Aisha Silvia Romano |
DAVIDE PICCARDO
Incontro
Aisha Silvia Romano in zona Via Padova a Milano, non faccio in tempo a
salutarla che una signora egiziana la riconosce: “sei Silvia?” le chiede. Per
discrezione non mi avvicino e quindi non sento molto di ciò che si dicono in
quei pochi secondi, vedo solo che dagli occhi della signora scendono due
lacrime di commozione. Aisha Silvia sorride e si salutano. Inizia
così la nostra intervista.
Prima della
partenza e prima ancora del rapimento, che visione avevi della religione?
Prima di
essere rapita ero completamente indifferente a Dio, anzi potevo definirmi una
persona non credente; spesso, quando leggevo o ascoltavo le notizie sulle
innumerevoli tragedie che colpiscono il mondo, dicevo a mia madre: vedi, se Dio
esistesse non potrebbe esistere tutto questo male … quindi Dio non esiste,
altrimenti eviterebbe tutto questo dolore.
Mi ponevo
queste domande rarissime volte, solo quando – appunto – mi confrontavo con i
grandi mali del mondo. Nel resto della mia vita ero indifferente, vivevo
inseguendo i miei desideri, i miei sogni e i miei piaceri.
Però avevi
già un’etica?
Per me il
giusto, prima, era semplicemente fare ciò che mi faceva sentire bene; non avevo
un criterio diverso relativamente a ciò che fosse giusto e sbagliato; il bene
per me corrispondeva a ciò che mi faceva sentire bene. In realtà ora capisco
che mi illudevo mi facesse stare bene.
Hai sempre
avuto uno slancio verso i più deboli, una spinta che ti faceva agire per rimediare
all’ingiustizia o avevi più un moto di pietà? Cosa ti ha spinto a
partire?
Fino alla
fine del mio terzo ed ultimo anno di università, poco prima della mia tesi di
laurea, non avevo un particolare interesse nel partire e andare a fare
volontariato.
Verso la
fine della tesi mi interessai moltissimo all’argomento che stavo trattando: la
tratta di donne ai fini della prostituzione, da lì ho avuto uno scatto nei
confronti delle ingiustizie.
Sei
diventata più empatica in quel momento?
Sono sempre
stata compassionevole, molto sensibile nei confronti dei bambini, delle donne
maltrattate, ho sempre sentito molta empatia, ma il passo successivo, quello di
agire davvero, di rendermi utile all’altro con l’azione l’ho fatto solo alla
fine dell’università. Ho sentito il bisogno di andare e mettermi in gioco
aiutando l’altro nel concreto. L’idea di continuare a studiare e rimanere qui
non mi andava, volevo fare un’esperienza vera, per crescere e per aiutare gli
altri.
Sei
cresciuta in un quartiere multietnico, come si poneva la tua famiglia di fronte
a questa realtà?
Sono
cresciuta in un ambiente multietnico, il contesto del Parco Trotter dove sono
andata a scuola e di Via Padova
Mio padre e
mia madre sono sempre stati aperti mentalmente, tolleranti, non hanno mai
discriminato e io ho sempre avuto amici di provenienze diverse. I miei genitori
mi hanno sempre insegnato a considerare il diverso come un arricchimento, con
mia mamma ho sempre viaggiato tantissimo.
Ogni estate
andavamo in un paese diverso, dal Marocco alla Repubblica Dominicana,
all’Egitto, a Capo Verde.
Quindi i
musulmani li avevi già conosciuti?
Sì, ma
l’idea che avevo dell’Islam era quella che in molti purtroppo hanno quando non
ne sanno niente. Quando vedevo le donne col velo in Via Padova, avevo quel
tipico pregiudizio che esiste nella nostra società, pensavo: poverine! Per me
quelle donne erano oppresse, il velo rappresentava l’oppressione della donna da
parte dell’uomo.
Quindi
Silvia Romano avrebbe potuto essere una fra i tanti islamofobi?
Io non avevo
paura del diverso e nemmeno ostilità, ma quel pregiudizio negativo c’era.
