Il municipio di Roccamena |
DINO PATERNOSTRO
Per tanti giorni, gli articoli sul web, hanno
presentato il caso di Roccamena come quello di una “vedova con figlio
disoccupato che chiede aiuto e il Sindaco la denuncia per calunnia”. La signora
in questione è Dorotea Pirrone, il figlio Vincenzo Miceli. Una vicenda assurda,
incredibile, come quelle che solo in Sicilia possono accadere. Una vicenda cavalcata dalla Lega
di Salvini, sbarcata a Roccamena, che con l’on. Alessandro Pagano ha presentato un’interrogazione parlamentare.
“La signora esasperata – ha scritto il deputato siculo-leghista – ha denunciato che all’interno dello Sprar venivano assunti soltanto parenti degli allora amministratori comunali, assessori e consiglieri, oltreché la moglie dell’ex comandante della stazione locale dei Carabinieri, chiedendo chiarimenti alle autorità locali di pubblica sicurezza sui criteri di assunzione in questo Sprar e segnalando alle istituzioni la situazione del figlio perché potessero dare qualche sostegno”. Un vero e proprio caso di “parentopoli”, che – secondo la Lega - ha coinvolto l’intera amministrazione comunale e la maggioranza consiliare che la sosteneva.
di Salvini, sbarcata a Roccamena, che con l’on. Alessandro Pagano ha presentato un’interrogazione parlamentare.
“La signora esasperata – ha scritto il deputato siculo-leghista – ha denunciato che all’interno dello Sprar venivano assunti soltanto parenti degli allora amministratori comunali, assessori e consiglieri, oltreché la moglie dell’ex comandante della stazione locale dei Carabinieri, chiedendo chiarimenti alle autorità locali di pubblica sicurezza sui criteri di assunzione in questo Sprar e segnalando alle istituzioni la situazione del figlio perché potessero dare qualche sostegno”. Un vero e proprio caso di “parentopoli”, che – secondo la Lega - ha coinvolto l’intera amministrazione comunale e la maggioranza consiliare che la sosteneva.
Ma vediamo cosa è accaduto a Roccamena,
facendoci aiutare dai documenti che illustrano l’intera storia. Con una
premessa per i lettori. Parliamo di una vicenda che è cominciata nel 2018, quando
sindaco di Roccamena era il quarantenne Tommaso Ciaccio, di estrazione Pd. Oggi
sindaco di Roccamena è Pippo Palmeri, mentre Ciaccio è presidente del consiglio
comunale.
Proprio il 15 giugno 2018 Vincenzo Miceli, 24 anni, figlio della signora
Dorotea Pirrone, scrisse al sindaco di Roccamena e al responsabile della
cooperativa “La mano di Francesco”, che gestisce lo SPRAR, accogliendo circa 30
ragazze immigrate, per chiedere di essere assunto come mediatore
interculturale, essendo in possesso della relativa qualifica, conseguita in un corso
professionale della Regione siciliana. Sette giorni dopo, il 22 giugno, la
mamma del Miceli, Dorotea Pirrone, scriveva una lettera al Prefetto di Palermo,
per metterla a conoscenza che nel centro di accoglienza di Roccamena “chi
lavora … sono tutti amici e parenti dell’amministrazione comunale guidata dal
sindaco Tommaso Ciaccio”. La signora aggiungeva di trovarsi in una situazione
economica difficile con un figlio disoccupato e chiedeva “trasparenza e i
criteri di assunzione della cooperativa”.
Tommaso Ciaccio |
Il 9 luglio 2018 il Prefetto di Palermo
girava la lettera della signora Pirrone al sindaco di Roccamena “per le
eventuali iniziative di competenza”. A quanto pare, prima della lettera un
contatto tra la Pirrone e il comune di Roccamena c’era stato. Con la prima a
chiedere un posto di lavoro per sé o per il figlio e col secondo che indicava
la strada dell’istanza da presentare alla cooperativa. Formalmente, infatti, le
assunzioni non le faceva il comune ma la cooperativa. “Ed io come sindaco –
spiega Tommaso Ciaccio – non potevo chiedere l’assunzione di un singolo
cittadino a scapito di altri”. “Ma, appena mi è arrivata la lettera della
signora, giratami dalla prefettura, non ho avuto altra alternativa della querela-denuncia
contro la signora, che mi accusava che nel centro di accoglienza di Roccamena “chi
lavora … sono tutti amici e parenti dell’amministrazione comunale guidata dal
sindaco Tommaso Ciaccio”. E l’ho fatto per il semplice motivo che nessuno si
deve permettere di giocare con la mia serietà e la mia onorabilità. Nessun mio
parente lavora in questo centro!”.
Lo scorso 3 febbraio il sostituto
procuratore della Repubblica presso il tribunale di Palermo, Felice De Benedittis,
ha chiesto al giudice per le indagini preliminari di disporre l’archiviazione
della querela-denuncia di Ciaccio, perché “il fatto costitutivo della fattispecie
criminosa risulta di particolare tenuità e che, pertanto, deve escludersi la
punibilità”. Ma la richiesta di archiviazione, negli ambienti all’apposizione
dell’amministrazione comunale di Roccamena, è stata presentata tramite i social
come la prova provata della “parentopoli” in salsa roccamenese”. In effetti, invece,
si tratta di una richiesta di archiviazione della denuncia dell’allora sindaco.
L’eventuale “parentopoli” – sicuramente riprovevole sul piano etico e politico e
punibile penalmente nel caso di “scambi” vietati dalla legge – dovrebbe essere
dimostrata, indicando i nomi e i cognomi degli assunti al centro di accoglienza
e gli eventuali rapporti di parentela/affinità degli stessi con gli
amministratori. Ma questi nomi (per la privacy?) non è possibile averli. Nessuno
li tira fuori, nemmeno gli oppositori, che vogliono essere creduti sulla
parola. Abbiamo solo la dichiarazione dell’ex sindaco Ciaccio, che esclude nel
modo più assoluto l’assunzione di suoi parenti.
Pare che adesso sull’intera vicenda stia
indagando la magistratura col supporto della polizia. Sarà questa indagine a
dirci se effettivamente a Roccamena c’è stato un caso di “parentopoli”, oppure
un’opposizione politica condotta con metodi scorretti, fino ad arrivare all’uso
delle fake news. (dp)
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