Don Cosimo Scordato |
Prima di celebrare stasera alle 19 la sua ultima messa come rettore di San Francesco Saverio, la chiesa che ha “fondato” 35 anni fa nel cuore dell’Albergheria, inaugurerà la “casa della salute”, un progetto finanziato in gran parte dal Rotary e messo su con le maestranze del quartiere, che garantirà visite specialistiche gratuite. Un ambulatorio dopo la trattoria, la gelateria, la pizzeria e l’impresa di pulizia nate dalla consapevolezza che se la Chiesa non promuove il riscatto sociale rischia di fallire. Se lo chiami prete di frontiera, padre Cosimo Scordato, 71 anni, dice che preferisce «prete local»: «Le parrocchie devono riscoprire la loro vocazione territoriale, andare lì dove è la gente». Stasera per la messa sarà montato un maxi schermo in piazza e la sua immensa comunità ha già preparato i fazzoletti. Scordato se ne va senza cedere il testimone. L’arcivescovo Corrado Lorefice, che stasera non sarà in piazza San Saverio, non ha ancora scelto il successore e nell’attesa manderà «a turno alcuni sacerdoti» fanno sapere. Il primo pare sarà Carlo Cianciabella, un prete quarantenne che è parroco a Villagrazia di Palermo, e al quale Scordato sarebbe felice di lasciare il timone.
Padre Cosimo, perché lascia l’Albergheria?
«Perché il quartiere ha bisogno di un cambiamento. Quando un progetto
cammina sulle proprie gambe bisogna avere il coraggio di lasciarlo andare. E
San Saverio è un grande progetto collettivo — penso a Nino Rocca, Maria Di
Carlo, Augusto Cavadi, Maria Pia Giordano, don Francesco Stabile, Michela
Alamia, Massimo Messina e tanti altri — che oggi conta su una comunità matura».
Scordato che il 30 settembre compirà 72 anni — alla festa dei 70 anni in chiesa
c’era pure l’amico Francesco De Gregori — ha svuotato la sua casa nel quartiere
e donato alle biblioteche dei seminari e a quella dell’Abatellis migliaia di
volumi.
Mentre passeggia tra l’Albergheria e Ballarò è un continuo fermarsi per un
saluto e una domanda: «Non sparisci vero?».
Cosa farà?
«Continuerò a insegnare alla facoltà teologica. Mi prenderò un periodo
sabbatico e poi cercherò una chiesa tra Palermo e Bagheria, la mia città, per
dare una mano e celebrare. All’Albergheria verrò, da amico».
Che quartiere era l’Albergheria 35 anni fa?
«Quando misi gli occhi su questa chiesa era quasi chiusa. Il quartiere era
difficile, come del resto lo è oggi, ma allora metteva paura: non c’era niente.
Ci veniva padre Pino Puglisi a fare formazione con i ragazzi della federazione
universitari cattolici: e lui ci spinse a insediarci. Nel 1986 la inaugurammo
con il cardinale Pappalardo che ci diede la missione di trasformarla in un
posto dove si coltivasse la preghiera, la cultura e la promozione sociale. Noi
ci muovemmo come esploratori».
Cosa faceste?
«Volevamo conoscere il quartiere. E quando Donatella Natoli aprì il
distretto socio sanitario ci aiutò a individuare le emergenze: dall’infanzia
alla salute, dalla casa al lavoro. Così partirono i progetti che poi sono
diventati impresa sociale, come la trattoria».
Per aprire il ristorante “Il vicolo” mise soldi di tasca sua?
«Mettemmo in cinque una quota per la ristrutturazione, poi il progetto andò
avanti con le forze del quartiere. E oggi va bene, anche se è disturbato
dall’abusivismo che regna intorno. Dal 14 settembre il mercato dell’Albergheria
dovrebbe essere finalmente regolamentato dopo un lavoro di mediazione durato
anni».
Se dovesse scegliere tre momenti che raccontino questi 35 anni?