Sicuramente,
pur pensando certe cose non le avrei mai dette per evitare di ferire gli altri,
ma sì, il pregiudizio lo avevo; per quello posso capire chi oggi, non
conoscendo l’Islam, pensa queste cose.
All’epoca
ero una persona ignorante, non conoscevo l’Islam e giudicavo senza mai essermi
impegnata a conoscere.
Vivi a
contatto, ti fai un’idea ma non vai mai a porre una domanda direttamente
alle persone, nonostante siano vicine a te.
A Chakama,
il villaggio in Kenya dove facevi volontariato, c’erano dei musulmani?
Sì, c’era
una moschea, c’erano i musulmani, un mio grande amico era musulmano ma io non
mi sono mai posta molte domande. Il venerdì lo vedevo con la tunica e sapevo
che andava alla moschea, ma la cosa è rimasta lì. C’erano anche delle ragazzine
che il venerdì vedevo con il velo ma non c’era proprio interesse da parte
mia.
Quando è
suonato il primo campanello rispetto a Dio? C’è stato un momento in cui hai
sentito qualcosa? Un pensiero che ti ha aperto un varco nella coscienza, nel
cuore?
Nel momento
in cui fui rapita, iniziando la camminata, iniziai a pensare: io sono venuta a
fare volontariato, stavo facendo del bene, perché è successo questo a me? Qual
è la mia colpa? È un caso che sia stata presa io e non un’altra ragazza? È un
caso o qualcuno lo ha deciso?
Queste prime
domande credo mi abbiano già avvicinato a Dio, inconsciamente. Ho iniziato da
lì un percorso di ricerca interiore fatto di domande esistenziali. Mentre
camminavo, più mi chiedevo se fosse il caso o il mio destino, più soffrivo
perché non avevo la risposta, ma avevo il bisogno di trovarla.
Farti questa
domanda era un modo per sentirti meglio?
No, più mi
facevo domande e più piangevo e stavo male; mi arrabbiavo perché non trovavo la
risposta e andavo in ansia. Non avevo la risposta ma sapevo che c’era e ci
dovevo arrivare.
Capivo che c’era
qualcosa di potente ma non l’avevo ancora individuato, però capivo che si
trattava di un disegno, qualcuno lassù lo aveva deciso.
Il passaggio
successivo è avvenuto dopo quella lunga marcia, quando già ero nella mia
prigione; lì ho iniziato a pensare: forse Dio mi ha punito.
Forse Dio mi
stava punendo per i miei peccati, perché non credevo in Lui, perché ero anni
luce lontana da Lui.
Un altro
momento importante è stato a gennaio, ero in Somalia in una stanza di una
prigione, da pochi giorni. Era notte e stavo dormendo quando sentii per
la prima volta nella mia vita un bombardamento, in seguito al rumore di droni.
In una situazione di terrore del genere e vicino alla morte iniziai a pregare
Dio chiedendogli di salvarmi perché volevo rivedere la mia famiglia; Gli
chiedevo un’altra possibilità perché avevo davvero paura di morire. Quella è
stata la prima volta in cui mi sono rivolta a Lui.
Le persone
che ti tenevano prigioniera, per quanto possano essere state gentili con te,
stavano commettendo un’ingiustizia nei tuoi confronti; la loro azione è
illegittima quindi non è facile comprendere come si possa abbracciare la fede
di quanti ti stanno facendo un simile torto.
Dopo aver
letto il Corano non ci trovai contraddizioni e fin da subito sentii che era un libro
che guidava al bene. Il Corano non è la parola di Al Shabaab! Ad un certo punto
sentii che era un miracolo, per questo la mia ricerca spirituale continuava e
acquisivo sempre più consapevolezza dell’esistenza di Dio.
A un certo
punto ho iniziato a pensare che Dio, attraverso questa esperienza, mi stesse
mostrando una guida di vita, che ero libera di accettare o meno.
Chiedevi
forza per resistere in quella situazione?
