ALESSANDRO DE ANGELIS
Il ministro del Sud chiede una sterzata al suo governo a partire dal Mes. Sui DL Sicurezza "non ci sono più alibi, modifica in Cdm al più presto". Reddito cittadinanza? "Va migliorato l'impianto". E al Sud "un Pd all’altezza, con una nuova classe dirigente"
Ministro Provenzano, mi pare che le vostre richieste di svolta, dai decreti sicurezza al Mes, non abbiano sortito effetto sul Presidente del Consiglio, o sbaglio? “Sul Mes vedremo”, “sui decreti sicurezza approfondiremo”: nella sua intervista alla Stampa, Conte ha riproposto la filosofia del rinvio.
De Angelis, vedo che già vuole litigare. Un conto sono le interviste, un
altro i processi politici. E a noi interessano questi. Le nostre battaglie,
anche nel Governo, hanno sortito effetti in Europa, proprio sulle questioni che
lei solleva. Non un fatto trascurabile, direi. Il Mes da braccio della troika
diventa strumento di una politica keynesiana per il bene comune della salute.
La revisione di Dublino rende non solo sbagliata, ma del tutto anacronistica la
legislazione italiana sull’immigrazione. L’Italia ora è lì, sulla frontiera più
avanzata dell’Europa, e non può restare indietro.
Mi
limito a constatare che questa svolta si ferma ai confini nazionali. La domanda
è questa: voi avete chiesto, anche sulla scia della spinta elettorale, in modo
sacrosanto, una nuova agenda. Che farete se nulla cambia? Ponete scadenze o
condizioni a questa interminabile discussione?
Ma è già cambiato. Sulla modifica ai decreti Salvini c’è un accordo, e va
portato in Cdm al più presto. Lo chiedevamo prima del voto, ora non ci sono più
alibi. Aggiungo, sul punto, che dopo quello che sembra configurarsi come lo
scandalo del caso Suarez, sarebbe il caso di accompagnarli con lo Ius culturae.
Penso ai compagni dei nostri figli a scuola, e mi indigno anch’io. Gli
italiani, peraltro, sul punto sono più avanti della politica. Abbiamo
temporeggiato troppo, ora è tempo del coraggio.
“Tempi
brevi” e “basta alibi”, dice lei. Vale lo stesso sul Mes?
Certo, però non è il gioco delle bandierine. Sono anche i tempi non proprio
brevi del Recovery che ci portano a guardare a quella linea di credito
sanitario del Mes senza ideologie, anche perché è immediatamente disponibile.
Non serviva il voto, bastava il buon senso. Ma le do una notizia, che vedo ogni
tanto vi sfugge: servono anche i voti in Parlamento.
Ecco,
la crisi del M5S. Teme dunque che possa diventare l’alibi per un nuovo
immobilismo?
C’è una discussione al loro interno, che noi rispettiamo. Quel movimento
era espressione dell’antipolitica. Ma l’antipolitica, a mio avviso, è arrivata
al capolinea. Stanno finalmente emergendo posizioni coraggiose, come quella del
Ministro Patuanelli che chiede al movimento “una scelta di campo”. C’era quella
frase di Bobbio: “Si interrogano sul loro destino e non hanno capito la loro
natura. Capiscano la loro natura e risolveranno il problema del loro destino”.
Ecco, il M5S deve sciogliere il nodo della sua natura, da questo dipende anche
il destino dell’alleanza.
C’è
anche la frase di Grillo sull’inutilità del Parlamento e i parlamentari eletti
a sorte, piuttosto rivelatrice di una certa cultura politica.
Ognuno fa le citazioni che preferisce. In ogni caso, se era un contributo
alla discussione nel Movimento, non mi è sembrata un’uscita proprio tempestiva.
Se era una battuta, non faceva ridere.
Prima
della fine dell’antipolitica, tutta da vedere, un’ultima domanda sul governo.
Se come dice lei difficoltà oggettive come i numeri in Parlamento dovessero
impedire la nuova direzione di marcia che lei indica, la parola voto è un tabù?
La parola voto non può essere mai un tabù in democrazia. Ma nella nostra
democrazia la pronuncia il Presidente della Repubblica. Il Governo ha gestito
la crisi più difficile dal dopoguerra, guadagnando prestigio e considerazione
internazionale e anche tra gli italiani. Ora ha una grande opportunità, grazie
alla svolta europea, uscire da questa crisi con più equità e sviluppo. La vita
del Governo è legata a mio avviso solo a questo: essere all’altezza di questa
sfida, che l’Italia non può sprecare.