«Quando nel 1988-1989 c’erano 120 bambini al centro sociale e nessuno in
strada. Quando negli anni Novanta, dopo l’ennesimo crollo, facemmo diversi
giorni di sciopero della fame per l’emergenza casa qui in piazza. Quando nel
2014 si laureò Mario in Ingegneria, il primo laureato tra i nostri ragazzi.
L’ultimo, il settimo, Giovann Battista, si è laureato a luglio in Scienze della
formazione. Ad ogni laurea le campane della chiesa suonano a festa».
Che ricordi ha dello scandalo pedofilia che negli anni Novanta sconvolse il quartiere?
«Un giorno, dopo la messa, facemmo una marcia spontanea fino a Santa Chiara
per dire a padre Meli e agli altri che c’eravamo. Ci trovammo impreparati a
gestire una cosa così grande e grazie al professore Giovanni Fiandaca organizzammo
un convegno che mise tutti attorno a un tavolo e finalmente la procura dialogò
con la procura dei minorenni».
Che quartiere è oggi l’Albergheria?
«Un quartiere difficile dove la droga è tornata a girare e a essere
considerata un lavoro. Un quartiere che ha avuto un piccolo ristoro dal reddito
di cittadinanza, ma al quale serve un progetto. Molte luci sono state accese,
bisogna continuare».
E Palermo? Come sta?
«È una città che è cambiata profondamente ma non ha un progetto di
sviluppo. Trentacinque anni fa l’emergenza era la mafia, una mafia prepotente e
radicata. Oggi la mafia c’è ancora ma l’emergenza è la mancanza di un modello
di sviluppo che dovrebbe partire da un’analisi quartiere per quartiere».
Chi dovrebbe farla?
«Le istituzioni, compresa l’Università che dovrebbe aprire le sue porte al
territorio e dialogare con la politica. Sull’Albergheria facemmo un’indagine
conoscitiva tra gli altri con le docenti di statistica sociale Enza Capursi e
Ornella Giambalvo. Ma poi non è arrivato il modello di sviluppo».
Palermo è una città accogliente?
«Idealmente sì. Ma c’è molta idealità e poca progettualità: perché non si
riescono a integrare i migranti in progetti sociali come la pulizia, per
esempio?». Poco lontano dalla chiesa una donna nera rovista nella spazzatura in
pieno giorno.
Che sindaco è stato Orlando?
«Passo. Anzi no, una cosa la dico».
Prego.
«Ha la stoffa di un buon politico, ma forse anche lui dovrebbe passare la
mano».
E l’arcivescovo Corrado Lorefice?
«Persona ottima e culturalmente aperta, ha solo qualche difficoltà a
mantenere i contatti con il clero locale».
Le dispiace che stasera non ci sarà?
«So che è impegnato altrove. Se venisse farebbe piacere a me e alla gente».
De Gregori verrà?
Ride. «Ma no! Sarà semplicemente un passaggio di consegne».
Palermo ha una speranza?
«Sì. Ma deve raccogliere tutto quello che ha: creare una grande assemblea
dal basso che metta insieme quello che si muove nei quartieri. Un’assemblea che dialoghi con le istituzioni, che a loro volta dovrebbero
dialogare con l’università perseguendo un modello di sviluppo che parta dai
bisogni dei territori».
Nelle sue omelie ha preso posizione sui diritti civili, dalle unioni
omosessuali all’eutanasia. A che punto è il cammino della Chiesa in questa
direzione?
«Si va avanti nonostante le resistenze di alcune frange. Dio vuole l’uomo
libero e nessuna regola può valere più della propria coscienza».
Le mancherà l’Albergheria?
Silenzio. «È dentro il mio cuore». All’Albergheria manca già.
La Repubblica Palermo, 6 settembre 2020
Don Cosimo mentre celebra la sua ultima messa a S. Francesco Saverio all’Albergheria la sera del 6 settembre 2020 |
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