di SERGIO ZAVOLISergio Zavoli - Foto: Francesco Garufi/Sintesi
In questo testo del grande giornalista, scomparso il 5 agosto, un
riconoscimento non rituale del ruolo e dell'importanza della Cgil: "Di
fronte a questo sindacato paziente e risoluto, che esige, dopo aver ragionato,
e rispettoso di quanto ha convenuto, provo un sentimento di solidarietà
civile che mi emoziona come ai tempi delle grandi battaglie per il lavoro". Sergio Zavoli, padre nobile del
giornalismo italiano, si è spento a 96 anni nella sua casa alle porte di
Roma. Di seguito pubblichiamo un testo ricco e partecipato sul ruolo del
sindacato – e della Cgil in particolare – pubblicato su Rassegna
Sindacale in occasione del XIV congresso della Confederazione che si è
tenuto a Rimini nel 2002.
In altri tempi non ho lesinato le mie
critiche, per quel che potevano valere, a un sindacato non di rado
sottoposto alle chiavarde dell'ideologia, alle tutele dei partiti, alle
strategie della politica. Con ciò non intendevo togliere nulla a un ruolo di
promozione, salvaguardia e garanzia che, sul fronte del lavoro, ha nutrito di princìpi
e di norme, di forza contrattuale e di crescita civile, di consapevolezza
pratica e di coscienza etica la lotta ormai secolare per l'emancipazione dei
più deboli, in ogni senso, lungo un cammino disseminato di sacrifici e dolori,
di drammi e tragedie. Né, d’altro canto, la critica al sistema partitico poteva
prescindere dal riconoscimento della funzione svolta dai partiti dopo la
nascita della Repubblica, per promuovere nella società un'educazione civica
smarrita negli anni della dittatura, per risvegliarne lo spirito democratico e
richiamarla ai fondamenti etici che danno dignità alla lotta politica.
Sono stato un testimone privilegiato, potendo
usare uno strumento come la radio, prima, e la tv poi, in mezzo secolo
repubblicano delle battaglie legate al latifondo, alla difesa del salario, alle
gabbie salariali, all’autunno caldo, allo Statuto dei lavoratori, all'impegno
referendario in difesa dei diritti civili, alla difesa delle conquiste operaie
contro l’avventurismo brigatista, per fare solo qualche esempio.
Da Portella della Ginestra alle
lotte di Melissa e ai "giardini" di Avola, dai giorni di Reggio
Calabria a quelli di Reggio Emilia, dagli scenari dello stragismo a quelli
degli anni di piombo, fino al caso Moro, e poi a Ruffilli, a D’Antona, alla
"sponda" realistica e previdente che tanto contribuì a portarci in
Europa, è stata una storia severa, spesso aspra, fatta di duttilità e
intransigenza, con qualche strappo, del resto riconosciuto e scontato sin
troppo, alla moderazione. Abbiamo assistito allo sforzo
di una vera e propria rivoluzione culturale che s’incentrava sull'elaborazione
di nuove opportunità per affrontare i problemi del lavoro, della
produttività e, in generale, dell'economia; una rivoluzione anche linguistica,
rispetto al tradizionale linguaggio del sindacato, non dico al sindacalese nudo
e crudo, che si confronta con parole come flessibilità e concertazione, due
chiavi complesse, e controverse, per entrare nel nuovo con responsabile
maturità; cui si è risposto, per dirne una, e alla svelta, con l'idea di
abolire l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.
Di fronte a questo sindacato
paziente e risoluto, che esige, dopo aver ragionato, e rispettoso di quanto ha
convenuto, provo un sentimento di solidarietà civile che
mi emoziona come ai tempi delle grandi battaglie per il lavoro, la
sua certezza, il suo decoro, i suoi presìdi normativi, ambientali, culturali.
In tempi nei quali la politica sembra perdere per strada, ogni tanto, i suoi
primati di credibilità e di efficacia, di coerenza e di stabilità, questo
rinnovato rigore sindacale, lungi dal porsi come una barricata, e men che meno
una supplenza, si ispira ai contenuti alti della controversia sociale perché le
soluzioni corrispondono a una politica, insieme, dei princìpi e dei fatti,
delle idee e degli ideali, della tradizione e della modernità, del presente e
del futuro, nella persuasione che mai c’è tanto bisogno di politica come quando
la politica stessa sembra autorizzarci a voltarle le spalle! Non pronunciando
da un palco, di fronte a una platea scontenta e inquieta, soprattutto perché le
sembra che nessuno dia voce alla sua delusione, la pur plausibile denuncia di
chi si dà, a buon mercato, il coraggio di chiedere, perentoriamente, dove sia
la sinistra.
Non certo per campanilismo,
penso a un grande italiano, un vero, grande italiano, a Federico Fellini:
quando gli chiesero perché, proprio lui, fosse andato a fare il suo turno per
atto di omaggio attorno alla bara di Berlinguer, disse: "Per una ragione
molto semplice, perché una gran parte del mio paese
crede che in certi momenti serva unirsi, non dividersi".
