Quella di Carlo Ruta, storico che non ha mai smesso di documentare il ruolo strategico della conoscenza storica nella vita delle società civili contemporanee, è stata un'impresa davvero difficile, tanto più nel pieno delle attuali contingenze pandemiche. Ma con la forza dei suoi argomenti, paradigmatici, lo studioso è riuscito ad aprire varchi importanti di discussione, che hanno superato di gran lunga i confini italiani. Diramato nella prima metà dello scorso settembre, il suo Manifesto, intitolato in maniera esortativa La storia cambi passo, ha richiamato e coinvolto studiosi tra i più eminenti a livello globale, in campo storico, antropologico, archeologico sociologico, filosofico e di altre discipline.
Adesso questa discussione, dipanatasi per un mese e mezzo quasi in sordina,
diventa pubblica e fruibile con pienezza perché raccolta in un libro di 220
pagine, intitolato Dibattito sulla storia. Il manifesto di Carlo Ruta e
il dibattito in Europa e oltre, appena pubblicato dalle Edizioni di storia
e studi sociali. Solo adesso emergono perciò, in maniera sorprendente, le
misure di un dibattito intenso, che di certo finirà per accenderne altri, per
il valore aggiunto culturale e scientifico, per certi versi perfino spiazzante,
che riesce a fornire.
Da vari Paesi e da ambienti di profilo altissimo si è deciso di interagire
in sostanza con le argomentazioni del Manifesto, con condivisioni nodali,
laddove lo storico italiano parla, ad esempio, di «fenomenologie del
pregiudizio» di «mobilità del punto di vista», di «dimensione dell’incerto», di
«chiusure iper-identitarie» di nuovi patti tra scienze sociali e naturali e di
nuovi incontri tra società e storia. Evidentemente, non scorre in rassegna una
storia «calibrata», cattedratica, rinserrata nei gusci ma una storia audace,
progressiva, utile e spendibile sul piano civile, come viene sottolineato
ampiamente da Carlo Ruta e da altri studiosi intervenuti.
Alcuni nomi, allora, per dare un’idea concreta sul tipo di risonanze che ha
avuto il Manifesto dello studioso italiano. Tra i partecipanti al dibattito
troviamo Peter Burke, storico della Cambridge University e fondatore della «New
cultural history», che, con quella annalistica francese, ha segnato una delle
maggiori svolte storiografiche del Novecento. Troviamo Pamela Kyle Crossley,
storica statunitense della Cina e dell’Asia, oggi capofila e teorica della
«Global History»: altra vicenda epica in campo storico, che ha aggiornato
alcune mappe delle Annales francesi, aggiungendone di nuove.
Troviamo Carlo Sini, tra i massimi filosofi italiani viventi, che ha segnato un
punto di confluenza tra fenomenologia, ontologia ed ermeneutica. Troviamo Jean
Guilaine, paletnologo francese i cui studi sul Neolitico e sulla Protostoria da
decenni fanno scuola in tutti i continenti. Troviamo, ancora, Clemente Marconi,
docente della New York University e dell’Università Statale di Milano,
archeologo post-processualista tra i più brillanti oggi a livello
internazionale, e che ancora oggi gli States americani
contendono all’Italia.
Ed ecco i nomi degli altri partecipanti: Michael F. Feldkamp,
storico tedesco di Berlino, esperto di storia delle relazioni fra Santa Sede e
Germania e tra i massimi rappresentanti del cattolicesimo in Germania; Sébastien
Nadot, storico, esperto di reti sociali e politico francese, dal 2017 deputato
all’Assemblea Nazionale, Parigi; Vincenzo Guarrasi, geografo, direttore
dell’Istituto di Scienze antropologiche e geografiche e docente di Geografia all’Università
degli Studi di Palermo; Giuseppe Varnier, epistemologo italiano, docente
di Epistemologia e Philosophy of Mind all’Università di Siena; Alberto
Cazzella, paletnologo, docente di Paletnologia e direttore della Scuola di
Dottorato in Archeologia della Sapienza Università di Roma; Giorgio
Manzi, biologo, docente di Evoluzione umana e Storia naturale dei primati
della Sapienza Università di Roma; Giorgio Chinnici, fisico e scrittore
hoepliano; Sandra Origone, storica, docente di Storia medievale e di Storia del
Mediterraneo medievale e dell’Oriente bizantino all’Università di
Genova; Luigi Loreto, storico, docente di Storia Romana presso la Seconda Università degli
Studi di Napoli; Roberto Cipriani, sociologo, docente di Sociologia presso
l’Università Roma Tre; Simona Marchesini, linguista, archeologa ed
etruscologa italiana; Liborio Dibattista, storico della scienza, docente di
Storia della medicina e Filosofia della scienza all’Università degli studi di
Bari; Salvatore Perri, economista, docente di Politica economica
all’Università della Magna Graecia di Catanzaro e stretto collaboratore
dell’analista economico statunitense John Komlos; infine, François Dosse,
storico francese proveniente dall’esperienza delle Annales, tra i
più acuti interpreti di Foucault, docente emerito Università di Parigi 12 e
docente di storia moderna presso l’Institut Universitaire de
Formation des Maîtres a Créteil.
Come si spiega allora questo grande ed esteso interesse suscitato? «Credo –
spiega Carlo Ruta – di aver interpretato un’esigenza comune, una avvertita
necessità di cambiamento. Servono nuove concettualizzazioni e ho cercato di
fornire dei contributi in questa direzione, che, evidentemente, non sono caduti
nel vuoto, tutt’altro. Avvertivo peraltro già da prima questo interesse, che
spero sia il ‘sintomo’ di un mutamento di prospettiva. Le società vivono forti
crisi d’identità, rischiano di rifluire nei nichilismi, nelle chiusure
iper-identitarie, che hanno infestato un’epoca e che diventano sempre più
aggressive. E di certo un nuovo modo di produrre conoscenza storica può avere
effetti importanti, direi dirompenti, sulla contemporaneità. Si tratta di
ricercare allora nuovi paradigmi, nuovi parametri, nuovi accostamenti alle
cose». «Ma – continua lo storico – tutto ciò è possibile a condizione che i
saperi storici e sociali siano pronti a ‘rinegoziare’ il rapporto con le
società attraverso un ‘patto’ che ne elevi la funzione, in cambio di un
rinnovato impegno a mettersi e a mettere in discussione, che porti ad una
erogazione più sostenuta sul piano scientifico, ad una ridefinizione dei
compiti, che dovrebbe coinvolgere anche le scienze naturali, in una logica di
aperture e dialoghi a tutto campo». E aggiunge: «Credo non sia inutile ricordare
che nella dimensione discorsiva, di un dialogo incalzante e serrato tra saperi
scientifici, si aprivano, con l’esperienza galileiana in modo particolare, gli
orizzonti scientifici e culturali della modernità».
Flora Bonaccorso
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