Ero
disperata perché, nonostante alcune distrazioni come studiare l’arabo, vivevo
nella paura dell’incertezza del mio destino. Ma più il tempo passava e più
sentivo nel cuore che solo Lui poteva aiutarmi e mi stava mostrando come…
Qual è stato
tuo rapporto con il Corano?
La prima
volta ci misi due mesi a leggere il Corano, mentre la seconda mi fermavo a
riflettere più seriamente e sentivo sempre più il bisogno di leggerlo, fino a
quando ho abbracciato l’Islam. Di fronte a molti versetti avevo la sensazione
che Dio si rivolgesse a me, mi colpivano al cuore.
Avevo anche
letto alcuni versi della Bibbia e appreso i punti in comune del Cristianesimo e
dell’Islam. In definitiva, il Corano mi era parso un testo sacro con dei
principi chiari che guidavano verso il bene.
C’è qualche
surah a cui sei particolarmente affezionata?
Imparai un
versetto prima ancora di diventare musulmana, il versetto 70 della surah al
Anfal: “O Profeta, di’ ai prigionieri che sono nelle vostre
mani: – Se Dio ravvisa un bene nei cuori vostri, vi darà più di quello che vi è
stato preso e vi perdonerà -. Dio è perdonatore misericordioso.”
Imparai
anche la prima surah del Corano, al Fatihah, e iniziai a pregare pur non
sapendo come pregare.
Un altro
versetto che mi colpì molto fu:“Come potete essere ingrati nei confronti di
Dio, quando eravate morti ed Egli vi ha dato la vita? Poi vi farà morire e vi
riporterà alla vita e poi a Lui sarete ricondotti.” Corano 2/28
E anche: “Se
Dio vi sostiene, nessuno vi può sconfiggere. Se vi abbandona, chi vi potrà
aiutare? Confidino in Dio i credenti.” Corano 3/160
Nella mia
condizione leggevo questi versetti e li sentivo come rivolti direttamente a me.
Quando sei
diventata musulmana ed hai iniziato a pregare, che atteggiamento avevi verso il
tuo destino? Pensavi che sarebbe comunque andata bene? Eri pronta ad accettare
qualsiasi cosa?
La fede ha
diversi gradi e la mia si è sviluppata con il tempo. Sicuramente dopo aver
accettato la fede islamica guardavo al mio destino con serenità nell’anima,
certa che Dio mi amasse e avrebbe deciso il bene per me.
Quando
provavo paura per l’imminenza della morte o ansia per non avere notizie della
mia famiglia e del mio futuro, trovavo consolazione nelle preghiere.
Più
aumentava la mia fede e più – quando ero triste – chiedevo a Dio la pazienza e
la forza, chiedevo a Dio che rafforzasse ulteriormente la mia fede.
Ti sei posta
il problema di ritrovarti una persona diversa, di aver accettato qualcosa fino
a prima estraneo a te e di aver fatto una scelta che avrebbe modificato
radicalmente la tua vita?
Prima di
accettare l’Islam avevo avuto delle fasi in cui avevo intuito che l’Islam fosse
la strada giusta. In un momento in particolare credevo di esser convinta di
poter accettare la religione, ma mi fermò la paura delle reazioni degli
altri.
Ho pregato
tantissime volte Dio affinché rafforzasse la mia fede per quello a cui sarei
andata incontro, che rafforzasse la mia fede per affrontare tutte le offese che
avrei ricevuto.
Quindi eri
consapevole di questa ostilità?
Sì, certo.
Avevo sviluppato la consapevolezza attraverso lo studio della vita del Profeta
Muhammad, la vita dei suoi Compagni e me n’ero già fatta un’idea.
I musulmani
sin dall’inizio dell’Islam sono stati perseguitati
Perché,
secondo te?
Perché
l’Islam è la religione che va contro un sistema basato sulle ingiustizie, sul
potere del dio denaro, la corruzione e la falsità, e questo spesso è scomodo.
Molte delle
reazioni negative nei tuoi confronti nascono fondamentalmente da questo
pensiero: questa ragazza era libera di andare dove voleva di fare quello che
voleva, stare con chi voleva vestirsi come voleva e va a scegliersi una
condizione in cui è meno libera, è sottomessa, è considerata inferiore rispetto
all’uomo … com’è possibile?
