ISABELLA PIRO
Città del Vaticano
Fraternità e
amicizia sociale sono le vie indicate dal Pontefice per costruire un mondo
migliore, più giusto e pacifico, con l’impegno di tutti: popolo e istituzioni.
Ribadito con forza il no alla guerra e alla globalizzazione dell’indifferenza.
Quali sono i grandi ideali ma anche le vie concretamente percorribili per chi
vuole costruire un mondo più giusto e fraterno nelle proprie relazioni
quotidiane, nel sociale, nella politica, nelle istituzioni? Questa la domanda a
cui intende rispondere, principalmente, “Fratelli tutti”: il Papa la definisce
una “Enciclica sociale” che mutua il titolo dalle “Ammonizioni” di San
Francesco d’Assisi, che usava quelle parole “per rivolgersi a tutti i fratelli
e le sorelle e proporre loro una forma di vita dal sapore di Vangelo”
03/10/2020
Sulla tomba di san Francesco il Papa firma “Fratelli
tutti”
Il Poverello
“non faceva la guerra dialettica imponendo dottrine, ma comunicava l’amore di
Dio”, scrive il Papa, ed “è stato un padre fecondo che ha suscitato il sogno di
una società fraterna” (2-4). L’Enciclica mira a promuovere un’aspirazione
mondiale alla fraternità e all’amicizia sociale. A partire dalla comune
appartenenza alla famiglia umana, dal riconoscerci fratelli perché figli di un
unico Creatore, tutti sulla stessa barca e dunque bisognosi di prendere
coscienza che in un mondo globalizzato e interconnesso ci si può salvare solo
insieme. Motivo ispiratore più volte citato è il Documento sulla fratellanza
umana firmato da Francesco e dal Grande Imam di Al-Azhar nel febbraio 2019.
La
fraternità è da promuovere non solo a parole, ma nei fatti. Fatti che si
concretizzano nella “politica migliore”, quella non sottomessa agli interessi
della finanza, ma al servizio del bene comune, in grado di porre al centro la
dignità di ogni essere umano e di assicurare il lavoro a tutti, affinché
ciascuno possa sviluppare le proprie capacità. Una politica che, lontana dai
populismi, sappia trovare soluzioni a ciò che attenta contro i diritti umani
fondamentali e che punti ad eliminare definitivamente la fame e la tratta. Al
contempo, Papa Francesco sottolinea che un mondo più giusto si raggiunge
promuovendo la pace, che non è soltanto assenza di guerra, ma una vera e
propria opera “artigianale” che coinvolge tutti.
04/10/2020
Guardare gli altri come fratelli e sorelle per salvare
noi e il mondo
Legate alla
verità, la pace e la riconciliazione devono essere “proattive”, puntare alla
giustizia attraverso il dialogo, in nome dello sviluppo reciproco. Di qui
deriva la condanna che il Pontefice fa della guerra, “negazione di tutti i
diritti” e non più pensabile neanche in una ipotetica forma “giusta”, perché
ormai le armi nucleari, chimiche e biologiche hanno ricadute enormi sui civili
innocenti. Forte anche il rifiuto della pena di morte, definita
“inammissibile”, e centrale il richiamo al perdono, connesso al concetto di
memoria e di giustizia: perdonare non significa dimenticare, scrive il
Pontefice, né rinunciare a difendere i propri diritti per custodire la propria
dignità, dono di Dio. Sullo sfondo dell’Enciclica c’è la pandemia da Covid-19
che – rivela Francesco – “ha fatto irruzione in maniera inattesa proprio mentre
stavo scrivendo questa lettera”. Ma l’emergenza sanitaria globale è servita a
dimostrare che “nessuno si salva da solo” e che è giunta davvero l’ora di
“sognare come un’unica umanità” in cui siamo “tutti fratelli” (7-8).
