Papa Francesco |
Nei nostri incontri è nata un’amicizia e adesso credo che se la Chiesa diventerà come lui la vuole cambierà la storia
DI EUGENIO SCALFARI
Ho incontrato papa Francesco molte volte: lo conobbi poiché il mio giornale, Repubblica, mi aveva incaricato di incontrarlo ed io ci riuscii con relativa facilità: anche il Papa aveva voglia di parlare con persone interessate a conoscere il Papa e quindi fu abbastanza semplice. Sua Santità mi invitò al palazzo di Santa Marta. Io ci arrivai senza difficoltà e fui rapidamente introdotto in una sala al piano terreno di quel palazzo e lì il nostro rapporto iniziò con molta amicizia fin dal primo momento. Io ne fui molto stupito, mentre papa Francesco ne era davvero interessato; e così cominciò. Sono perfettamente in grado di fare il resoconto di quello che ci siamo detti in decine di incontri a Santa Marta.
È da quegli incontri che ho tratto un libro che ne racconta i contenuti ed anche il rapporto personale che si instaurò tra noi molto velocemente. L'insieme di questi incontri, discorsi tra noi, di carattere storico, religioso, giuridico e personale soprattutto. È cominciato nelle prime settimane dall'elezione di papa Francesco ed è proseguito dal 2013 fino ad oggi: telefonate, incontri in Vaticano, lettere scambievoli ed anche e soprattutto la compilazione da parte mia delle conversazioni che avevamo e che io pubblicavo due giorni dopo sul nostro giornale che io inviavo al Papa non appena pubblicate. È nata in questo modo un'amicizia che addirittura culminò quando fui portato in clinica per un malessere che per fortuna passò presto e il Papa chiese notizie alla caposala della clinica dove ero. Lei mi portò il telefono della sala d'aspetto e nella camera in cui ero ricoverato. Capite bene, cari lettori, che un rapporto di questo tipo non credo sia avvenuto in altre occasioni tra un capo della Chiesa e un giornalista che non è mai stato neppure cattolico.
Avendo io pubblicato un anno fa, aggiornandolo poi fino allo scorso settembre, il mio rapporto è addirittura ormai parentale con questa aggiunta: la pensiamo in modo profondamente diverso. Io non sono credente e lui è il Pontefice da ormai otto anni. E questo è quanto. Stiamo attraversando una fase molto complessa della vita collettiva del mondo intero e quindi essere amico del Papa da parte di uno come me si può definire una situazione storica. Per me vale veramente molto, per lui abbastanza, per i miei lettori credo e spero moltissimo. Grazie.
"In un periodo in cui frequentavo il liceo di Sanremo (la mia famiglia viveva da qualche tempo in quella città) studiando filosofia mi soffermai con notevole interesse su Descartes che aveva lanciato un motto la cui celebrità diventò europea; erano tre parole: penso dunque sono. Santità qual è il suo pensiero su un filosofo come quello?"
"È certamente interessante ma non è completo. L'Io diventò in questo modo il centro dell'esistenza umana, la sede autonoma del pensiero. Descartes tuttavia non ha mai rinnegato la fede del Dio trascendente". Rispose il papa. "Da quanto ho capito lei è un non credente ma non un anticlericale. Sono due cose molto diverse".
"È vero, non sono anticlericale ma lo divento quando incontro un clericale".
Lui sorride e mi dice: "Capita anche a me. Quando ho di fronte un clericale, divento improvvisamente anticlericale. Il clericalismo non dovrebbe aver niente a vedere con il Cristianesimo; San Paolo che parlò ai gentili, ai pagani, ai credenti in altre religioni, fu il primo a insegnarcelo".
A questo punto chiesi in uno dei colloqui con Sua Santità a quale dei Santi lui si sentiva più vicino e su quali si era formata la sua esperienza religiosa. La risposta fu questa: "San Paolo è quello che mise i cardini della nostra religione. Non si può essere cristiani consapevoli senza San Paolo. Tradusse la predicazione di Cristo in una struttura dottrinaria che resiste da duemila anni. E poi Agostino, Benedetto e Tommaso e Ignazio. E naturalmente Francesco. Debbo spiegarle il perché?".
"Lei ha una vocazione mistica?".
"A lei cosa sembra?".
"A me sembra di no".