Proprio nello sforzo unitario
del sindacato vedo rinverdire, dopo tante dimenticanze, la frase di don Milani:
"La politica, uscirne insieme!". Siamo realisti, non esorcizziamo
la realtà: qualcuno ha detto: "Abbiamo vinto il terrorismo,
vinceremo anche la destra". È un’altra favola! Il terrorismo fu una
rivoluzione senza popolo, questo governo ha il consenso di quasi metà degli
italiani! Ripetiamoci, piuttosto, queste parole: "Non dite di essere
scoraggiati, di non volerne più sapere! Pensate che tutto è successo perché non
ne avevate più voluto sapere!". E quanto a chi dice
di volere un sindacato "apolitico", impegnato solo nella
contrattualistica, in realtà ha in mente altro; come chi vorrebbe
affidare i ministeri soltanto ai "tecnici", agli "esperti",
ai "competenti" ha in mente una separazione che esclude il sindacato
per lasciare campo libero a interessi precisi e noti. Le grandi scelte della
libertà e della democrazia non sono mai state tecniche, ma politiche! Politica
è stata anche la prudenza, che accompagnava l'indignazione e la ponderata
fermezza di grandi leader sindacali come Di Vittorio o Pastore. I quali,
proprio in questa parte d'Italia che ospita il congresso, ebbero per
antesignani e seguaci i nostri Massarenti e Baldini, Miglioli e Simoncini,
Santi e Lama.
Alla Cgil di queste giornate
riminesi, cinghia di se stessa, del proprio laboratorio culturale e politico e
decisa a generare energie per i propri specifici compiti, ma nondimeno
interessata ad essere soggetto d’interlocuzione dialettica che interpreti
l'aspirazione democratica a una crescita comune, vanno pensieri di solidarietà non rituali, e men che meno celebrativi.
È encomiabile una cultura come la vostra,
non indurita dai cipigli, ma neppure sviata dalle favole: che non ha
mai creduto alla cosiddetta fine della Storia, al secolo breve, ai pensieri
deboli, ai minimalismi, al progressivo perdere il loro senso di parole come
"destra" e "sinistra". Non ci è sfuggito il vostro lavoro
ostinato, cioè paziente e risoluto, per avere il diritto di restare
"politica" e, nella politica, sinistra; non solo perché un sindacato
democratico sta, comunque, a sinistra, ma anche perché una sinistra che voglia
riappropriarsi di tutta se stessa, per essere ciò che ci si aspetta che sia,
non può davvero non includere, tra i primi gesti di una nuova, aperta, completa
rifondazione, proprio il sindacato. Lo dico perché mentre l'identità culturale
e politica della sinistra va smarrendosi, è in atto, per converso, un suo
rimodellamento critico, dialettico, revisionista. Ma occorre che ciò accada nel
significato proprio del revisionismo, che è quello scientifico della ricerca,
dell'aggiornamento e del dibattito mai interrotto, non nella sua accezione
polemica e propagandistica: la quale va lasciata a chi della politica ha
un'idea perentoria e ultimativa, fatta di sentenze senza appello, ma anche di
amnesie ideali, di risciacqui qualunquistici, di rinvii al cosiddetto
buonsenso, senza la preoccupazione, la regola e il limite delle responsabilità
da cui chi opera davvero nella politica, e ha più spine che onori, non può
prescindere.
Il rinnovarsi indispensabile del sindacato, sospinto da
sperimentazioni unitarie che non sacrifichino tradizione e identità, unito
all’attenzione sollecita e fattiva per i non garantiti dai nuovi lavori e
persino, non di rado, dai vecchi,non richiederà imbarazzi, ripensamenti,
abiure: perché le sue radici nella sinistra partono dalle conquiste raggiunte
in nome della giustizia e di un ideale di uguaglianza che nessuna
globalizzazione mercantile potrà mai surrogare.
Per chi ha dovuto, al tempo
stesso, difendersi dalla storia e provocarla, onde evitare che essa facesse
della sua obiettività naturale l'alibi della sordità sociale e della
cecità morale, il ruolo svolto dal sindacato nel sorvegliare i confini tra
cronaca e storia, politica e partiti, equità e democrazia, benemerenza
tanto più preziosa in una realtà divenuta complessa, tuttora imprecisa e per
qualche verso inquietante, come quella presente. Ecco perché il Congresso della Cgil va oltre il suo significato istituzionale,
pur rilevante, e il suo stesso porsi come progetto di sindacalismo nuovo e pur
coerente, consapevole com'è che la rivoluzione non è più il cambiamento, bensì
la velocità del cambiamento. Dire che secondo l'orologio dello psicologo,
ma temo che ciò possa valere anche per quello della sociologia e della
politica, siamo sempre più in ritardo rispetto a ciò che abbiamo appena
pensato, è un linguaggio fino a ieri estraneo a un organismo che i
suoi problemi, e i suoi successi, è stato costretto a misurarli sui secoli, sui
decenni, sugli anni. Senza la pretesa, mai, di risolverli con qualche grido
estemporaneo eppure fin troppo tempestivo, lanciato da un palco! Ho ancora
nell'orecchio le parole di un uomo di pace: "Io vi scongiuro di essere
indignati!". Ma era Luther King, e per tutto ciò che disse e fece pagò
addirittura con la vita. E qui penso ai tanti uomini del sindacalismo che, per
testimoniare, hanno versato il loro sangue in Italia e nel mondo.
Ora, proprio questa vostra
capacità di durare, continuamente provocata da un mutamento che non ha
riscontro nella storia politica, sociale, economica ed etica di tre quarti
dell'umanità, ci consegna oggi una cultura sindacale in grado
di far fronte a ogni nuova sfida con vigore, inventiva, efficacia.
Dandovi il diritto, a voi sì, di reclamare il valore autentico della costanza,
della fermezza, dell'unità. Il rinnovamento stesso della classe politica non
potrà non giovarsi delle esperienze maturate nella scuola dura, e severamente
selettiva, della militanza sindacale.
La Cgil, insieme con le due
grandi organizzazioni consorelle, è non solo un momento centrale della vita del
paese, ma anche una fonte di autenticazione e di rilancio di ciò che i nuovi
scenari della modernità hanno aperto in Europa e nel mondo.
Tratta da collettiva.it
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