di Carmelo Lopapa
Giovanna Vitale
ROMA — Altro che Morte Nera, «questo è il ritorno dello Jedi» si congratula per primo Enzo Amendola. Segno che dalle parti del Nazareno la saga di Star Wars ha fatto breccia e Nicola Zingaretti nei panni di Luke Skywalker ci si trova benissimo.
Le forze dell’Alleanza ribelle, giusto per restare in tema, hanno trionfato ai ballottaggi, espugnando persino alcune roccaforti dell’Impero, e oggi il suo promotore, quello che per mesi ha spinto in solitaria per l’unione anti-sovranista, si prende la rivincita. «Chiamatemi il sindaco di Legnano», chiede il segretario: vuol complimentarsi di persona con chi ha strappato alla Lega uno dei suoi simboli — il paese della leggendaria battaglia condotta da Alberto da Giussano contro il Barbarossa — rompendo il fronte del Nord che sembrava aver voltato le spalle al Pd. E invece ecco: Bolzano, Lecco, Aosta, dopo la conferma di Mantova, dimostrano che insieme «si vince dove si perdeva da anni», esulta il leader dem. La prova di «un dato politico inoppugnabile: gli elettorati delle forze che governano si uniscono», senza ascoltare le sirene di questo o quel capopopolo, né «il chiacchiericcio sulle alleanze strategiche», punzecchia Zingaretti all’indirizzo di chi, dentro e fuori il partito, lo accusava di voler andare a nozze coi Cinquestelle perché subalterno, incapace di fare il risultato da solo.
E guardate adesso: Di Maio è costretto ad ammettere che «le coalizioni ci
premiano ovunque, gli iscritti avevano ragione». E lui gongola: «Dopo la
sconfitta del 2018 il Pd ha riconquistato la sua centralità», rivendica. «Mi
ero candidato segretario quasi solo per questo: ridare agli italiani una forza
alternativa al blocco delle destre. Una parte di quella missione è raggiunta».
Il resto verrà da sé. Iniziando dal «cantiere per le amministrative 2021», che
«ora è tempo di aprire», ma senza imposizioni dall’alto, innanzitutto a Roma.
Dove, se Raggi non si farà da parte e non emergerà un big all’altezza della
sfida — Massimo Bray e Andrea Riccardi gli ultimi nomi della rosa — si andrà a
primarie coi nove che si son già fatti avanti: probabilmente il 6 dicembre, San
Nicola. Se così sarà, però, bisognerà mettere in conto il contropiede di
Calenda, che potrebbe decidere di candidarsi lui a sindaco per sbaragliare la
concorrenza.
Sul fronte opposto, intanto, fallisce lo sbarco di Salvini al Sud. La
vittoria nella sola piccola Taurianova non copre la disfatta a Reggio
Calabria. E i risultati modesti raccolti da tutto il centrodestra archiviano
definitivamente il sogno della spallata al governo coltivato alla vigilia delle
regionali.
La débâcle della coalizione sta tutta in una cifra: un solo capoluogo di
provincia conquistato su 18 (Arezzo). Ed è una sconfitta targata soprattutto
Lega. Non solo per il ko reggino, ma anche per l’inaspettata batosta subita
nella pur minuscola ma simbolica Cascina, il paese in provincia di Pisa
conquistato nel 2016 da Susanna Ceccardi, candidata leghista (sconfitta anche
lei) alle regionali. E che dire di Legnano, più e più volte battute da Salvini
in campagna elettorale? E poi giù anche Saronno. E ancora, centrodestra piegato
pure a Chieti, dopo tanti anni. Il leader leghista, per coprire il risultato,
corre a Voghera dalla neo sindaca Paola Garlaschelli. «Felici per le
riconferme, dispiaciuti per le sconfitte (brucia Lecco per soli 31 voti)»
commenta Salvini. Che poi rilancia: «Già al lavoro per creare le nuove squadre
di governo in città e regioni la prossima primavera». Mentre Fdi esulta per
Terracina e Forza Italia per Senigallia e Anguillara. Ma sono le vittorie
di Pirro.
La Repubblica, 6 ottobre 2020
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