Adnan Siddique |
Ci sarà qualcuno in questo nostro Paese che racconterà la storia dei
migranti che arrivano? Non parlo solo dei tanti che hanno perso la vita
attraversando il Mediterraneo su barconi poi affondati. C’è anche la sosta in
Libia dove i profughi sono depredati, torturati, sfruttati e, anche, uccisi.
Quando i migranti arrivano a sbarcare sulle nostre coste e se non c’è un
Salvini a bloccarli in acqua, per loro è l’inizio di una incerta avventura,
talvolta conclusa in maniera tragica. Oggi, su La Repubblica ed altri giornali, si racconta la storia del giovane
pakistano Adnan Siddique, 32 anni, da cinque in Italia, che viveva e lavorava a
Caltanissetta, la mia città. Parlava bene l’italiano e non tollerava il
caporalato esercitato anche da altri pakistani che sfruttano i connazionali
impegnati nei lavori agricoli.
La notte del 3 giugno quattro connazionali di
Adnan hanno bussato alla porta del suo piccolo appartamento e lo hanno
accoltellato sino alla morte. Cosa mai aveva fatto Adnan per attirare tanto
odio e violenza? Alcuni mesi fa, aveva accompagnato alla caserma dei
carabinieri un suo compagno di lavoro avendolo convinto a denunciare i caporali
che gli sottraevano la metà di una già misera paga.
Quel che fanno oggi i caporali, mi fa venire alla mente quanto avveniva
negli Anni ’40-50 nel Ragusano. Denunciai quei caporali che, prima di
ingaggiare i lavoratori, tastavano i muscoli delle persone per saggiarne la
forza. Infatti, anche i braccianti pakistani, prima dell’alba, sono radunati in
piazza e i caporali li caricano sui pulmini e li trasportano sui campi per un
lavoro di dieci ore al giorno. Al tramonto li riportano indietro prelevando la
metà del guadagno.
Il giovane Adnan è stato ucciso perché ha svelato questa pratica. Mi
permetto di rivolgermi al presidente della Repubblica perché si ricordi questo
eroe, almeno con una decorazione alla memoria.
(8 giugno 2020)
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