CALOGERO RIDULFO
La presentazione, nei giorni scorsi, del bel libro di Mario Cuccia dal titolo “Bedda Matri Addulurata” è l’ultimo degli eventi prodotti di recente nell’ex Ospedale dei Bianchi di Corleone, che hanno acceso i riflettori su uno dei luoghi simbolo di Corleone, custode di oltre cinquecento anni di storia. Ricordiamo infatti che fin dagli inizi del XVI secolo quei locali ospitarono l’Ospedale Nuovo, che era stato fondato circa mezzo secolo prima nella vicina chiesa dell’Annunziata e da questa passato successivamente alla chiesa dello Spirito Santo.
Attorno agli anni Cinquanta dello stesso secolo nasceva la storica Compagnia dello Spirito Santo, fondata da medici fisici, medici chirurgici e speziali ma allargata molto presto alle personalità più eminenti della città che occupandosi per regolamento di opere pie a favore delle classi subalterne, finirono oltretutto per adottare gli atti spagnoleschi dei nascenti riti della Settimana Santa.
Nei locali annessi all’Ospedale verranno
presto edificati l’oratorio della Compagnia e la chiesa dello Spirito Santo,
che per interesse dei confrati si trasformeranno nel tempo in un vero e proprio
scrigno d’arte.
La magnificenza artistica prodottasi in quei
secoli, per molti versi problematici e segnati da povertà estrema in larghi
strati della società si contrappone, purtroppo, alla desolante realtà dei
nostri giorni, caratterizzati da opulenza e benessere sociale. Ai nostri occhi appare,
ogni qualvolta solchiamo la soglia di quel luogo, lo scheletro di un corpo che
fu bello, affascinante, seducente, ma che purtroppo, per uno strano segno del
destino, finisce per essere deturpato e, per usare gli stessi termini usati
durante la suddetta presentazione, stuprato dalla inciviltà umana.
L’oratorio dei Bianchi e la contigua
chiesetta dello Spirito Santo, nonché l’ingresso dell’Ospedale, fino a pochi
decenni orsono erano un tripudio di opere di ingegno umano, pitture sculture e
stucchi di ragguardevole pregio artistico, marmi pregiati ed eccellenti opere
di ebanisteria, pavimenti maiolicati e architetture raffinate. Il funesto
terremoto del 1968 sferrando un colpo pesante ad una struttura ormai
abbandonata da diversi anni, permise alla mano dell’uomo di rastrellare il
possibile. Fu subito dopo che scomparve la tela della Madonna del Lume, fatta
ritrovare mutilata nei giorni nostri da indebiti possessori che vedendosi
braccati hanno deciso in tutta fretta di abbandonarla in un casolare di campagna.
Diversamente e stranamente, l’eccellente pavimento maiolicato raffigurante il “Transito
di san Giuseppe”, che ricopriva il suolo dell’oratorio dei Bianchi, si
volatilizzò – ironia della sorte – durante i lavori di «messa in sicurezza» dei
locali dell’Ospedale agli inizi del
2000. Così come è avvenuto per la tela della Madonna del Lume, sarebbe
auspicabile che gli illegittimi possessori lo facessero trovare in un altro
casolare di campagna, farebbero un’opera di notevole spessore culturale, tanto
più che esistono numerose testimonianze fotografiche e che incidenti simili a
quelli che hanno portato al ritrovamento della tela della Madonna del Lume possono
sempre verificarsi, non trascurando il dettaglio di non poco conto che presso
il Comando Tutela Patrimonio Artistico dei Carabinieri il pavimento trafugato è
registrato nell’apposita Banca Dati dei beni culturali illecitamente sottratti.
Ugual fine, negli stessi giorni in cui le
maioliche del pavimento sparivano, sembra stesse per fare il prezioso tabernacolo
dell’oratorio prodotto nel diciottesimo secolo.
E poi c’è un ultimo gioiello, che per fortuna
rimane sul posto benché sepolto. È una pregiata dimora sepolcrale posta nel bel
mezzo della chiesetta dello Spirito Santo ed è coperta da un complesso sistema
di puntellature che sostiene la volta pericolante dell’edificio. Il manufatto
risale al 1582 e consta nella sua parte superiore di una lapide marmorea
magistralmente scolpita. La sepoltura è stata voluta dal nobile imprenditore
Michele Lo Manno, potente componente della classe dirigente corleonese nonché
ufficiale della Compagnia dei Bianchi per qualche decennio. In testamento il
nobile Lo Manno incarica i figli di disporre la sua sepoltura nella cappella che
andava sotto il titolo del SS. Sacramento ad occupare lo spazio: «di lo scaluni
chi intra a la dicta cappella et staya a drittura di immenzo l’altaro di ditto
Sacramento» e farvi «uno tabuto di petra marmorea» che possa accogliere il
proprio cadavere, «e la balata supra ditto monumento l’hagiano di fari di
marmora» in modo che possa esservi «depinta et intagliata la persona nomo et
cognomo d’esso testaturi et la jornata millesimo di lo jorno de la sua morti». E
per completare raccomanda che tale «balata» venga ad essere «a drittura et
lenza di lo maduni dintra ditta cappella». All’ospedale ovviamente il nobile
Michele lascia un legato di onze tre annui, in perpetuo, per le messe in
ristoro della sua anima.
Dicevamo che la sepoltura è ancora presente
in loco, con la sua pregevole lapide magistralmente scolpita e raffigurante
l’immagine del titolare vestito in elegante veste nobiliare.
Ho avuto modo di dirlo in altre occasioni,
accendere i riflettori sulle bellezze presenti nella nostra cittadina e amorevolmente
prodotte dai nostri antenati è opera meritoria, ma questo non può bastare.
Acquisita la consapevolezza di quanto sia importante valorizzare il nostro
territorio e le sue opere d’ingegno umano, sarebbe utile passare alla fase due,
ovvero che ogni livello del tessuto sociale, produttivo e amministrativo si
applicasse per trasformare i punti di debolezza in punti di forza.
Nel caso specifico della sepoltura marmorea è
importante che tutte le sensibilità si attivino per interessare le istituzioni,
nelle sue diverse articolazioni, ad intraprendere un percorso deciso verso il
recupero della storica chiesetta dello Spirito Santo, la cui volta puntellata corre
il rischio di crollare sopra il prezioso sarcofago che a sua volta rischia di arricchire
il già cospicuo registro delle opere scomparse di Corleone. Per colpevole
disinteresse.
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