Problemi
globali esigono azioni globali, no alla “cultura dei muri”
Aperta da
una breve introduzione e articolata in otto capitoli, l’Enciclica raccoglie –
come spiega il Papa stesso – molte delle sue riflessioni sulla fraternità e
l’amicizia sociale, collocate però “in un contesto più ampio” e integrate da
“numerosi documenti e lettere” inviate a Francesco da “tante persone e gruppi
di tutto il mondo” (5). Nel primo capitolo, “Le ombre di un mondo
chiuso”, il documento si sofferma sulle tante storture dell’epoca
contemporanea: la manipolazione e la deformazione di concetti come democrazia,
libertà, giustizia; la perdita del senso del sociale e della storia; l’egoismo
e il disinteresse per il bene comune; la prevalenza di una logica di mercato
fondata sul profitto e la cultura dello scarto; la disoccupazione, il razzismo,
la povertà; la disparità dei diritti e le sue aberrazioni come la schiavitù, la
tratta, le donne assoggettate e poi forzate ad abortire, il traffico di organi
(10-24). Si tratta di problemi globali che esigono azioni globali, sottolinea
il Papa, lanciando l’allarme anche contro una “cultura dei muri” che favorisce
il proliferare delle mafie, alimentate da paura e solitudine (27-28). Inoltre,
oggi si riscontra un deterioramento dell’etica (29) cui contribuiscono, in un
certo qual modo, i mass-media che sgretolano il rispetto dell’altro ed
eliminano ogni pudore, creando circoli virtuali isolati e autoreferenziali, nei
quali la libertà è un’illusione e il dialogo non è costruttivo (42-50).
L’amore
costruisce ponti: l’esempio del Buon Samaritano
A tante
ombre, tuttavia, l’Enciclica risponde con un esempio luminoso, foriero di
speranza: quello del Buon Samaritano. A questa figura è dedicato il secondo
capitolo, “Un estraneo sulla strada”, in cui il Papa sottolinea che, in
una società malata che volta le spalle al dolore e che è “analfabeta” nella
cura dei deboli e dei fragili (64-65), tutti siamo chiamati – proprio come il
buon samaritano - a farci prossimi all’altro (81), superando pregiudizi,
interessi personali, barriere storiche o culturali. Tutti, infatti, siamo
corresponsabili nella costruzione di una società che sappia includere,
integrare e sollevare chi è caduto o è sofferente (77). L’amore costruisce ponti
e noi “siamo fatti per l’amore” (88), aggiunge il Papa, esortando in
particolare i cristiani a riconoscere Cristo nel volto di ogni escluso (85). Il
principio della capacità di amare secondo “una dimensione universale” (83) è
ripreso anche nel terzo capitolo, “Pensare e generare un mondo aperto”:
in esso, Francesco ci esorta ad “uscire da noi stessi” per trovare negli altri
“un accrescimento di essere” (88), aprendoci al prossimo secondo il dinamismo
della carità che ci fa tendere verso la “comunione universale” (95). In fondo –
ricorda l’Enciclica – la statura spirituale della vita umana è definita
dall’amore che “è sempre al primo posto” e ci porta a cercare il meglio per la
vita dell’altro, lontano da ogni egoismo (92-93).
I diritti
non hanno frontiere, serve etica delle relazioni internazionali
Una società
fraterna, dunque, sarà quella che promuove l’educazione al dialogo per
sconfiggere “il virus dell’individualismo radicale” (105) e per permettere a
tutti di dare il meglio di sé. A partire dalla tutela della famiglia e dal
rispetto per la sua “missione educativa primaria e imprescindibile” (114). Due,
in particolare, gli ‘strumenti’ per realizzare questo tipo di società: la
benevolenza, ossia il volere concretamente il bene dell’altro (112), e la solidarietà
che ha cura delle fragilità e si esprime nel servizio alle persone e non alle
ideologie, lottando contro povertà e disuguaglianze (115). Il diritto a vivere
con dignità non può essere negato a nessuno, afferma ancora il Papa, e poiché i
diritti sono senza frontiere, nessuno può rimanere escluso, a prescindere da
dove sia nato (121). In quest’ottica, il Pontefice richiama anche a pensare ad
“un’etica delle relazioni internazionali” (126), perché ogni Paese è anche
dello straniero ed i beni del territorio non si possono negare a chi ha bisogno
e proviene da un altro luogo. Il diritto naturale alla proprietà privata sarà,
quindi, secondario al principio della destinazione universale dei beni creati
(120). Una sottolineatura specifica l’Enciclica la fa anche per la questione
del debito estero: fermo restando il principio che esso va saldato, si auspica
tuttavia che ciò non comprometta la crescita e la sussistenza dei Paesi più
poveri (126).