Dicevamo,
la fine dell’antipolitica. Mi sembra un po’ ottimistico, anche dopo che avete
appoggiato il referendum, che rappresenta il simbolo e il frutto maturo.
Quel referendum non era il trionfo, ma il canto del cigno
dell’antipolitica. Ecco perché abbiamo fatto bene a non regalare e relegare a
quel campo il 70 per cento degli italiani che ha votato Sì. Ho sempre detto che
nel No c’era una domanda di buona politica che è nel nostro Dna. Ora dobbiamo
raccoglierla nel processo riformatore che, grazie al Pd, mettiamo in campo. Ma
sull’antipolitica servirebbe un ragionamento più di fondo, non so se lei è
interessato.
Poi
sono io che voglio litigare… Prego, prosegua.
L’antipolitica è una malattia cronica dell’Italia, che si riacutizza quando
la politica diventa impotente. Ma facciamoci una domanda: quale è la sua
radice? La Casta è stata solo un formidabile innesco, ma la polvere era il
senso di frustrazione delle persone. Con l’austerità, con il neoliberismo, la
politica si era legata le mani. “Non c’è alternativa” è stato il motto con cui
si portavano avanti politiche antisociali. Ma se non c’è alternativa, la
politica a che serve? Allora è solo un costo. Ora siamo in una fase del tutto
nuova. C’è stata una svolta sul terreno economico-sociale, non solo rispetto al
governo precedente, ma rispetto a una stagione lunga. Dopo la pandemia, la
politica torna a incidere e si è dotata degli strumenti per migliorare la vita
delle persone.
Svolta.
Io la vedo sul terreno della collocazione internazionale, e non è poco, perché
avete collocato il paese in Europa. Ma sul terreno economico sociale non la
vedo. Vedo misure tampone necessarie, come i bonus, quando è scoppiata
l’epidemia, che ora rischiano di diventare cattiva spesa pubblica.
La verità è che non ve ne siete accorti, perché nemmeno vi interessa.
L’idea che se fai politiche per redistribuire, se provi a includere e allargare
le basi sociali della democrazia non sei riformista, o addirittura sei
populista, è degna dell’universo capovolto degli anni in cui andava di moda il
liberismo di sinistra. Quello che si è staccato dal popolo, che resiste quasi
solo in Italia, tra gli editorialisti economici anche dei quotidiani che si
ritengono progressisti. Stanno su twitter a parlare di Stato e mercato,
potrebbero almeno leggere il Financial Times, che su questi temi è assai più
avanti.
È la
critica che fanno mondi produttivi, settori importanti del suo partito hanno
posto anche la questione del reddito di cittadinanza. Il tema del debito buono
e cattivo lo ha sollevato anche Mario Draghi, che il Financial Times lo
legge. O pensate di prolungare in eterno la cassa integrazione?
Già nella Nadef avvieremo un percorso di uscita dall’emergenza. Ma difendo
il blocco dei licenziamenti per quest’anno, tanto criticato. Nessun rilancio
può fondarsi sull’angoscia delle persone. Poi, Draghi sul debito ha ragione.
Infatti noi ci indebitiamo per fare investimenti. Segnalo che anche la
solidarietà, l’inclusione sociale, è un investimento, su una società capace di
liberare il potenziale di tutti. Ora che nessuno sano di mente può mettere in
discussione Zingaretti, si apre lo spazio per una vera discussione politica,
anche nel Pd.
Discussione
significa congresso?
Le modalità le deciderà la segreteria. Ma dobbiamo sciogliere alcune
ambiguità che ci hanno impedito, ad esempio, di rivendicare a pieno quella
svolta economica e sociale. Nella crisi precedente avevamo dato austerità, ora
una prospettiva anche a chi soffre di più. Da chi dovrebbe rappresentare gli
imprenditori arrivano critiche qualunquiste. Dov’è il pregiudizio anti imprese?
Siamo il Governo che con la Germania ha aiutato di più le imprese. C’è troppo
Stato nell’economica? Ma meno male che esistono le nostre grandi imprese
pubbliche. Sono un patrimonio del Paese, oltre che del bilancio di
Confindustria.
