaccio, o di don Peppino Diana ucciso pochi mesi dopo a Casal di
Principe, sono state la coraggiosa avanguardia di una Chiesa che da allora,
superando certe ambiguità del passato, non ha smesso di interrogarsi,
ripensarsi e mettersi in gioco. Ho conosciuto personalmente tanti esempi di un
cattolicesimo che salda la fedeltà al Vangelo con quella ai principi della
Costituzione, e che si fa presenza viva dentro le comunità più esposte alle
logiche criminali, rispondendo con la Parola del Padre ai vaniloqui dei
padrini, ma anche con la forza di un impegno personale, concreto, quotidiano,
alle speranze di giustizia della gente.
La libertà e
dignità che Pino Puglisi ha regalato a tanti abitanti di Brancaccio, i cui
percorsi di vita sono tratteggiati in queste pagine come segno tangibile del
cambiamento da lui generato, sono state insieme il frutto e il nuovo seme di
un impegno che oggi continua nel suo nome.
Don Luigi Ciotti
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