Migranti: governance globale
per progetti a lungo termine
Al tema
delle migrazioni è, invece, dedicato in parte il secondo e l’intero quarto
capitolo, “Un cuore aperto al mondo intero”: con le loro “vite
lacerate” (37), in fuga da guerre, persecuzioni, catastrofi naturali,
trafficanti senza scrupoli, strappati alle loro comunità di origine, i migranti
vanno accolti, protetti, promossi ed integrati. Bisogna evitare le migrazioni
non necessarie, afferma il Pontefice, creando nei Paesi di origine possibilità
concrete di vivere con dignità. Ma al tempo stesso, bisogna rispettare il
diritto a cercare altrove una vita migliore. Nei Paesi destinatari, il giusto
equilibrio sarà quello tra la tutela dei diritti dei cittadini e la garanzia di
accoglienza e assistenza per i migranti (38-40). Nello specifico, il Papa
indica alcune “risposte indispensabili” soprattutto per chi fugge da “gravi
crisi umanitarie”: incrementare e semplificare la concessione di visti; aprire
corridoi umanitari; assicurare alloggi, sicurezza e servizi essenziali; offrire
possibilità di lavoro e formazione; favorire i ricongiungimenti familiari;
tutelare i minori; garantire la libertà religiosa e promuovere l’inserimento
sociale. Dal Papa anche l’invito a stabilire, nella società, il concetto di
“piena cittadinanza”, rinunciando all’uso discriminatorio del termine
“minoranze” (129-131). Ciò che occorre soprattutto – si legge nel documento – è
una governance globale, una collaborazione internazionale per
le migrazioni che avvii progetti a lungo termine, andando oltre le singole
emergenze (132), in nome di uno sviluppo solidale di tutti i popoli che sia
basato sul principio della gratuità. In tal modo, i Paesi potranno pensare come
“una famiglia umana” (139-141). L’altro diverso da noi è un dono ed un
arricchimento per tutti, scrive Francesco, perché le differenze rappresentano
una possibilità di crescita (133-135). Una cultura sana è una cultura
accogliente che sa aprirsi all’altro, senza rinunciare a se stessa, offrendogli
qualcosa di autentico. Come in un poliedro – immagine cara al Pontefice – il
tutto è più delle singole parti, ma ognuna di esse è rispettata nel suo valore
(145-146).
La politica,
una delle forme più preziose della carità
Il tema del
quinto capitolo è “La migliore politica”, ossia quella che
rappresenta una delle forme più preziose della carità perché si pone al
servizio del bene comune (180) e conosce l’importanza del popolo, inteso come
categoria aperta, disponibile al confronto e al dialogo (160). Questo è, in un
certo senso, il popolarismo indicato da Francesco, cui si contrappone quel
“populismo” che ignora la legittimità della nozione di ‘popolo’, attraendo
consensi per strumentalizzarlo al proprio servizio e fomentando egoismi per
accrescere la propria popolarità (159). Ma la migliore politica è anche quella
che tutela il lavoro, “dimensione irrinunciabile della vita sociale” e cerca di
assicurare a tutti la possibilità di sviluppare le proprie capacità (162).
L’aiuto migliore per un povero, spiega il Pontefice, non è solo il denaro, che
è un rimedio provvisorio, bensì il consentirgli una vita degna mediante
l’attività lavorativa. La vera strategia anti-povertà non mira semplicemente a
contenere o a rendere inoffensivi gli indigenti, bensì a promuoverli
nell’ottica della solidarietà e della sussidiarietà (187). Compito della
politica, inoltre, è trovare una soluzione a tutto ciò che attenta contro i
diritti umani fondamentali, come l’esclusione sociale; il traffico di organi,
tessuti, armi e droga; lo sfruttamento sessuale; il lavoro schiavo; il
terrorismo ed il crimine organizzato. Forte l’appello del Papa ad eliminare
definitivamente la tratta, “vergogna per l’umanità”, e la fame, in quanto essa
è “criminale” perché l’alimentazione è “un diritto inalienabile” (188-189).
Il mercato
da solo non risolve tutto. Occorre riforma dell’ONU
La politica
di cui c’è bisogno, sottolinea ancora Francesco, è quella che dice no alla
corruzione, all’inefficienza, al cattivo uso del potere, alla mancanza di
rispetto delle leggi (177). È una politica incentrata sulla dignità umana e non
sottomessa alla finanza perché “il mercato da solo non risolve tutto”: le
“stragi” provocate dalle speculazioni finanziarie lo hanno dimostrato (168).
