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Palermo, il Giardino Garibaldi
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di GIUSEPPE BARBERA
Gli anni alla metà dell’Ottocento sono quelli più felici per l’affermazione
del mito di Palermo città verde, ricca di alberi esotici e di giardini,
circondata dalla Conca d’oro. Nel 1855 nasce la Deputazione delle Ville
Comunali. Preceduta dalla realizzazione del giardino “all’inglese”, accompagna
l’apertura al pubblico della Favorita, il fervore degli agrumeti che guardano
ai mercati internazionali. Il momento del Piano della Marina, dove ancora
ristagnavano le acque, pascolavano le capre, si tenevano giostre e feste e si
alzavano forche, arriva nel 1864. Al recupero concorrono il vivaista Besson,
G.B.F. Basile e l’Orto universitario. Tra gli alberi, con il nome di Ficus
nervosa, si trapianta la specie che diventerà la più illustre. E’ probabile che
sia giunta, attraverso l’Orto Botanico, da un vivaio del sud della Francia che
l’aveva importata dalle isole Howe nel Pacifico.
Nel 1897, viene battezzata
magnoliodes per la somiglianza delle foglie con la Magnolia e, nel 1996, dai
botanici Fici e Raimondo, macrophylla (per le grandi foglie), sottospecie
columnaris a indicare lo straordinario modo di accrescersi attraverso radici
aeree che s’infiggono al suolo e sorreggono la chioma. L’albero è un epifita;
si insedia su altre piante o su architetture di pietra, cresce verso il basso e
le ingloba. Noto come “albero strangolatore … è impossibile sapere da dove
viene e dove va”, osservava un botanico australiano. Nei giardini palermitani
sorprende progettisti e giardinieri, ingloba panchine e decori, soffoca le altre
piante. Scriverà Sciascia nel 1988, accompagnando un disegno di Bruno Caruso:
“Ho visto sempre il ficus come una specie di mostro arboreo... Un pauroso
emblema della violenza e dell'imprevedibilità della natura; forse anche perché
a Palermo, in piazza Marina, sta a fronte di quel palazzo in cui tragiche
memorie si assommano dell'umana violenza; la violenza dell'anarchia baronale,
la violenza del Sant'Uffizio dell'Inquisizione, la violenza
dell'amministrazione della giustizia del regno d'Italia”. Bonaventura Tecchi,
nell’ “Isola appassionata” vi riconosce qualcosa di animalesco (serpente,
coccodrillo, rinoceronte) e Fernando Aramburo, in un articolo su “El Mundo” del
2018, lo mette al pari – in quanto “zio carnale” – di un esemplare di Buenos
Aires che non ha radici aeree e si serve di una scultura che rappresenta
Atlante che regge sulle spalle non il mondo ma una branca; il che non
garantendo elasticità alla struttura, peggiora, piuttosto che migliorare, la
stabilità. Pochi giorni fa, su RAI Radio tre, Giorgio Vasta ha detto delle
radici che inglobano il visibile e l’invisibile. A Palermo la strada scelta,
per proteggere albero e cittadini da schianti che si presentano naturali e
improvvisi, è quella di favorire lo sviluppo delle radici colonnari e gestire la
chioma con potature mirate che non possono essere fatte che da tree climbers:
arrampicatori/arboricoltori esperti come già avvenne nel 2010, quando furono
preceduti da uno studio che si servì (per alberi eccezionali, attenzioni
eccezionali) di droni e laser scanner. La recente provvisoria passerella è
utile a proteggere le radici ma anche a permettere una adeguata vista della
magnificente architettura vegetale che, già nel 1907, era “oggetto di viva
ispirazione massiccia da parte dei forestieri”.
Il Ficus è un autorevole patriarca verde. Se non l’età, la sua imponenza e
l’immaginario che ha sollecitato rimandano alla antica sacralità degli alberi,
alla loro autonomia dagli uomini che possono studiarli, prendersene cura ma non
dominarli. Proprio di un Ficus, Emilio Salgari, ne “I misteri della Giungla
nera”, osserva come “forma una foresta sostenuta da centinaia e centinaia di
bizzarri colonnati, sotto i quali i sacerdoti di Brahma collocano i loro
idoli”. Sotto uno di essi Siddharta ha raggiunto l’illuminazione ed è diventato
il Buddha. Per gli induisti è sacro il bengalensis le cui radici colonnari
rappresentano l’immortalità e simile compito ha il ficus che cresce sotto la
casa che fu di Giovanni Falcone ed è divenuto il nostro albero sacro. Che
adesso, con l’avvertimento dell’impressionante schianto, torni a indicare vie
verdi, anzi green, al futuro della città è un auspicio.
Il testo è apparso su Repubblica del 15.8. Molte altre informazioni sui
primi anni del Ficus si trovano in G. Fatta, Piazza Marina a Palermo. Memorie
di Cronaca cittadina, Edizioni Caracol 2019 e G. Barbera e C. Fusten, Sulle
tracce di Villa Garibaldi, PER, 47, 2017
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