Avete
abbandonato il riformismo, è l’accusa. Inteso come visione generale.
E che cos’è il riformismo, oggi? Su questo dobbiamo chiarirci.
Non è
liberismo, ma è anche l’opposto dell’assistenzialismo. O no?
Per me è coniugare sviluppo ed equità. Le pare che io mi debba difendere
nel mio partito se voglio investire al Sud, riequilibrando lo sviluppo? Il
meridionalismo è nel dna della sinistra. E a proposito, il Reddito di
cittadinanza non è e non poteva essere una politica per creare lavoro. Anzi, va
modificato l’impianto proprio su questo aspetto. Ma quando sento parlare,
anche sinistra, “gente pagata per stare sul divano” lo trovo rivelatore di un
atteggiamento inaccettabile. A meno che non vuoi fare la “sinistra da salotto”.
Parliamo
di popolo, allora. Avete pareggiato alle elezioni e sembra che avete preso la
Bastiglia…
Le racconto una cosa. Mi ha sempre colpito, da siciliano, che nel giorno
della presa della Bastiglia a Palermo si festeggia Santa Rosalia. Parlerei più
di un miracolo, se penso a quello che ha fatto il Pd di Zingaretti. E sono
veramente tristi le persone incapaci di riconoscere i miracoli. Mi dispiace che
lei non li riconosca.
Sarò
triste, ma io più che un miracolo vedo una tenuta, dovuta al consenso verso gli
uscenti in epoca di Covid, ma non uno “spostamento a sinistra” come si sarebbe
detto una volta.
Ma quale tenuta, De Angelis? Avevamo un Pd nelle macerie. Nel 2018
scrivevate che c’era il bipolarismo tra due populismi e noi marginali. Ora
siamo al centro dello scenario politico, dalle regionali veniamo fuori come il
primo partito. Ovunque abbiamo combattuto la destra peggiore della nostra
storia, spesso da soli, e di certo non con la simpatia dei grandi gruppi
economici ed editoriali. Non vorrei tirarla in causa anche personalmente…
Mi ci
tiro da solo. Qui non è questione di gruppi editoriali, salotti, o compagni che
sbagliano. Qui c’è un tema che ha che fare con la moralità. Brutalmente: se
come De Luca ed Emiliano vinci imbarcando riciclati di destra e clientele con
un uso disinvolto della spesa pubblica. Hai vinto, ma non cambia niente.
Brutalmente: anche qui le sfugge il punto politico di fondo. Consegnare
alla destra di Salvini e Meloni due regioni del Sud, che negli ultimi anni
avevano conosciuto processi importanti di crescita e modernizzazione, sarebbe
stato imperdonabile. Come diceva Talleyrand: peggio di un crimine, un errore
politico. Con conseguenze per l’Italia tutta.
Non mi
ha risposto. Cosa ci trova di rottura nel Sud rispetto al sistema
clientelare che avete combattuto? È questa la sua idea di Sud e addio a
Enrico Berlinguer che denunciava i “partiti come macchine di potere e
clientele”?
Le dico, nel giorno in cui è uscito il secondo libro di Scurati, che non
amo gli uomini della provvidenza. Penso che il trasformismo sia il male antico
dell’Italia e soprattutto del Sud. Che si può nascondere dietro il proliferare
di liste civiche e personali. Ma il punto politico è che il Sud ha detto No a
Salvini. E infatti la destra si sta interrogando. Io mi batto per un Sud
libero, anche dal ricatto del bisogno. Le clientele non le batti con il
moralismo, ma con lo sviluppo e il lavoro buono. Per questo ora dobbiamo avere
al Sud un Pd all’altezza.
Cioè
che combatta questi metodi dei governatori?
Con una nuova classe dirigente, in grado di parlare con la parte migliore
della società meridionale. A Napoli, ad esempio, con un segretario di
trent’anni, che sta facendo un ottimo lavoro, abbiamo iniziato e siamo il primo
partito.
Ho
capito, è un auspicio. Di più “coraggio” su tutto.
Non è un auspicio, è una battaglia politica.
FOTO ANSA Il ministro per il Sud e Coesione
territoriale, Giuseppe Provenzano, nella sede del Pd al termine del voto sul il
referendum costituzionale per il taglio dei parlamentari, Roma, 21 settembre
2020. ANSA/ANGELO CARCONI
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