Assumono, quindi, particolare rilevanza i movimenti popolari: veri “poeti
sociali” e “torrenti di energia morale”, essi devono essere coinvolti nella
partecipazione sociale, politica ed economica, previo però un maggior
coordinamento. In tal modo – afferma il Papa – si potrà passare da una politica
“verso” i poveri ad una politica “con” e “dei” poveri (169). Un altro auspicio presente
nell’Enciclica riguarda la riforma dell’Onu: di fronte al predominio della
dimensione economica che annulla il potere del singolo Stato, infatti, il
compito delle Nazioni Unite sarà quello di dare concretezza al concetto di
“famiglia di nazioni” lavorando per il bene comune, lo sradicamento
dell’indigenza e la tutela dei diritti umani. Ricorrendo instancabilmente “al
negoziato, ai buoni uffici e all’arbitrato” – afferma il documento pontificio -
l’Onu deve promuovere la forza del diritto sul diritto della forza, favorendo
accordi multilaterali che tutelino al meglio anche gli Stati più deboli
(173-175).
Il miracolo
della gentilezza
Dal sesto
capitolo, “Dialogo e amicizia sociale”, emerge inoltre il concetto
di vita come “arte dell’incontro” con tutti, anche con le periferie del mondo e
con i popoli originari, perché “da tutti si può imparare qualcosa e nessuno è
inutile” (215). Il vero dialogo, infatti, è quello che permette di rispettare
il punto di vista dell’altro, i suoi interessi legittimi e, soprattutto, la
verità della dignità umana. Il relativismo non è una soluzione– si legge
nell’Enciclica – perché senza principî universali e norme morali che
proibiscono il male intrinseco, le leggi diventano solo imposizioni arbitrarie
(206). In quest’ottica, un ruolo particolare spetta ai media che, senza
sfruttare le debolezze umane o tirare fuori il peggio di noi, devono orientarsi
all’incontro generoso e alla vicinanza agli ultimi, promuovendo la prossimità
ed il senso di famiglia umana (205). Particolare, poi, il richiamo del Papa al
“miracolo della gentilezza”, un’attitudine da recuperare perché è “una stella
nell’oscurità” e una “liberazione dalla crudeltà, dall’ansietà e dall’urgenza
distratta” che prevalgono in epoca contemporanea. Una persona gentile, scrive
Francesco, crea una sana convivenza ed apre le strade là dove l’esasperazione
distrugge i ponti (222-224).
L’artigianato
della pace e l’importanza del perdono
Riflette sul
valore e la promozione della pace, invece, il settimo capitolo, “Percorsi
di un nuovo incontro”, in cui il Papa sottolinea che la pace è legata alla
verità, alla giustizia ed alla misericordia. Lontana dal desiderio di vendetta,
essa è “proattiva” e mira a formare una società basata sul servizio agli altri
e sul perseguimento della riconciliazione e dello sviluppo reciproco (227-229).
In una società, ognuno deve sentirsi “a casa” – scrive il Papa – Per questo, la
pace è un “artigianato” che coinvolge e riguarda tutti e in cui ciascuno deve
fare la sua parte. Il compito della pace non dà tregua e non ha mai fine,
continua il Pontefice, ed occorre quindi porre al centro di ogni azione la
persona umana, la sua dignità ed il bene comune (230-232). Legato alla pace c’è
il perdono: bisogna amare tutti, senza eccezioni – si legge nell’Enciclica – ma
amare un oppressore significa aiutarlo a cambiare e non permettergli di
continuare ad opprimere il prossimo. Anzi: chi patisce un’ingiustizia deve
difendere con forza i propri diritti per custodire la propria dignità, dono di
Dio (241-242). Perdono non vuol dire impunità, bensì giustizia e memoria,
perché perdonare non significa dimenticare, ma rinunciare alla forza
distruttiva del male ed al desiderio di vendetta. Mai dimenticare “orrori” come
la Shoah, i bombardamenti atomici a Hiroshima e Nagasaki, le persecuzioni ed i
massacri etnici – esorta il Papa – Essi vanno ricordati sempre, nuovamente, per
non anestetizzarci e mantenere viva la fiamma della coscienza collettiva.
Altrettanto importante è fare memoria del bene, di chi ha scelto il perdono e
la fraternità (246-252).
Mai più la
guerra, fallimento dell’umanità!
