di SALVO PALAZZOLO
PALERMO — Si aggira in via D’Amelio, nell’ora dell’esplosione che
spazzò via Paolo Borsellino e la scorta, 28 anni fa, come se stesse cercando
qualcosa. Un indizio, una traccia. Ore 16,58. «I mandanti che hanno voluto la
morte del giudice Paolo hanno ucciso anche mio padre», sussurra Luana Ilardo, è
la figlia di Luigi, l’autorevole capomafia della provincia di Caltanissetta che
per un anno e mezzo fece il confidente di un colonnello dei carabinieri, poi il
10 maggio 1996 l’ammazzarono sotto casa, a Catania. Stava per diventare
ufficialmente un collaboratore di giustizia, aveva già incontrato magistrati e
ufficiali del Ros a Roma. «Mio padre lavorava per lo Stato, ma qualcuno
all’interno dello Stato lo tradì, svelando il suo vero ruolo — accusa ora la
figlia — Voglio sapere chi. Di sicuro, qualcuno che aveva paura delle cose che
papà poteva ancora raccontare». Salvatore Borsellino, il fratello di Paolo, ha
voluto Luana Ilardo accanto a sé nel momento del ricordo in via D’Amelio.
«Perché anche Paolo fu tradito — dice — e la verità sulle stragi è dentro lo
Stato».
Luigi Ilardo fu il primo a svelare che l’organizzazione mafiosa aveva un
referente politico molto particolare, Marcello Dell’Utri, all’epoca ancora
nessun pentito lo aveva chiamato in causa. Disse pure che dietro le stragi del
1992 c’era un pezzo deviato dello Stato. Intanto, faceva arrestare latitanti di
rango, aveva anche offerto l’indicazione giusta per arrivare a Bernardo
Provenzano. Non ci fu tempo per altre dichiarazioni, qualcuno aveva soffiato a
Cosa nostra il doppio gioco di Ilardo. «Quando lo uccisero avevo 16 anni —
ricorda Luana — e ancora non sapevo della scelta di papà: dopo essere uscito
dal carcere voleva cambiare vita, per questo aveva iniziato a fare
l’infiltrato, passando notizie al colonnello Michele Riccio». Una vita
rocambolesca. Di giorno, indossava l’abito del temuto capomafia; la sera,
incontrava in campagna il suo contatto con lo Stato.
Ora, in via D’Amelio, le storie di Paolo Borsellino e di Luigi Ilardo si
intrecciano nei racconti del fratello e della figlia. Uomini entrati in un
gioco troppo grande, che sapevano di rischiare la vita. «Negli ultimi tempi,
papà era preoccupato, dormiva dentro l’auto blindata ». Uno dei mandanti del
delitto fu il cugino di Ilardo, Piddu Madonia, padrino legatissimo a Bernardo
Provenzano. «Per alcuni sono la figlia di un mafioso; per altri la figlia
di un infame – ora sorride Luana – ma ho deciso di dire la mia per tentare
ridare un briciolo di dignità a mio padre, a un uomo che lo Stato ha dimenticato,
dopo averlo mandato al macello. E anche noi siamo stati a rischio, dopo il suo
omicidio, io e mia sorella siamo fuggiti da Catania, su uno scooter, quello che
papà ci aveva regalato appena uscito dal carcere: avevamo soltanto qualche
vestito dentro uno zaino e venti mila lire in tasca».
Via D’Amelio si riempie, ci saranno 400 persone. Salvatore
Borsellino rilancia: «Non smetteremo di cercare l’agenda rossa di Paolo,
sarà in qualche palazzo delle istituzioni». La chiave del mistero resta nei 57
giorni fra la morte di Falcone e quella di Borsellino. «C’è un dialogo fra
Riina e Ganci dopo la strage di Capaci, riferito dal pentito Cancemi, che
racconta molto — suggerisce l’ex pm della “Trattativa” Roberto Tartaglia, oggi
vice capo del Dap, anche lui in via D’Amelio con il presidente dell’Antimafia
Nicola Morra — “Me ne assumo io la responsabilità”, diceva Riina. E Ganci
commentava: “Ma perché tutta questa premura?”. Commento di Cancemi: “Come
se lui avesse qualche impegno preso”». Chi aveva chiesto a Riina di accelerare
la strage di via D’Amelio? E perché?
Ieri, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha voluto ricordare
Paolo Borsellino con un messaggio accorato in questo momento così particolare
per la giustizia e l’antimafia: «Continuerà a indicare ai magistrati, ai
cittadini, ai giovani la via del coraggio e dell’intransigenza morale».
La Repubblica, 20 luglio 2020
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