David Coco / Piersanti Mattarella nel film di Grimaldi |
Il film del regista siciliano Aurelio Grimaldi nelle sale cinematografiche dal 2 luglio
L’omicidio del presidente della Regione Sicilia Piersanti Mattarella,
avvenuto in via Libertà, sotto gli occhi della moglie, il 6 gennaio del 1980, è
considerato un delitto anomalo, e periodicamente rivelazioni ed eventi sembrano
illuminarne nuovi aspetti. Mattarella stava provando, con l’appoggio dei comunisti
guidati da Pio La Torre (ucciso due anni dopo), un rinnovamento della temibile
burocrazia regionale e del sistema degli appalti, scontrandosi, all’interno
della DC, con nemici interni che si chiamavano Salvo Lima o Vito Ciancimino.
L’assassinio apparve subito riconducibile a Cosa Nostra, ma con qualche
anomalia. Giovanni Falcone seguì la pista dell’alleanza tra Cosa Nostra e
neofascisti, indicando come esecutori materiali i militanti dei Nar Giusva
Fioravanti e Gilberto Cavallini.
Ma, anche se la vedova di Mattarella
identificò più volte Fioravanti come killer, in seguito vari pentiti (da
Buscetta a Marino Mannoia) hanno affermato che l’omicidio fosse maturato ed
eseguito solo nell’ambito mafioso. La sentenza del 1995 ha indicato come
mandanti la cupola di Cosa Nostra, ma senza identificare gli esecutori; il caso
è stato riaperto nel 2018, seguendo la pista nera. Sulla quale punta con
decisione anche Grimaldi, il quale insegue da anni questo progetto e ha
pubblicato in contemporanea un volume (pubblicato da Castelvecchi): in cambio,
i neofascisti avrebbero ottenuto da Cosa Nostra l’impegno a far evadere dal
carcere Pierluigi Concutelli.
I film di mafia, da anni, si trovano davanti a un doppio problema: da un
lato, devono rinfrescare la memoria al pubblico, spiegando specie ai più
giovani storie spesso mal ricordate e complesse. Dall’altro, all’opposto, si muovono in un mondo di cose viste e riviste sullo schermo, di stereotipi
e déja vu.
Grimaldi, con buone intenzioni, fa quello che può: cerca di mettere ordine
nei fili narrativi, camuffando alcuni nomi (il killer si chiama Aurelio, come
lui: una specie di assunzione di responsabilità collettiva e
generazionale?), allarga lo sguardo alla politica romana, arriva a Sindona e
alla banda della Magliana, ricorda la lotta di Mattarella per la trasparenza
negli appalti, a cominciare dalla scuola. Il filo non è facile da tenere, e una
voce fuori campo interviene nei passaggi più difficili. Alla fine, poi,
arrivano i tradizionali cartelli esplicativi, in misura ipertrofica: oltre 20
scritte per 6 minuti di film. Dall’altro lato però il regista rimarca a tratti
la propria natura di autore con qualche affondo più vistoso, e non sempre
riuscito, come gli omicidi al ralenti con musica di Henry Purcell, ma l’effetto
fiction tv non sempre è evitato, nella ricostruzione d’epoca, compreso l’uso di
canzoni (È domenica mattina di Caterina Caselli, Dove volano i
gabbiani di Lara St. Paul). L’effetto inevitabilmente straniante dei
personaggi reali rifatti al cinema è in parte evitato, grazie a una compagnia
di ottimi attori siciliani, anch’essi facce conosciute in questo genere di
film: Davide Coco è Mattarella, Tuccio Musumeci interpreta Salvo Lima, Leo
Gullotta è un tormentato Rosario Nicoletti (segretario regionale della DC, che
si ucciderà nel 1984), Donatela Finocchiaro la moglie di Mattarella, Lollo
Franco è Rosario Spatola, e Tony Sperandeo troneggia con un Ciancimino
sanguigno e aggressivo.
A loro si aggiunge il curioso cameo dell’ex ministro Gianfranco Micciché,
oggi presidente del Parlamento siciliano, che interpreta il suo predecessore
dell’epoca, il comunista Michelangelo Russo.
La Repubblica, 30 giugno 2020
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