Una parte
del settimo capitolo si sofferma, poi, sulla guerra: essa non è “un fantasma
del passato” – sottolinea Francesco – bensì “una minaccia costante” e
rappresenta la “negazione di tutti i diritti”, “il fallimento della politica e
dell’umanità”, “la resa vergognosa alle forze del male” ed al loro “abisso”.
Inoltre, a causa delle armi nucleari, chimiche e biologiche che colpiscono
molti civili innocenti, oggi non si può più pensare, come in passato, ad una
possibile “guerra giusta”, ma bisogna riaffermare con forza “Mai più la
guerra!” E considerando che viviamo “una terza guerra mondiale a pezzi”, perché
tutti i conflitti sono connessi tra loro, l’eliminazione totale delle armi nucleari
è “un imperativo morale ed umanitario”. Piuttosto – suggerisce il Papa – con il
denaro che si investe negli armamenti, si costituisca un Fondo mondiale per
eliminare la fame (255-262).
Pena di
morte è inammissibile, abolirla in tutto il mondo
Una posizione
altrettanto netta Francesco la esprime a proposito della pena di morte: è
inammissibile e deve essere abolita in tutto il mondo. “L’omicida non perde la
sua dignità personale – scrive il Papa – Dio ne è garante”. Di qui, due
esortazioni: non vedere la pena come una vendetta, bensì come parte di un
processo di guarigione e di reinserimento sociale, e migliorare le condizioni
delle carceri, nel rispetto della dignità umana dei detenuti, pensando anche
che l’ergastolo “è una pena di morte nascosta” (263-269). Viene ribadita la
necessità di rispettare “la sacralità della vita” (283) laddove oggi “certe
parti dell’umanità sembrano sacrificabili”, come i nascituri, i poveri, i
disabili, gli anziani (18).
Garantire
libertà religiosa, diritto umano fondamentale
Nell’ottavo
e ultimo capitolo, il Pontefice si sofferma su “Le religioni al
servizio della fraternità nel mondo” e ribadisce che la violenza non
trova base alcuna nelle convinzioni religiose, bensì nelle loro deformazioni.
Atti “esecrabili” come quelli terroristici, dunque, non sono dovuti alla
religione, ma ad interpretazioni errate dei testi religiosi, nonché a politiche
di fame, povertà, ingiustizia, oppressione. Il terrorismo non va sostenuto né
con il denaro, né con le armi, né tantomeno con la copertura mediatica perché è
un crimine internazionale contro la sicurezza e la pace mondiale e come tale va
condannato (282-283). Al contempo, il Papa sottolinea che un cammino di pace
tra le religioni è possibile e che è, dunque, necessario garantire la libertà
religiosa, diritto umano fondamentale per tutti i credenti (279). Una
riflessione, in particolare, l’Enciclica la fa sul ruolo della Chiesa: essa non
relega la propria missione nel privato – afferma – non sta ai margini della
società e, pur non facendo politica, tuttavia non rinuncia alla dimensione
politica dell’esistenza. L’attenzione al bene comune e la preoccupazione allo
sviluppo umano integrale, infatti, riguardano l’umanità e tutto ciò che è umano
riguarda la Chiesa, secondo i principî evangelici (276-278). Infine,
richiamando i leader religiosi al loro ruolo di “mediatori autentici” che si
spendono per costruire la pace, Francesco cita il “Documento sulla fratellanza umana per la pace
mondiale e la convivenza”, da lui stesso firmato il 4 febbraio 2019
ad Abu Dhabi, insieme al Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyib: da tale
pietra miliare del dialogo interreligioso, il Pontefice riprende l’appello
affinché, in nome della fratellanza umana, si adotti il dialogo come via, la
collaborazione comune come condotta e la conoscenza reciproca come metodo e
criterio (285).
Il Beato
Charles de Foucauld, “il fratello universale”
L’Enciclica si conclude con il ricordo di Martin
Luther King, Desmond Tutu, il Mahatma Gandhi e soprattutto il Beato Charles de
Foucauld, un modello per tutti di cosa significhi identificarsi con gli ultimi
per divenire “il fratello universale” (286-287). Le ultime righe del documento
sono affidate a due preghiere: una “al Creatore” e l’altra “cristiana
ecumenica”, affinché nel cuore degli uomini alberghi “uno spirito di
fratelli”.
https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2020-10/enciclica-fratelli-tutti-papa-francesco-sintesi-fraternita.html
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