Il concetto
di libertà è soggettivo e per questo è relativo. Per molti la libertà per la
donna è sinonimo di mostrare le forme che ha; nemmeno di vestirsi come vuole,
ma come qualcuno desidera. Io pensavo di essere libera prima, ma subivo
un’imposizione da parte della società e questo si è rivelato nel momento in cui
sono apparsa vestita diversamente e sono stata fatta oggetto di attacchi ed
offese molto pesanti.
C’è qualcosa
di molto sbagliato se l’unico ambito di libertà della donna sta nello scoprire
il proprio corpo.
Per me il
mio velo è un simbolo di libertà, perché sento dentro che Dio mi chiede di
indossare il velo per elevare la mia dignità e il mio onore, perché coprendo il
mio corpo so che una persona potrà vedere la mia anima.
Per me la
libertà è non venire mercificata, non venire considerata un oggetto
sessuale.
Ora ti senti
meno libera di fare le cose, di muoverti, di lavorare, di incontrare le
persone, di girare?
Quando vado
in giro sento gli occhi della gente addosso; non so se mi riconoscono o se mi
guardano semplicemente per il velo; in metro o in autobus credo colpisca il
fatto che sono italiana e vestita così. Ma non mi dà particolarmente fastidio.
Sento la mia anima libera e protetta da Dio.
La scelta
del nome com’è avvenuta?
Ho sognato
di trovarmi in Italia, passavo ai tornelli della metropolitana e sulla mia
tessera dell’ATM c’era scritto Aisha e poi è un nome che significa
“viva”.
In cosa ti
senti una persona migliore oggi?
Oggi sono
molto più paziente, sono molto più rispettosa nei confronti dei miei genitori,
mentre talvolta, nel passato, non lo ero stata; mi sento più generosa e molto
più compassionevole perché quando qualcuno mi fa un torto, quando qualcuno
sbaglia nei miei confronti, anche di fronte ad offese e contrasti, sento
il mio cuore completamente privo di rancore, di rabbia. Non mi viene da
rispondere con le stesse offese ma cerco sempre il motivo per comprendere
quella persona, penso che quella persona faccia così perché soffre e quindi io
la posso e la devo aiutare.
Rispetto
alla comunità islamica, invece, che aspettative avevi?
Non vedevo
l’ora di conoscere i musulmani, ma pensavo che sarebbe stato difficile. La mia
idea era di andare in Via Padova, entrare in qualche negozio o in qualche
macelleria islamica e dire: “Assalamu aleikum”. Non avevo
ancora la consapevolezza di essere così tanto conosciuta; pensavo di dover
passare la festa di Ramadan da sola.
Invece ho
ricevuto regali, moltissime lettere e il video pubblicato su La Luce dove c’erano tantissimi
musulmani da tutta Italia mi sono sentita sconvolta dalla felicità.
Cosa ti ha
colpito della comunità?
Innanzitutto
non mi aspettavo che ci fossero tutti questi italiani musulmani; mi immaginavo
di entrare in contatto subito con egiziani, marocchini, africani musulmani…
invece, prima degli arabi ho conosciuto gli italiani musulmani ed è stata una
sorpresa enorme. Mi ha colpito la fratellanza nei miei confronti da parte di
tutti i musulmani qua a Milano, e non solo a Milano; la solidarietà e l’affetto
mi hanno fatto sentire parte di una seconda famiglia.
Poi ho scoperto una realtà di cui
non avevo minimamente idea, fattà di tantissime associazioni della comunità
musulmana di Milano, e non solo, che ogni giorno si impegnano nell’aiutare
i più deboli, i più vulnerabili, le vittime delle ingiustizie; in particolare
mi è piaciuto molto il Progetto
Aisha che si occupa di donne, tutte queste iniziative hanno
accresciuto in me la voglia di partecipare.
www.laluce.news, 7 giugno 2020
Nessun commento:
Posta un commento