Il procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato |
Dall’intervento del procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato alla "Festa del Fatto Quotidiano” alla Versiliana del 5 settembre 2020.
«Giovanni Falcone utilizzava l’espressione “Gioco Grande” per definire il gioco del potere. Un gioco che in Italia è stato condotto con stragi, con omicidi ininterrottamente. Perché si depista? Per celare la causale politica. Tutte le stragi italiane, comprese quelle del ’92-’93, hanno un unico comun denominatore: i depistaggi.
Le indagini della magistratura vengono depistate da apparati deviati dello Stato con varie tecniche: soppressione di documenti essenziali, costruzione di false piste investigative, eliminazione di testi importanti. Non si tratta di dietrologia: si tratta di sentenze definitive passate in giudicato. […]Tutto il repertorio dei depistaggi è stato replicato puntualmente nelle stragi del 1992 e del 1993. Perché si depistano le indagini sulle stragi di mafia? Perché non sono soltanto stragi di mafia. Perché, oltre i mafiosi, ci sono altri, ci sono altri mandanti che devono restare coperti. Perché altrimenti non c’è motivo perché apparati dello Stato entrino sistematicamente in campo dall’inizio e per tutto il corso delle indagini per impedire di andare oltre il livello. E quindi abbiamo una storia che continua. Ma che cosa c’è dietro queste stragi del ’92 e del ‘93? C’è il braccio armato di Cosa Nostra ma ci sono altri soggetti, che sono la mente politica dello stragismo del ’92 e del ’93, che finalizzano le stragi di mafia a un progetto più ampio, politico, di destabilizzazione del paese per impedire un evento che si riteneva esiziale. Il sistema di potere italiano, che aveva garantito per tutta la prima repubblica, all’interno dell’anticomunismo e del bipolarismo internazionale, protezione ed impunità non soltanto alla mafia ma a entità criminali come la P2, a lobby affaristiche, a soggetti degli apparati dello Stato che avevano coperto le stragi degli anni ’70 e ’80 per ragioni di carattere internazionale. Improvvisamente tutti questi soggetti si trovano ad avere un destino comune: quel sistema di potere sta crollando, si annuncia come ineluttabile in quella fase storica l’avvento delle sinistre al potere, si parla della “gioiosa macchina da guerra” - la coalizione tra la sinistra Dc e l’ex Pci - si immagina che se la gioiosa macchina da guerra arriva al governo ci sarà il regolamento di conti col passato, e quindi sarà la fine non soltanto per Riina, ma anche per gli esponenti della P2, per gli uomini della Gladio, che hanno fatto le stragi, che hanno fatto gli affari. E quindi si viene a creare una convergenza di interessi, e un hardware mafioso e un software da parte di specialisti della destabilizzazione e della comunicazione di massa, che indicano la tempistica degli attentati e delle stragi e gli obiettivi da colpire. Questa causale politica viene celata ai capi di Cosa Nostra e agli esecutori ed è conosciuta soltanto da un ristretto nucleo di capi: Riina, Graviano, Matteo Messina Denaro, Bagarella e altri capi che nel secondo semestre del 1991 si riuniscono ad Enna, dove in vari mesi decidono, appunto, di accettare di porre in essere questa strategia di destabilizzazione che doveva realizzarsi in due tempi: fare delle stragi che dovevano essere rivendicate tutte con la sigla “Falange Armata”, destabilizzare il paese, creare una sfiducia collettiva, delegittimare le istituzioni e aprire uno spazio per l’entrata in campo di un nuovo soggetto politico che era in corso di formazione, che avrebbe raccolto un paese in ginocchio e sarebbe andato al potere.
E dopo di che quello che succede è che ci sono tanti processi e c’è un’opinione pubblica nazionale che è convinta che le stragi del ’92-’93 siano opera dei soliti brutti, sporchi e cattivi, che si chiamano Riina, che si chiamano Provenzano, persone che hanno difficoltà ad esprimersi in un corretto Italiano. […]
In questi casi mi ritorna in mente quella frase di uno dei più grandi romanzieri dell’occidente, Honoré de Balzac, il quale diceva che esistono due storie, la storia che leggiamo nei libri di scuola, che è menzognera, e la storia reale, che non si può raccontare, perché chiama in causa il potere e la criminalità del potere. E l’Italia è un paese da questo punto di vista, unico, che forse può essere paragonato a certi paesi dell’america latina, perché è il paese che ha avuto la classe dirigente credo più violenta d’Europa. In nessun paese europeo si è verificata una sequenza di stragi come quella che ho detto, a cui vanno aggiunti l’enorme sequenza di omicidi eccellenti e di suicidi misteriosi.
È stato un genocidio, compiuto da pezzi di classe dirigente che hanno sistematicamente usato l’omicidio, la strage, come strumenti per falsare il gioco politico e credo che questo “Gioco Grande”, purtroppo, resterà ignoto alla maggior parte dei cittadini, perché il sapere non è innocente. La costruzione del sapere è uno dei terreni su cui si combatte da sempre la lotta per il potere. Uno dei più grandi intellettuali della storia dell’Occidente, il cardinale Mazzarino, soleva ripetere al re di Francia: "Maestà, il potere si conquista con le spade e con i cannoni ma si conserva con i dogmi e le superstizioni".
La falsificazione del potere nel settore della mafia e del grande crimine del potere è un terreno su cui, purtroppo, noi siamo ancora oggi perdenti».
Dalla pagina Facebook “Noi sosteniamo i testimoni di giustizia”
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