di AMELIA CRISANTINO
Settant’anni fa la riforma agraria: un libro ripercorre dati, battaglie e
gli effetti in Sicilia: dagli espropri alla creazione dei borghi rurali
La memoria breve che riveste la nostra modernità ha del tutto rimosso il
legame col mondo contadino, con le sue lotte, con le conquiste sempre così
faticose: passano secoli prima che si realizzi il sogno della proprietà, e un
titolo come La terra restituita ai contadini. La più grande
redistribuzione di ricchezza mai avvenuto in Italia ( Laurana editore, 336
pagine, 19 euro) ha il merito di richiamare l’attenzione su un momento centrale
della storia italiana.
L’autore è Nunzio Primavera, siciliano di Enna, storico e archivista della
Coldiretti che è la Federazione nazionale dei coltivatori diretti: quella che
scrive è quindi una storia dall’interno, dove manca la distanza e la
partecipazione filtra lo sguardo. In cambio c’è però la grande competenza, e il
libro offre una sintesi documentata del lungo processo che, oltre a realizzare
la riforma agraria, vede l’emergere della figura del contadino coltivatore
diretto e la nascita della Coldiretti come soggetto collettivo. Emergono i
protagonisti da Fanfani a Sturzo, ma anche le ambiguità e le resistenze del
mondo cattolico e della grande proprietà latifondista, Nunzio Primavera vuole
andare alle « radici della questione agraria» e bisogna quindi partire da
lontano, addirittura dal tentativo di riforma dei fratelli Gaio e Tiberio
Gracco fra il 133 e il 121 avanti Cristo: questo per dire che il possesso della
terra e rimanda a forme di sfruttamento antichissime e mai davvero tramontate.
Se con audace sintesi arriviamo all’Unità d’Italia troviamo le speranze
deluse del mondo contadino e l’inchiesta Jacini, i cui lavori vengono
pubblicati nel 1885; sono 15 volumi divisi in 22 tomi, che spesso fotografano
una popolazione agricola immobile e rassegnata. In Sicilia l’inchiesta è
coordinata da Abele Damiani, garibaldino messinese che a furia di meticolosi
questionari documenta la sproporzione fra le superfici coltivate a grano e le
altre colture: ma lo stesso la produzione di grano rimane insufficiente, a
causa della distribuzione della proprietà in latifondi, dei metodi primitivi e
dei contratti agrari peggio della schiavitù. Nelle province di Palermo, Trapani,
Girgenti e Caltanissetta i latifondi sono spesso incolti o affittati per pochi
anni, e nessuno investe capitali per migliorare un terreno che dovrà
lasciare a breve. Ma non c’è solo la rassegnazione.
L’inchiesta Jacini segnala le " oasi italiane" che portano alta
la bandiera della produttività, il «trionfo della coltura specializzata »
degli agrumeti della Conca d’oro assicura il più alto reddito italiano per
ettaro, duemila lire. Abbiamo quindi la coesistenza di ampie plaghe
semidesertiche e di agricoltura ricca orientata all’esportazione: entrambe
ricorrono a una mano d’opera bracciantile e il dato più evidente rimane la
grande povertà, ci sono rivolte per fame che lasciano sul terreno morti e
feriti. E poiché all’inizio del Novecento risulta occupato in agricoltura oltre
il 50 per cento della popolazione attiva, sono 13 milioni di italiani a vivere
in condizioni di inferiorità economica e sociale.
L’avanzata del movimento socialista viene arginata da papa Leone X con la
solidarietà cristiana, la sua Rerum Novarum traccia un solco e nel
gennaio 1919 si inserisce don Luigi Sturzo con l’appello Ai liberi e ai
forti: i cattolici devono partecipare alla vita del Paese, fra le urgenze
da affrontare «sviluppo dell’agricoltura, colonizzazione interna del latifondo
a coltura estensiva».
Siamo nel primo dopoguerra, per spezzare il latifondo viene fondata l’Opera
nazionale combattenti che in Sicilia darà il via a una sorta di grande
laboratorio, dove le azioni diventano una sequenza logica: bonifica di terre
paludose, acque incanalate, esproprio di terre o acquisto di fondi incolti,
creazione della piccola proprietà, supporto ai contadini. Vengono
espropriati oltre 100 mila ettari e naturalmente le reazioni sono da manuale:
gli agrari si rifugiano nel sicilianismo mentre la vivace mafia rurale cerca di
cogliere ogni occasione.
Per arrivare alla riforma agraria del 1950 ci vorrà un’altra tragica
guerra e un altro difficile dopoguerra, con la produzione agricola ridotta del
40 per cento rispetto a quella del 1938 e migliaia di ettari seminativi
distrutti dal conflitto. Il 24 luglio 1944 un decreto firmato dal principe
Umberto di Savoia prevede, la prima volta per legge, la « concessione ai
contadini di terre incolte»: è il più importante dei decreti pensati dal
ministro comunista Fausto Gullo, che in Sicilia avranno un pesante bilancio di
sindacalisti uccisi mentre, scrive Primavera, rimane «ben modesto il risultato
raggiunto rispetto alle attese ».
La riforma agraria è sempre tra le questioni più urgenti ma la massa dei braccianti
suscita paure epocali. La Coldiretti, fondata da Paolo Bonomi in pieno accordo
con Alcide De Gasperi e con monsignor Montini – il futuro Paolo VI – è come una
" diga verde" contro il comunismo ed è legata a due pilastri, la
Chiesa e la Democrazia cristiana. La sua missione è di rappresentare e
difendere la piccola azienda familiare, il vescovo di Agrigento Giovan Battista
Peruzzo arriva a definire il latifondo incolto «struttura di peccato » : ma in
Sicilia la strada della riforma, demandata all’approvazione degli organi
regionali, resta tutta in salita.
Nel giugno 1950 il governo regionale presenta un disegno di legge e al 31
dicembre 1954 risultavano espropriati oltre 100 mila ettari. La Cassa per il
Mezzogiorno era stata essenziale per la creazione di 35 borghi rurali con
strade e acquedotti: questi sono i dati a cui si ferma Primavera.
Ma i dati non raccontano gli intrecci. Non raccontano i modi in cui la
riforma nazionale viene ammorbidita, perché nella patria del latifondo non
faccia troppo male. Non ci dicono come le quote assegnate per sorteggio puntino
a disgregare il movimento contadino, o come l’inefficienza mirata rallenti ogni
procedimento mentre gli agrari vendono i terreni migliori, investendo poi nella
speculazione edilizia del "sacco di Palermo".
La Repubblica Palermo, 17 giugno 2020
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