GIUSEPPE CARLO MARINO
Cento anni fa, il 14 ottobre 1920, fu assassinato a Palermo Giovanni Orcel, popolare e amato dirigente della Camera del Lavoro, la guida “proto comunista” degli operai che avevano occupato il Cantiere Navale nel quadro delle lotte nazionali del movimento operaio culminate, da Torino a tutto il Nord, nell’azione di occupazione delle fabbriche. Il 29 febbraio era già stato assassinato, a Prizzi, Nicola Alongi, epigono della non del tutto spenta esperienza dei Fasci siciliani dei lavoratori, capo e guida del movimento contadino che, in stretto collegamento operativo con gli operai palermitani, aveva occupato i latifondi.
I due assassinii, di Alongi e di Orcel, segnarono insieme la criminale repressione, attuata dalla mafia, di quella che era stata in assoluto, in Italia, la prima concreta esperienza di “alleanza operai-contadini” (“città” -“campagna”, Nord-Sud) allora invano propiziata ed invocata da Antonio Gramsci. C’è da cogliere in quella complessa vicenda tutta la drammaticità del passaggio, proprio in Sicilia, nel profondo Sud, dal vecchio socialismo parolaio e inconcludente alle pratiche di lotta del nuovo movimento comunista sotto l’impulso della “rivoluzione d’ottobre”. E’ una grande storia, tanto siciliana quanto nazionale, una storia a lungo lasciata cadere nel dimenticatoio, di cui in Sicilia si dovrebbe coltivare, con la memoria, anche la fierezza.
Ora, è certo encomiabile l’iniziativa, di cui il sottoscritto ha avuto ritardata notizia, della Cgil (della Fiom in particolare) di aver promosso, con il supporto dell’Anpi, una pubblica commemorazione del sacrificio di Giovanni Orcel che le urgenze poste dagli sviluppi della pandemia hanno costretto a rinviare a data da destinarsi. Il sottoscritto – da storico di mestiere che ha dedicato molte pagine alla vicenda riportandola per primo alla luce da un troppo lungo oscuramento – ne avrebbe auspicato una realizzazione attenta a non risolversi nell’usuale retorica commemorativa di cerimonie del genere. Non è certo da escludere che, qualora fosse stato possibile realizzarla, la commemorazione si sarebbe svolta in un modo almeno parzialmente conforme al suddetto auspicio, anche se è perlomeno strano che in occasioni importanti di riscatto della memoria come i centenari, per privilegiare certe estemporanee vanità di protagonismo, proprio gli storici che, sopportandone la fatica, hanno avuto il merito di ripristinare la specifica memoria dei fatti commemorati vengano trascurati o dimenticati!
Comunque, se il sottoscritto – essendo per sua fortuna ancora in vita – fosse stato invitato ad offrire di persona il suo contributo, forse sarebbe riuscito a far si che nel ricordo di Orcel e dell’opera sua potesse avviarsi, su basi certificanti di ricerca storiografica, un esercizio di “memoria attiva” idoneo a cogliere e a valorizzare il ruolo non provinciale, ma nazionale, che è da riconoscere alle avanguardie del movimento operaio in Sicilia, valutando soprattutto la particolare “eroicità” del loro impegno che fu spesso contrastato e condannato alla repressione o all’impotenza, oltre che dai nemici “esterni “ (i poteri mafiosi in primo luogo), anche da subdoli avversari “interni” insediati e dominanti nelle loro stessa area di azione e di militanza. Infatti, non pochi di quanti cent’anni fa, nella Camera del Lavoro del tempo, affranti e piangenti, resero omaggio al feretro del “compagno” Orcel assassinato appartenevano a quel cosiddetto “socialismo riformista” (meglio dire asservito ed “opportunista”) che del “compagno” Orcel avevano osteggiato l’azione politico-sindacale in umbratile alleanza con i “padroni” del Cantiere Navale ed erano succubi dell’egemonia mafiosa che politicamente faceva capo a Vittorio Emanuele Orlando.
Su questa pista, qui appena tracciata in generale, il sottoscritto avrebbe forse avviato, appunto, un non retorico esercizio di “memoria attiva” utile per una riflessione autocritica sul passato della Sinistra in Sicilia e come lezione contro certi pericoli di opportunismo e di trasformismo che – in forme nuove ma altrettanto avvilenti per il mondo del lavoro e per la società civile – gravano sul presente dell’azione sindacale e della politica. Si duole molto per non averlo potuto fare. Almeno per lui, ma forse non solo per lui, è un’occasione perduta. E non soltanto per colpa del coronavirus.
Giuseppe Carlo Marino
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