di UMBERTO GENTILONI
Scomparsa a 77 anni la presidente dell’Anpi. In prima linea contro intolleranza e razzismo, si è battuta affinché l’antifascismo diventasse valore condiviso. Senza chiusure ideologiche
Eletta a inizio novembre 2017 sulla spinta di una discontinuità possibile, Carla Nespolo era alla guida dell’Associazione nazionale partigiani da meno di tre anni. Sullo sfondo l’orizzonte di un tempo nuovo e di una sfida collettiva: ragionare sulla cornice dell’antifascismo quando la generazione dei protagonisti comincia ad assottigliarsi. Un dato profondo, una convinzione che percorre i tornanti di una vita. Le radici più vitali e profonde della lotta di liberazione hanno il pregio di continuare a trasmettere messaggi e speranze, di porsi il problema di arrivare a chi non c’era, a chi è venuto dopo o a chi ha scelto per le ragioni più diverse di voltarsi dall’altra parte.
Nata nel 1943 prima dello sbarco anglo americano in Sicilia, del
bombardamento sulla città di Roma, della caduta di Mussolini e dell’armistizio
dell’8 settembre, Carla Nespolo è scomparsa ieri all’età di 77 anni. Tra i
tanti messaggi di cordoglio quello del presidente della Repubblica Sergio
Mattarella: «Ha dedicato il proprio impegno a contrastare, anzitutto sul piano
culturale, educativo e civile, tutte le forme di violenza, di xenofobia, di
razzismo che possono attecchire nelle pieghe della società».
Il suo rapporto con l’antifascismo si costruisce, come per tanti, a partire
dall’ambiente familiare in un tempo successivo agli eventi del conflitto
mondiale: uno zio partigiano, la stella polare della Carta costituzionale, la
sinistra come quadro di riferimento. Insegnante, pedagogista, militante
comunista, per decenni impegnata in Piemonte a fianco delle donne lavoratrici,
eletta alla camera dei deputati nel 1976 e al Senato della Repubblica nel 1983,
passa dal gruppo comunista al Partito democratico della sinistra dopo la svolta
del 1989. La cifra del suo impegno negli ultimi anni si rinnova
attraverso la serietà di una scelta che punta a tenere insieme pagine del
passato con prospettive inedite, l’eredità del lungo dopoguerra della
Repubblica con i problemi complessi delle società contemporanee. Lo ha
affermato a chiare lettere in diverse occasioni: il rischio che la storia venga
dimenticata o piegata a letture strumentali rappresenta una condizione
insopprimibile, un dato di partenza che riguarda diverse generazioni
d’italiani. Se la risposta prevalente diventa quella della chiusura
identitaria, della proposizione rigida di appartenenze ideologiche, allora
l’antifascismo è destinato a una marginalità senza appelli. Si disperde un
patrimonio prezioso pensando di affermare una presunta superiorità
inattaccabile in nome di recinti e certezze invalicabili.
Carla Nespolo declina il pensiero delle donne nel cuore della contesa sul
passato cercando tracce che possano aiutare a comprendere segmenti o dinamiche
di un presente inquieto. Non nasconde lati oscuri e controversi delle
istituzioni quando prende la parola in piazza Duomo a Milano in occasione
del cinquantesimo di Piazza Fontana cercando di mostrare l’itinerario possibile
di un antifascismo aperto alla società, ai nuovi conflitti, ai linguaggi di
ragazze e ragazzi di oggi. La prima donna alla guida dell’Anpi qualifica il
ruolo delle donne nella Resistenza lo ribadisce con richiami, esempi, biografie
e storie trasmesse con passione. Non parla di sé e del suo vissuto, è cresciuta
dopo quella grande cesura, si muove tra le conoscenze storiche da consolidare e
le memorie di tanti da trasmettere senza filtri o falsi unanimismi condivisi.
Negli ultimi anniversari, quelli segnati dal lockdown del paese, propone
gesti e simboli per riconoscersi: un fiore per le ventidue donne costituenti,
un’attenzione rinnovata verso i temi della lotta al razzismo e alle
intolleranze diffuse. «Una cosa deve essere chiara: il fascismo trova il suo
humus culturale nel razzismo. Le due cose vanno combattute insieme: dire ai
poveri che i loro nemici sono i più poveri è la cosa più antidemocratica e
ingiusta che si possa fare ». Un’argomentazione semplice e immediata
capace di tenere insieme gli interrogativi sulla lunga durata del fascismo,
sulle sue tante strade e i problemi stringenti dell’integrazione difficile
nell’era della grandi migrazioni e della crisi economica dilagante. Le riserve
indebolite delle democrazie dell’occidente mostrano derive preoccupanti:
intolleranze, discriminazioni, forme di prevaricazione.
Si era battuta nelle scelte sulle celebrazioni del 25 aprile per aprire il
confronto sulla declinazione delle diverse resistenze colorate che animano la
società italiana tra il 1943 e il 1945, fino a riconoscere il protagonismo
significativo di tanti: dai militari ai renitenti alla leva, dall’impegno della
Brigata Ebraica alle forme diffuse di solidarietà popolare. La Costituzione
raccoglie le diversità, le fa vivere in un contesto più ampio spingendo verso
un continuo rinnovamento che non prevede approdi sicuri. Il contrario delle
impostazioni stratificate, dei monumenti senza storia, delle narrazioni senza
contraddizioni che pure hanno animato vasti strati della cultura di sinistra.
Un pragmatismo curioso e partecipe capace di offrire sintesi e parole chiave.
Lo sguardo vigile di una donna impegnata in politica.
Intervenendo al Senato il 5 marzo 1985 sulla Ratifica della Convenzione per
l’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna,
adottata a New York il 18 dicembre 1979 afferma: «Il Parlamento italiano giunge
con un grandissimo ritardo, oltre cinque anni, dopo che ben 50 paesi nel mondo
l’hanno ratificato». Una critica ai tempi di attuazione, una grave
responsabilità e un problema di prospettiva frettolosamente cancellato che
continua a interrogarci: «Le leggi che hanno segnato la storia di milioni di
donne nel nostro paese hanno contemporaneamente segnato il cammino e lo
sviluppo della democrazia italiana, per tutti, uomini e donne».
La Repubblica, 6 ottobre 2020
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