di ANNALISA CUZZOCREA
ROMA — Smettere di pensare al Sud come a un rifugio, un luogo attraente in cui passare le vacanze. Far sì che possa, invece, attrarre persone, investimenti, capitali, nuove idee. La norma sulla fiscalità di vantaggio che Giuseppe Provenzano è riuscito a inserire nel decreto agosto è il primo tassello di quella che il ministro del Mezzogiorno considera la sua missione: «Abbiamo parlato in tutti questi anni della presunta emergenza immigrazione, quando l’emergenza — anche in queste settimane — continua a essere l’emigrazione, la storia della mia generazione».
Quarantenni che un destino hanno saputo trovarlo solo altrove?
«Ho sentito e sento il dovere di lavorare perché il Sud sia un posto in cui
è possibile tornare. Anzi, restare».
Basta una norma come questa a portare
lavoro dove non ce n’è?
«La norma nasce da una preoccupazione per l’immediato.
Dobbiamo evitare che si ripeta quel che è accaduto con la crisi precedente,
una voragine occupazionale e una ripresa senza lavoro al Sud. La priorità
restano gli investimenti: asili, connessioni veloci, ferrovie, scuole con il
tempo pieno, ciclo integrato dei rifiuti. Ma davanti a una crisi eccezionale
abbiamo bisogno di una misura eccezionale».
Cosa pensa si otterrà?
«A parte l’effetto diretto di rilanciare la domanda di lavoro, ce ne sono
due indiretti molto importanti: favorire l’emersione del lavoro irregolare e
provare ad attrarre investimenti, anche stranieri, in una fase storica in cui
molte imprese stanno scegliendo di far tornare in patria le produzioni».
Ma gli investimenti di contesto di cui
parlava prima, dalle ferrovie alla scuola, ci saranno?
«Prima della pandemia abbiamo lavorato a un piano Sud da qui al 2030 che
prevedeva esattamente questo. Grazie al Recovery Plan quella strategia potrà
essere rafforzata e potenziata».
La commissione europea era inizialmente
contraria a misure come la fiscalità di vantaggio.
«Questa misura per i prossimi anni va condivisa con la Commissione. Con
Conte, Amendola e Gualtieri sapremo difenderla. Lo spazio c’è. È cambiato
l’approccio, è la stessa Commissione ora a mettere la coesione territoriale in
cima alle priorità per il nostro Paese».
Come possiamo garantire che arriveranno
progetti validi, quando per anni i fondi per la coesione territoriale sono
rimasti fermi?
«Ho denunciato e documentato gli errori e i ritardi del passato. Da questo
punto di vista però abbiamo impresso una grande accelerazione.
Grazie alla semplificazione e alla flessibilità che ci ha offerto la
Commissione siamo riusciti a mettere in campo per l’emergenza oltre 10 miliardi
e mezzo di fondi strutturali, mettendo d’accordo regioni e ministeri. Questo è
servito a recuperare credibilità».
Stefano Bonaccini, governatore Pd, ha
avvertito: attenti a non trascurare le ragioni del Nord. La Lega è già
all’attacco.
«L’impegno per ridurre i divari territoriali è teso all’unificazione
nazionale. Nasce dalla convinzione che l’Italia sia molto più unita e
interdipendente di quanto l’abbia raccontata, nel corso di tutta la seconda
Repubblica, proprio la Lega. Se investi 10 euro al Sud, 4 tornano al Centronord
in termini di domanda di beni e servizi. Le classi dirigenti progressiste del
Nord dovrebbero riconoscere come miglior alleato chi vuole cambiare e
trasformare il Mezzogiorno per renderlo più moderno, attrattivo, efficiente. E
poi il Nord è anche le aree interne, le periferie, io mi occupo anche di
quelle».
Il decreto ha tenuto fuori il bonus
consumi che volevano i 5 stelle. Ha senso incentivare le assunzioni se non riparte
la domanda?
«Favorire il lavoro serve anche a rilanciare i consumi. Questa misura è
condivisa anche da molti 5S. Ma poi, scusi, è meglio fare uno sconto sui
consumi a tutti, anche a chi se lo può permettere, anche a chi ha guadagnato
durante la crisi, o premiare chi tra mille difficoltà produce e lavora? Il Sud
ha fame di lavoro buono. Per farlo serve l’investimento pubblico e un patto con
le forze produttive, anche con leve fiscali».
Eppure durante la crisi il governo ha
seguito la strategia dei bonus a pioggia. È arrivato il momento di cambiare?
«Un conto è l’emergenza, un altro la prospettiva. Nei mesi scorsi avevamo
il dovere di salvare l’intero tessuto produttivo e sociale, ora nella
ripartenza dobbiamo operare con delle scelte. Ridurre i divari, non fare parti
uguali tra diseguali, serve a rendere lo sviluppo più equilibrato ed
efficiente. Coniugare sviluppo ed equità, anche territoriale, è il nostro
compito. E credo anche sia profondamente di sinistra».
Secondo Confindustria il blocco dei licenziamenti
peggiorerà le cose: congela una situazione che non affronta.
«Io penso che la strada seguita dal governo sia quella giusta. Se lo Stato
ti aiuta in una situazione di difficoltà, come ha aiutato molte imprese, è bene
che i costi non si scarichino sui lavoratori».
Si rischia un effetto boomerang a metà
novembre?
«Nessun progetto di rilancio, nessuna prospettiva di sviluppo può fondarsi
sull’angoscia delle persone. A partire da quella di perdere il lavoro. Tacciare
di populismo, come ho sentito fare, chi si vuol prendere cura anche di
quest’angoscia è inaccettabile».
Chi lo fa?
«Certi liberisti anni ‘90 per i quali se difendi i lavoratori, se combatti
la povertà o fai una misura per il Sud che provi a correggere gli squilibri sei
populista. Mentre togliere diritti e impoverire la gente è considerato
riformismo. Per me è l’esatto opposto».
Assistenzialismo e dirigismo non rischiano
di fare più danni che altro?
«Ma noi stiamo mettendo in campo investimenti proprio per rilanciare
impresa e lavoro anche al Sud. Tutto questo è il contrario
dell’assistenzialismo».
Si è mai chiesto se misure come il reddito
di cittadinanza non abbiano fatto male al Sud, dove in troppi addirittura
smettono di cercare lavoro?
«Non si tratta di una misura per il Sud, ma contro la povertà e ha aiutato
a contenerla. E non poteva servire a creare lavoro: per quello servono
politiche attive del lavoro e il rilancio degli investimenti pubblici e
privati».
L’aumento degli sbarchi di immigrati crea
preoccupazione in Calabria, in Sicilia, anche per il Covid. Cosa pensate di
fare?
«Luciana Lamorgese ha dimostrato di saper gestire i flussi estivi in
sicurezza e umanità. I numeri non ci parlano di un’emergenza. Dobbiamo dotarci
di una nuova politica dell’immigrazione cambiando radicalmente i decreti
Salvini, farlo è urgentissimo. E allo stesso tempo pensare a una nuova politica
per l’Africa, in questo momento soprattutto la Tunisia, aumentando gli aiuti e
coinvolgendo l’intera Unione europea».
La
Repubblica, 8 agosto 2020
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