"Probabilmente ha ragione. Adoro i mistici, anche Francesco per molti aspetti della sua vita lo fu, ma io non credo di avere quella vocazione. Poi bisogna intendersi sul significato profondo di quella parola, il mistico riesce a spogliarsi del fare, dei fatti, degli obiettivi e perfino della pastoralità missionaria e s'innalza fino a raggiungere la comunione con le beatitudini. Brevi momenti che però riempiono l'intera vita".
"A lei è mai capitato?".
"Raramente. Per esempio quando il conclave mi elesse Papa. Prima dell'accettazione chiesi di potermi ritirare per qualche minuto nella stanza accanto a quella con il balcone sulla piazza. La mia testa era completamente vuota e una grande ansia mi aveva invaso. Per farla passare e rilassarmi chiusi gli occhi e scomparve ogni pensiero, anche quello di rifiutarmi di accettare la carica come del resto la procedura consente. Chiusi gli occhi e non ebbi più alcuna ansia o emotività. Ad un certo punto una grande luce mi invase, durò un attimo, ma a me sembrò lunghissimo. Poi la luce si dissipò, io mi alzai di scatto e mi diressi nella stanza dove mi attendevano i cardinali e il tavolo su cui era l'atto di accettazione. Lo firmai, il cardinale camerlengo lo controfirmò e poi sul balcone ci fu l'Habemus Papam".
Ci vedemmo ancora varie volte nella stanza di Santa Marta e in una di queste occasioni si riaprì il discorso su Sant'Agostino. Cambiò molte volte opinione, anche politica su quanto riguardava gli ebrei e altre minoranze politiche e spirituali ma ad un certo punto Agostino scelse un cristianesimo molto intenso, fu nominato vescovo di Ippona e pensò profondamente al tema della Grazia. A quell'epoca ancora si trattava di un tema non chiaro. Chi ti dava la Grazia e che cosa significava essere in possesso di quel sentimento? La Grazia la ottiene un credente che smarrisce la sua esistenza e si identifica per brevissimo tempo nel Dio creatore. Agostino fu intensamente colpito dalla Grazia e ne indicò anche le posizioni: Dio poteva riconoscerti in alcuni momenti estremamente brevi la Grazia, oppure Dio dava la Grazia ad alcuni cristiani e non ad altri; nel corso della loro esistenza molti che avevano ricevuto la Grazia l'avrebbero perduta per comportamenti non adatti e molti altri che non l'avevano avuta riuscivano ad acquistarla e conservarla per opposte ragioni. C'erano infine altre posizioni pensate da Agostino che davano al popolo cristiano e a ciascuno dei suoi membri una grazia che mai li avrebbe abbandonati. L'opposto di questa situazione sarebbe stato il fatto che il dio creatore ad alcune persone non concedeva assolutamente la grazia in nessun momento della vita. Con le conseguenze che ne risultavano.
Questo fu Agostino e non a caso Sua Santità Francesco ha scelto Agostino tra i santi più importanti e soprattutto gli ha conferito il ruolo che la Grazia si conquista: il Bene o il Male possono cambiare durante la propria esistenza e le conseguenze si avranno sulla Grazia in positivo. Così pure possono cambiare al contrario e la grazia ottenuta scompare definitivamente. Queste non è Agostino ma è Francesco. Io gli ho chiesto il suo atteggiamento su questo problema agostiniano e la risposta è stata: "È Dio che mi giudica; io ho la mia responsabilità".
Il Papa quando sono andato a trovarlo e poi dopo un'ora e anche più me ne son tornato via, mi ha sempre accompagnato all'uscita di Santa Marta. Ci vedremo presto spero, ho detto io salutandolo. "Certo - mi ha risposto lui, che mi ha sempre accompagnato al portone di uscita - dovremo anche parlare del ruolo delle donne nella Chiesa. Le ricordo che la Chiesa è femminile".
E parleremo, se lei vuole, anche di Pascal, mi piacerebbe sapere come la pensa su quella grande anima.
"Porti a tutti i suoi familiari la mia benedizione e chieda che preghino per me. Lei mi pensi, mi pensi spesso". Ci stringiamo la mano e lui resta fermo mentre salgo in auto. Io lo saluto dal finestrino mentre lui mi saluta con le due dita in segno di benedizione. Se la Chiesa diventerà come lui la vuole sarà cambiata un'epoca.
La Repubblica, 22 ottobre 2020
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